I bronzetti nuragici
di Pierluigi Montalbano
(Dal libro "Signori del mare e del metallo", 2008, Pierluigi Montalbano, Zenia editore)
Fra i personaggi rappresentati nelle piccole statuette nuragiche in bronzo vi erano diverse specializzazioni: spadaccini, arcieri, lancieri, portatori d'ascia, portatori di pugnale, e poi ci sono sacerdoti, animali e oggetti d'uso comune come ceste in miniatura, spiedi, carri. Ogni categoria aveva un ruolo particolare e tutti questi raggruppamenti sono caratteristici dall'arte figurata sarda del I Ferro.
I bronzetti sono stati oggetto di analisi da parte di Giovanni Lilliu che, iniziando dagli anni Quaranta, ha realizzato la più completa esposizione sistematica critica dei bronzi figurati sardi tuttora disponibile. La classificazione del 1966 distingue un filone linguistico geometrico (gruppo Abini-Uta) e un filone libero o spontaneistico (gruppo barbaricino-mediterraneizante), dipendenti da due diversi livelli di committenza individuati nella componente aristocratica e nella componente popolare della struttura socio economica nuragica. Gli elementi fondamentali di questa produzione sono una spiccata originalità e la conoscenza dell'identità sarda.
Uno dei problemi più spinosi della bronzistica figurata sarda è costituito dall'inquadramento del cosiddetto “sacerdote-militare” di Vulci L 111. Questo bronzo proviene da una tomba a incinerazione villanoviana della necropoli di Cavalupo, elemento prestigioso di un corredo ricchissimo depositato all'interno di una caratteristica urna cineraria biconica in un contesto del IX a.C. Allo stato attuale della ricerca non è possibile isolare singoli esemplari che possano essere considerati più antichi di questo esemplare.
Relativamente alla Sardegna, i contesti solitamente utilizzati come punto di riferimento cronologico per il bronzi figurati si rivelano inesistenti o di difficilissima interpretazione. Il discorso descrittivo è affidato quasi totalmente a elementi di tradizione locale (veste, calzari, brassard, scudo, guanto armato). A livello simbolico è sottinteso il richiamo a modelli prestigiosi di ambito orientale, soprattutto siriano: gesto della mano destra allungata e stile utilizzato per gli occhi. Questa capacità di sintesi formale e concettuale delle botteghe artigianali sarde fin dalle origini, attesta l'estrema originalità di questa produzione.
L'interpretazione del bronzetto di Vulci richiama l'esigenza ostentatoria di una committenza locale che condiziona maestranze che hanno già completamente assimilato modelli di cultura elevata, combinandoli in una nuova sintesi, non riportabile a influenze esterne identificabili. Il bronzo di Cavalupo trova riferimenti all'interno del gruppo Abini, così nominato dal celebre santuario del nuorese che, a tutt'oggi, ha reso la più grande quantità di bronzi figurati.
Abbiamo due tipologie principali: i demoni-militari e i guerrieri. Relativamente alla prima serie si possono confrontare il demone militare L 106 e gli esseri demoniaci L 109 - 110 con il famoso eroe con quattro occhi e quattro braccia L 104 e con l'analogo demone militare L 105. Si nota l’accentuarsi di un gusto decorativo, che fa pensare a un riferimento mitico accanto alla celebrazione del rango.
Per un confronto è interessante esaminare i cosiddetti betili con simboli oculari della fine del II millennio a.C., in rapporto alla moltiplicazione oculare nella serie dei demoni-militari. È rilevante il mutamento nel passaggio dalla astrazione della pietra alla iconografia, minuziosa e precisa, dell'eroe mitico, segno di elaborazioni genealogiche presenti nella classe aristocratica isolana che tenta di codificare “eventi mitici” su uno sfondo religioso tradizionale. Il sacerdote-militare nasce all'interno di un arte metallurgica assai avanzata tecnologicamente e attestata in Sardegna almeno dal Bronzo Finale.
La nascita della rappresentazione figurata appare espressione di una società che cambia struttura e avverte come fondamentale il momento della rappresentazione di simboli che riportano allo status. In altri termini, una società in cui la produzione figurativa è finalizzata alle necessità politiche e celebrative di una classe dominante. Non a caso il bronzo di Cavalupo era in un sepolcro villanoviano di altissimo livello in rapporto con le nascenti aristocrazie tirreniche.
Nel Bronzo Finale la Sardegna è al centro degli interessi commerciali e delle vie navali dei popoli che si affacciano nel Mediterraneo. Insieme a questa produzione artisticamente e ideologicamente elevata, si registra l’apparizione delle navicelle che propongono un mondo legato al commercio-pirateria e alle straordinarie elaborazioni araldiche. Il quadro che si ricava vede una produzione di matrice orientale, documentata in Sardegna alla fine dell’età del Bronzo che non può storicamente essere definita fenicia visto che almeno due secoli separano questa produzione dall'avvio delle esperienze figurative sarde.
La tendenza ad accostarsi quanto più possibile al dato cronologico del bronzo di Cavalupo crea notevoli problemi sia a livello stilistico che cronologico della produzione. Le esperienze orientalizzanti sarde sono comprensibili solo se rapportate al quadro etrusco della fase orientalizzante; il panorama si completa con la forte incidenza di elementi orientalizzanti greco-etruschi riscontrata da Lilliu nella bronzistica isolana e con gli strettissimi rapporti intercorsi tra gruppi aristocratici sardi e tirrenici intorno all’VIII a.C. Non si pretende certo di affermare che i Levantini siano stati completamente estranei alla diffusione dei motivi orientalizzanti nell'isola, considerato anche che valenze fenicio-cipriote sono presenti nella bronzistica figurata isolana.
Forse l'aspetto antico, come è definito da Lilliu, dell’orientalizzante sardo, discende dalla familiarità con il bagaglio decorativo e con il gusto da tempo circolanti nell'isola, e legati alla presenza orientale soprattutto cipriota. micenea, anatolica e siriana, riscontrabili in Sardegna verso il Bronzo Finale. In realtà il problema delle origini è un falso problema perché la prospettiva corretta è quella di valutare la formazione di una società tecnicamente avanzata e strutturalmente complessa nel momento in cui compie la scelta politica e ideologica della rappresentazione figurata. Si tratta di una società in grado di disporre di artigiani e di botteghe capaci di rielaborare in forma originale quei fermenti stilistici e iconografici che fin dal Bronzo Finale circolavano nell'isola.
Ritengo legittimo affermare che tali botteghe si avvalessero della presenza e della conoscenza di artigiani stranieri, a riprova del grado di articolazione della società sarda dell'epoca. I gruppi sociali committenti della bronzistica si riconoscono nella tematica eroica, principesca e sacerdotale della gestione del rituale. Non esiste, al di fuori della committenza aristocratica, classe diversa che abbia diritto alla rappresentazione.
La società sarda approda linearmente e senza intoppi allo stile di vita delle grandi famiglie. Tale capacità di concentrazione di intenti celebrativi e propagandistici in questa iconografia è forse ricollegabile a miti che descrivono le gesta di un Dio-eroe legato a una famiglia o un gruppo che si autocelebra.
I gruppi a due figure sono rari fra i bronzetti e soltanto in un caso, con il tema della donna seduta in trono che tiene in grembo un bambino, l’iconografia è ripetuta quattro volte, consentendoci di ipotizzare l'esistenza di un prototipo illustre e ben divulgato, legato alla sfera del culto. Lilliu ne definisce 3: “Madre dell'ucciso”, “Grazia” e “Madre con bimbo in grembo”, tutti bronzetti di elevato valore perché, nel riproporre la medesima iconografia con rendimenti stilistici diversi, rendono evidenti le differenze fondamentali, di valore non soltanto estetico-stilistico, ma concettuale.
Dal VI a.C. si registra il passaggio nella sfera cultuale salutifera con personaggi apparentemente appartenenti al popolo che offrono qualcosa per la grazia ricevuta. Colpisce anche la nuova veste concettuale e simbolica: al Capotribù di Uta, rappresentante di una casta aristocratica e guerriera, si sostituisce un modesto popolano che affida al tema figurativo non la casta né il rango, ma la soddisfazione di appartenere a un gruppo umano meritevole di qualche distinzione, il gruppo degli uomini miracolati.
Le caratteristiche riscontrate accomunano quest’ultima seriazione sarda a una produzione di ambito etrusco-italico, proveniente da santuari e stipi votive. Il predominio iconografico dell’orante-offerente, abbinato a un mutamento di culto rivolto al risanamento e al miracolo, suggeriscono anche per i sardi il parziale allineamento al fenomeno che risulta generalizzato sul continente intorno V a.C. riferito all'esplosione della religiosità popolare che orienta il culto in senso sanatorio.
Verosimilmente sopravvive una cultura indigena “positiva” nell’evolversi dei quadri culturali isolani al di là del profondo trauma che ha investito la Sardegna durante la "normalizzazione" dopo i conflitti con Cartagine, dovuto alla radicale risistemazione delle risorse e dei mezzi produttivi, che si concluderà nel nuovo assetto che assumerà l'isola in epoca romana: deposito granario e serbatoio di manodopera schiavile e di mercenari.
Nelle immagini i bronzetti al museo di Cagliari