I bocciati dalla storia

Creato il 14 novembre 2011 da Malpaese @IlMalpaese

di Marcello Pirovano (lettera43)

Da Tremonti a Brunetta, il bilancio in rosso dei ministri uscenti.

E adesso giù dalla giostra, tutti, perché non c’è spazio né tempo per fare un altro giro. La fine di un’era – l’amaro epilogo di Silvio Berlusconi – ha trascinato con sé i protagonisti dell’ultima legislatura, senza possibilità di una prova d’appello: nessuno dei ministri uscenti è destinato a sopravvivere nel prossimo governo tecnico che Mario Monti è pronto a costituire.
Il tempo, smaltita la sbornia da festeggiamenti di chi aspettava questa caduta da 17 anni, è quello dei bilanci, delle valutazioni di fine mandato.
Nomi e facce che hanno fatto la storia, a braccetto col Cavaliere.

Giulio Tremonti – ministro dell’Economia

Il 2011 è stato vissuto all’insegna delle voci sui continui litigi con Berlusconi: uno scontro perenne, il grande gelo tra premier e titolare delle Finanze che ha caratterizzato l’azione di governo.
I due hanno sempre smentito («Solo favole»), ma l’insofferenza di Silvio nei confronti di Giulio è stata confermata da più fonti interne all’esecutivo: «Tremonti è uno che non sa fare squadra, che alla fine fa sempre di testa sua», è il pensiero più volte attribuito a Berlusconi.
GLI STORICI INSULTI A BRUNETTA. Memorabile, in tal senso, il video catturato durante la conferenza stampa di luglio, coi ministri riuniti per presentare la manovra finanziaria: «È scemo, è cretino», furono i commenti feroci rivolti da Tremonti al ministro Brunetta.
Politicamente, la sua figura è stata scalfita dal caso Marco Milanese, suo braccio destro, dallo scandalo dell’affitto in nero e dal boicottaggio della maggioranza durante la concitata fase finale, con l’immagine-simbolo del Cavaliere che sfilava in Aula, senza degnarlo di uno sguardo, dopo lo scivolone sul rendiconto dello Stato, quando Giulio non partecipò alla votazione e la maggioranza andò sotto per un voto.
LA CRISI C’È DAVVERO OPPURE NO? Ma la colpa più grande è stata quella di aver negato la crisi – se non in un contesto di recessione globale – fino a quando l’evidenza non ha lasciato scampo: «La crisi c’è, in America inizia e speriamo finisca», diceva.

Roberto Maroni – ministro dell’Interno

Ha passato tre anni a sventolare la bandiera dei suoi pacchetti Sicurezza, si è riempito la bocca a suon di arresti e colpi fatali inflitti alla mafia.
Numeri da record, contestati però dal Coisp, il sindacato della polizia, con una delle più banali contro-osservazioni: «La cattura dei latitanti è merito della polizia, non di un governo che taglia le risorse ostacolando la lotta alla criminalità organizzata».
POLIZIA IN PIAZZA? «NON MI RISULTA». Bobo ha sempre negato le polemiche sulle forze dell’ordine in piazza (anche) contro di lui: «Non mi risulta. So quali sono i problemi e il mio impegno è quello di azzerare i tagli. Poi c’è sempre chi non è contento», diceva.
In tre anni il governo avrebbe tagliato tre miliardi di euro. «Se qualcosa non va è sempre colpa mia», scherzava laconico Maroni.
L’importante è sempre stato sfoderare la statistica a effetto nel momento giusto: «Da quando sono ministro io, c’è una media di sei mafiosi arrestati al giorno. E non solo in quelli feriali».
SCONTRO CON SAVIANO, L’APPOGGIO DELL’OPPOSIZIONE. A fine 2010 fu protagonista di un diverbio con Roberto Saviano sui rapporti tra Lega Nord e ‘ndrangheta.
In parlamento l’opposizione l’ha spesso appoggiato, se non altro perché vedeva in lui una spina nel fianco del Popolo della libertà.

Renato Brunetta – ministro della Pubblica amministrazione

È stato lo storico nemico degli statali, bollati come fannulloni, contro cui ha scatenato la morsa della stretta sulle malattie, la guerra ai certificati medici falsi, le pagelle ai dipendenti e i tornelli nei ministeri.
DALLO «SCEMO CRETINO» AI PRECARI. Insultato a tradimento dal collega Tremonti (il celebre «scemo cretino», guarda il video), Brunetta finì nel ciclone della polemica a giugno 2011, quando il suo diverbio contro i precari fece il giro del web, e non solo: «Siete l’Italia peggiore», fu la frase incriminata a cui non seguirono mai le scuse, ma una ricostruzione fantasiosa dei fatti (documentati da un video).
Il suo tentativo di apparire come social ministro gli si ritorse contro, perché su Facebook il suo profilo fu invaso dagli insulti di precari da tutto il Paese che lo fecero balzare in testa alla graduatoria dei politici più odiati.
CHIUSURA CON LA GAFFE ANTI-MAFIA. Una delle sue ultime sparate si è trasformata in una gaffe anti-mafia: in nome della semplificazione voleva eliminare i certificati contro le cosche.
Il popolo di internet non ha perso l’occasione, dopo la grande crisi di governo, di ricordargli un piccolo, significativo particolare: «’Renato Brunetta ministro’? È ora che cambi nome alla tua pagina Facebook».

Franco Frattini – ministro degli Esteri

La sua immagine finale resterà quella che ha certificato il clima da ‘volano gli stracci’ dentro il centrodestra: il «Fascisti» rivolto agli ex Alleanza nazionale ha provocato la reazione piccata di Ignazio La Russa, che ha finto di non conoscere Frattini.
In Europa, e nel mondo, gli è toccato l’ingrato compito di rappresentare il Paese governato da Silvio Berlusconi, in un’emorragia di credibilità che ha relegato l’Italia a un posto sempre più marginale nella stanza dei bottoni. Un flop, insomma.
«L’ITALIA? NESSUNA SINDROME DA ESCLUSIONE». Quando a marzo si parlò di Libia, in videoconferenza si riunirono nel grande consulto a quattro Barack Obama, Nicolas Sarkozy, Angela Merkel e David Cameron, cioè Stati Uniti, Francia, Germania e Gran Bretagna. L’Italia? Non invitata. «Nessuno schiaffo», provò a difendersi il povero Frattini.
«L’Italia non sente affatto la sindrome dell’esclusione», fu la dichiarazione convinta.
L’ATTACCO ALL’ASSE BILATERALE MERKOZY. Più tardi, nella tempesta della crisi finanziaria continentale, il titolare della Farnesina tentò un’altra timida ribellione: «Una situazione globale non si risolve con assi bilaterali», disse criticando la prorompente discesa del duo ‘Merkozy’.
I celebri risolini di imbarazzo in mondovisione di Sarkò e Frau Merkel hanno seppellito anche lui.

Ignazio La Russa – ministro della Difesa

Essere titolari della Difesa in tempo di crisi? Brutto mestiere. La Russa lo è dal 2008, e in tre anni il refrain degli indignati è sempre stato lo stesso: «Tagliamo i fondi delle spese militari per recuperare le risorse della manovra. Non tocchiamo l’istruzione e garantiamo il futuro, costruiamo la pace».
DIFESA COSTOSA E SCANDALO MASERATI. Ignazio, da parte sua, non ha fatto granché in quella direzione: in piena recessione finanziaria il suo settore pubblico è stato uno dei pochi che ha scampato il ridimensionamento di costi.
Le spese militari in Italia, dati alla mano, continuano a rappresentare l’1,28% del Prodotto interno lordo.
Come se non bastasse, a fine ottobre 2011 si è aggiunto lo schiaffo rifilato agli italiani dopo l’acquisto di 19 Maserati per far viaggiare i dirigenti del suo ministero.
TROPPO CASUAL E POCO POLIGLOTTA… Provato dal caos libico e dal groviglio della guerra in Afghanistan, La Russa è inciampato anche su argomenti più soft: è stato rimproverato dai generali dell’aeronautica per l’abbigliamento troppo casual, è finito nell’occhio del ciclone per l’ironia usata sulla bellezza delle deputate («Non male detto da lui…», gli rispose Rosy Bindi) e ha lottato con tutte le sue forze (uscendone sconfitto) contro la lingua inglese in una comica conferenza stampa (guarda il video).

Maurizio Sacconi – ministro del Lavoro

Con gli ultimi colpi di coda dall’effetto mediatico ha manifestato l’intenzione di riformare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, perché era «un freno alle assunzioni, contro la flessibilità».
La chiave era nella possibilità di deroga prevista dall’articolo 8 della manovra finanziaria 2011, che aveva lo scopo di rendere attuabile il licenziamento senza una necessaria motivazione e tramite un accordo tra il datore di lavoro e un rappresentante sindacale.
LA POLEMICA SUL PERICOLO TERRORISMO. Susanna Camusso della Cgil non gli hai mai risparmiato attacchi al vetriolo, come quello sulla bufera scatenata dalle parole di Sacconi sul nuovo pericolo terrorismo e il rischio di attentati all’interno dell’accesa discussione sul lavoro: «Ho paura, ma non per me perché io sono protetto, bensì per le persone che potrebbero non essere protette e diventare bersaglio di violenza politica che nel nostro Paese non si è del tutto estinta», disse il ministro.
Ebbe anche la grande idea di spiegare la manovra finanziaria con una barzelletta sulle suore stuprate. Provocando una pioggia di critiche da parte dell’opposizione.

Mariastella Gelmini – ministro dell’Istruzione

Da quando è arrivata la ‘maestrina’ Mariastella il dibattito sulla scuola si è enormemente acuito: merito (o colpa?) dell’attuazione della sua riforma, tra il 2009 e il 2010.
RIVOLUZIONE O SOLTANTO TAGLI SELVAGGI? Rivoluzionaria per lei, un miscuglio di tagli selvaggi per i suoi detrattori. La Gelmini non ha mai fatto molto per attirarsi le simpatie di alunni, mamme, maestre e tutto ciò che ruotava intorno al suo ministero: chi protesta «va in piazza per la scuola ma poi manda i figli agli istituti privati», accusò una volta, difendendo le sue misure.
«I docenti? Sono sottopagati perché sono troppi», argomentò per la felicità di tutti i professori d’Italia.
Sul problema delle classi sovraffollate usò l’arma della negazione, sostenendo che fossero «solo lo 0,6% del totale».
Scivolata sui test Invalsi – pieni di errori nelle griglie di valutazione -, Mariastella è finita spesso al centro degli sfottò per qualche siparietto agitato negli studi di Ballarò e dopo certi obbrobri linguistici (tra cui «i carceri», al maschile).
LA FRAGOROSA CADUTA SUL TUNNEL DEI NEUTRINI. Ma il ‘meglio’ è arrivato in chiusura, col botto del tunnel dei neutrini: il ministro scoprì l’esistenza di un’enorme galleria (immaginaria) tra il Cern e i laboratori del Gran Sasso.
Il web non ha ancora smesso di ridere, lo strafalcione portò al licenziamento del portavoce Zennaro, prontamente riciclato come consulente culturale di Barbara Berlusconi…
L’ultima dichiarazione da ministro potrebbe essere stata questa: «Roberto Benigni (guarda il video del suo intervento a Bruxelles, ndr) nuoce all’immagine dell’Italia

Saverio Romano – ministro delle Politiche agricole

Nel rimpastino del marzo 2011 comparve Saverio Romano: appoggiato dai Responsabili, dopo aver rotto con Pierferdinando Casini, corse in aiuto al claudicante esecutivo di Berlusconi e conquistò la poltrona da ministro delle Politiche agricole.
I DUBBI ESPRESSI DA NAPOLITANO. Ma la sua nomina, più che per i risvolti politici, è rimasta famosa per quelli giudiziari: Romano è indagato per mafia (concorso in corruzione aggravata dal favoreggiamento) e già ai tempi del suo ingresso nel governo il Colle espresse delle riserve: «Il presidente della Repubblica ha assunto informazioni sullo stato del procedimento a carico di Romano per gravi imputazioni», riportò il Quirinale.
LA MOZIONE DI SFIDUCIA E IL SALVATAGGIO. Lui non fece una piega, derubricò a «ragli d’asino» le accuse di vicinanza a Cosa nostra e incassò senza scomporsi anche la mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni in parlamento.
La Camera gli salvò il posto, prima dell’inesorabile crisi che ha spazzato via anche lui.

FONTE: http://www.lettera43.it/politica/31268/i-bocciati-dalla-storia.htm



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