I Cani: Live a Catania

Creato il 23 dicembre 2011 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il dicembre 23, 2011 | MUSICA | Autore: Leonardo Di Stefano

Ore ventitré di un venerdì di inizio dicembre. Il Barbara Disco Lab di Catania è un tipico rock club con palco, pista per ballare, specchi a muro che, attraverso i giochi di riflessi, fanno apparire l’ambiente più ampio e ovviamente bancone dove signorine vestite da infermiera, in linea con quel Rock Therapy ormai vero e proprio marchio di fabbrica delle iniziative del locale, versano cocktail nei bicchieri. L’ambiente è pieno di giovani che amano ballare il rock di fine anni novanta e di inizio anni duemila che passa il dj: un bel mix selection con Blur, Green Day, Muse, e anche pezzi più recenti e di gruppi italiani come i Ministri. Catania è una città che ama la musica e le band che vengono a suonarci lo sanno bene. La gente qui apprezza il sano rock ‘n’ roll e soprattutto la scena indipendente, cioè quella scena libera da compromessi la quale sforna sempre nuove melodie e nuovi contenuti mai scontati. Le formazioni che sentono una reale necessità di lanciare messaggi importanti sono tante: Il teatro degli Orrori, Ministri, Verdena, Giardini di Mirò. Stasera al Barbara è il turno de I Cani, un gruppo di ragazzi romani che suona un electro pop ballabile con testi d’attualità degni di un detective che descrive nel dettaglio l’ambiente che lo circonda. Ovviamente la gente è qui per loro, e non appena si abbassano le luci, tutti capiamo che è arrivato il momento di goderci lo spettacolo. La gente li chiama, vuole sentirli in versione live, e i quadrupedi capitolini non deludono nessuno entrando in scena ed iniziando a suonare. Nel dettaglio, l’ingresso della band non è trionfale. Niccolò, il frontman, inizia immediatamente a cantare. Solo in un secondo momento si rivolge al pubblico timidamente presentando i suoi pezzi, che tra l’altro sappiamo tutti a memoria. La voce non è il massimo, ma non stecca mai, o almeno è quello che hanno potuto notare le mie orecchie. Melodicamente non ci sono sbavature, i musicisti vanno a tempo, c’è intesa. Io impazzisco per l’intro con basso in “Velleità”, ma questo è un parere personale.

Non si scorge nessun tipo di autocompiacimento banale e imbarazzante, almeno non in Niccolò, e questo è un bene perché sarebbe stato fuori luogo e non appropriato. Sul palco si esibiscono dei ragazzi acqua e sapone, con cardigan, magliettine, occhiali da vista con elastico (per evitare che cadano durante la performance) e sneakers come ce ne sono tanti. Insomma, I Cani non deludono, si meritano gli applausi dei presenti e, soprattutto, dimostrano coerenza rispetto a quanto raccontano nei loro testi. Infatti, vedendoli capiamo che le critiche ironiche e spietate che rivolgono al vuoto mondo dei giovani, dove impera la necessità di apparire e di atteggiarsi, non li riguardano! Durante il concerto, che non dura più di un’ora, snocciolano quasi tutto il repertorio del loro primo e unico album all’attivo “Il sorprendente album d’esordio de I Cani”. Cantano “Wes Anderson”, “I Pariolini di Diciotto anni”, “Il pranzo di Santo Stefano”, “Velleità”, “Hipsteria”, “Post Punk”, “Le coppie”, e nell’ultimo brano della serata suonano sfoggiando in testa le mitiche buste di cartone, utilizzate solitamente nelle video interviste in modo da trasmettere un voluto alone di mistero a chi li vede da casa. È inoltre divertente raccontare che, durante l’esecuzione della canzone “Le coppie”, Niccolò invita i ragazzi ad abbracciare le proprie ragazze, così come racconta ironicamente nel testo dicendo “le coppie escono insieme, vanno ai concerti tenendosi stretti, lui le ha fatto conoscere il gruppo ed essendo più alto l’abbraccia da dietro”. E tutti prontamente stringono teneramente le loro compagne.

Una chicca della serata, che ho simpaticamente denominato “momento amarcord”, è sicuramente l’interpretazione di una vecchia e bella canzone degli 883, “Con un deca”. Ascoltarla in versione “I Cani” mi fa rendere conto che Max Pezzali in qualche modo ha lasciato un segno nel modo di fare musica della band romana, ispirandola e rendendola quello che è, soprattutto a livello testuale. Max negli anni novanta parlava di cose concrete e oggetti della vita di tutti i giorni come i Roy Rogers, il deca (le vecchie diecimila lire) o il bar tabacchi. Lo stesso oggi fanno I Cani con reflex digitali, MacBook Pro, American Apparel… Non appena finita la loro esibizione targata Catania, il gruppo abbandona la ribalta e la gente continua a ballare, felice di avere ben speso il proprio denaro: anch’io non mi risparmio nel dimenarmi e pensare “stasera me ne fotto dello spread e mi diverto!”. Dopo poco, noto in giro per il locale il buon Niccolò, il quale “a differenza di Vasco Brondi non parla appoggiato sul muro con la ragazza di qualcuno”, socializzare con alcuni ragazzi e, sistematomi di fianco a lui, prendo la palla al balzo e gli rivolgo qualche domanda. Soddisfatta la mia curiosità con le risposte ben argomentate che leggerete più avanti, Niccolò, dimostrando per l’ennesima volta la sua gentilezza, mi ringrazia e mi saluta come se fossi il migliore dei suoi amici. Morale della favola? Con I Cani ci si diverte ed i loro concerti sono più cool delle pellicole di Wes Anderson!

Perché avete scelto di chiamarvi “I Cani”?

«Lo abbiamo fatto con ironia e per fare qualcosa che non era stata ancora sentita dal pubblico italiano».

Da quanto tempo scrivi e come nascono i tuoi brani?

«Scrivo da diverso tempo, da quando avevo sedici/diciassette anni. A casa ascoltavo molta musica. A volte sento una frase che mi colpisce particolarmente, e dalla struttura di quella frase poi sviluppo una canzone».

Quali sono le tue influenze musicali?

«Le mie influenze musicali sono da ricollegarsi maggiormente alla musica proveniente dall’estero, ultimamente per esempio sento nei miei pezzi delle somiglianze con le sonorità dei Cure, come le linee di basso e in generale le atmosfere scaturite dai nostri brani. Ci sono anche alcune canzoni italiane degli anni ‘80, le quali sono state passeggere, ma per me hanno contato molto. Per quanto riguarda gli autori, beh i due autori che amo di più sono Lou Reed e, tra gli artisti italiani, Max Gazzè».

Quando si ascolta musica spesso si sente il bisogno di apporre delle etichette. Ti senti indie?

«Il termine indie proviene dalla musica estera. Indie non esprime un certo tipo di musica, ma una cultura musicale che sia per l’appunto indipendente. Io mi sento di rientrare nella categoria».

Se non ci fossero stati YouTube e SoundCloud ti saresti mai mosso in qualche modo per diffondere la tua musica?

«Probabilmente no. Perché ho iniziato a scrivere molto presto, e soprattutto avendo scritto solo poche tracce non me la sarei sentita di cercare qualcuno per proporre il mio materiale. Invece, su YouTube e SoundCloud si ha la libertà di poter caricare ciò che si vuole con facilità e di trovare un bacino d’utenza molto vasto. Non so, forse senza internet non avrei avuto lo stesso impatto».

Per gli scatti inseriti nell’articolo si ringrazia il Barbara Disco Lab – Fotografie di Paolo Torrisi


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