I Cani smentiscono da subito la possibilità che dietro il loro progetto vi sia una chiara operazione di marketing, affermando molto semplicemente che un bel giorno si pubblicano due canzoni su YouTube e non si indica l’identità dell’autore perché quest’ultimo non è sicuro del gradimento che le tracce possono ottenere (molto chiaramente vuole evitare figure di merda). Non solo. Oltre quelle due tracce non ve ne sono ancora altre ed il consenso arriva inaspettato ed anzi suscita un po’ di soggezione. C’è soltanto un ragazzo capitolino poco più che ventenne, la sua passione per la musica ed un interessante modo di scrivere e descrivere il mondo che lo circonda, raccontandolo e fotografandolo via via con nuove e diverse sfaccettature, inducendo l’ascoltatore alla riflessione e soprattutto all’immedesimazione. Insomma, questi randagi fanno proprio parlar di se, nel bene o nel male. Sono indie o electropop? Post punk o alternativi? Veri o effimeri? Fuoco di paglia o duraturi? Innovativi o retorici? Certo è che a sentirli viene voglia di ballare, sono piacevoli pur tendendo melodicamente a ripetersi. Utilizzano sonorità intrise di effetti e tastiere con contorno di basso e batteria, questi ultimi danno quel tocco in più, creando atmosfere molto post punk, alla Cure per intenderci. Ma il pezzo forte, quello che fa la differenza è il contenuto. La forza de I Cani sta nell’analisi a tratti irriverente di questa gioventù italiana, ma in generale occidentale, la quale punta all’immagine; vi è critica dei luoghi comuni, degli ambienti indie, della borghesia capitolina, vengono citati nomi di marche e registi internazionali, si descrivono i particolari dell’abbigliamento. I Cani raccontano il mondo che li circonda, le contraddizioni di chi dice di stare fuori dalla massa, come il post giovane presente nel pezzo “Post Punk”, il quale scrive su Blow Up ed afferma: «Vedi Niccolò la gente non è il mestiere che fa, o i vestiti che porta, le scarpe che mette, la roba che ha. Ed è per questo che non mi riconosco in questa società. Per me contano i dischi, i bagni nel mare, l’umanità». Ma alla fine racconta di essere benestante, più che benestante, e che la famiglia possiede un casale a Orvieto.
Però il punto di forza, cioè il contenuto dei pezzi, potrebbe rivelarsi il tallone di Achille del progetto. Come per qualsiasi cosa, vi è il rovescio della medaglia. I Cani sono estremamente attuali, ed in effetti trattano temi d’attualità, i quali potrebbero creare interesse e curiosità nel 2011, ma può accadere la disgrazia che rimangano incastrati in un certo periodo storico mettendo a rischio così la loro longevità. Insomma, vi è la possibilità di dare vita a dei lavori con una data di scadenza, che possa portarli ad essere etichettati come testimoni di una certa generazione e di certe mode appartenute ad una certa decade. Ai posteri l’ardua sentenza. Per il momento è d’uopo ballare, pensare ed identificarsi nelle canzoni de I Cani con il loro disco di debutto, distribuito dalla 42 Records, “Il sorprendente album d’esordio de I Cani” (un titolo che non vuole prendersi troppo sul serio, ma risultare ironicamente pretenzioso); prestando attenzione a tracce come “Hipsteria”, la quale è l’esatta descrizione di ciò che sono gli hipster, cioè ragazzi alla moda, che ascoltano musica indie, vestono indie, guardano film sperimentali, fanno foto in bianco e nero e sognano di andare a lavorare da American Apparel. I Cani forse sono un po’ hipster, forse lo sono ma non vogliono sentirselo dire. Ciò che c’è di sicuro è che bisogna evitare di dirgli che la loro è musica per ragazzine, sennò gli roderà il culo di brutto.