Ieri sera ci siamo ricascati. Non era programmato. Ci siamo lasciati trascinare dagli eventi, da una solitaria notte di fine estate che preannuncia il friccicore dell’autunno. Abbiamo lottato intimamente con il fatale dubbio… Sì o no? E come al solito, non abbiamo resistito alla tentazione. Alla domanda “perché?” noi abbiamo risposto solo “perché no?”. E allora ci siamo rintanate sotto le coperte al buio e l’abbiamo rifatto… Abbiamo rivisto Shame… Per l’ennesima volta! (Sarà anche perché è uscito un nuovo servizio fotografico di Fassy sulla cui perico
Perché Shame cambia e resta se stesso nonostante gli anni che passano, nonostante il cinema che è venuto dopo. E il dolore, la sofferenza, l’emozione che porta con sé muta al mutare della marea della vita. Ieri sera ci ha donato una nuova consapevolezza… E non ci riferiamo alla perfezione intrinseca nel Michelino nazionale. No, questa volta Shame ci ha donato la consapevolezza di una nuova maturità, di un nuovo modo di essere nostro personale. La paura, il passato, la malinconia non sono nemiche da combattere ma compagne di viaggio di una vita che cambia e che assume riverberi di maturità (lo so, lo so, non sembriamo noi stessi, ma è solo l’età, tranquilli…).
E’ il rinascere dopo l’orgasmo che fa la differenza. Ed è da quel bisogno di rinascita che scaturisce lo sguardo in macchina più doloroso della storia del cinema contemporaneo. Perché con quello sguardo Brandon ci chiede di aiutarlo a non perdersi. Ci chiede di tenerlo ancorato alla vita, all’amore, a se stesso. Ci chiede di non perderci… E noi non vogliamo perderci…