I Canti di Hyperion, di Dan Simmons

Creato il 08 gennaio 2014 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Da Fralerighe Fantastico n. 5

Il ciclo di Hyperion: Hyperion (id. 1989), La Caduta di Hyperion (The Fall of Hyperion, 1990), Endymion (id. 1995), Il Risveglio di Endymion (The Rise of Endymion, 1997)

Trama:

La storia si sviluppa in due saghe da due libri ognuna. Nella prima siamo a più di 700 anni dopo il XXI secolo, in un universo in cui gli esseri umani si sono diffusi in tutta la galassia. All’inizio i viaggi interplanetari erano effettuati tramite astronavi dotate di motori Hawking e successivamente attraverso la tecnologia dei teleporter. Durante lo sviluppo della tecnologia dei portali e delle singolarità che permettono il loro funzionamento, uno sfortunato esperimento ha portato alla completa distruzione del pianeta Terra e all’Egira (l’espansione forzata dell’umanità nello spazio), nell’evento che sarà ricordato come il Grande Errore. In tale situazione si sviluppa la vicenda del pianeta Hyperion (così chiamato in onore di un poema di John Keats) e dei sette pellegrini. Sul pianeta sono presenti strutture note come le tombe del tempo. Le tombe sono custodite da un terrificante essere semidivino chiamato Shrike, la cui origine e i cui obiettivi sono ignoti. Si ignora altresì chi possa aver costruito le tombe e a quale scopo. La seconda saga è ambientata a trecento anni dalla fine della prima, e si sviluppa in un viaggio interstellare, attraverso il quale si apprenderà la natura stessa dell’universo creato dall’autore e la filosofia che muove i passi dei suoi personaggi, verso l’essenza del rapporto fra esseri umani e intelligenze artificiali.

Recensione:

La scelta di non recensire singolarmente i romanzi, ma di racchiudere tutto in un articolo è motivata da diversi fattori. Prima di tutto non siamo davanti a un’opera in corso di pubblicazione, ma a un classico della fantascienza. Inoltre dividere i libri significherebbe spezzare il filo conduttore che dà senso all’intera opera, spezzarne la filosofia.

Hyperion è un plurimo tributo alla letteratura inglese. Primo, perché porta il nome del poema incompiuto di John Keats, e non mancherà di citarlo e omaggiarlo in più di un’occasione. Secondo, perché i pellegrini viaggiano e raccontano le proprie storie, in una struttura che richiama i Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer.

A un primo sguardo, una struttura di questo tipo può apparire scoraggiante. Il primo libro, alla fin fine, alterna i lunghi racconti dei pellegrini a brevi progressi nel viaggio verso le tombe del tempo. Non c’è noia, tuttavia, nelle storie dei sette. Un racconto dopo l’altro permette al lettore di comprendere sempre più la situazione, fare conoscenza con tutti gli elementi fondamentali dell’universo creato da Simmons, e cominciare a distinguere il “bene” dal “male”, per così dire, senza che questi siano mai delineati nettamente.

I personaggi sono caratterizzati in maniera ineccepibile. Sia grazie alle storie, sia grazie ai dialoghi: le loro voci sono personali, dipinte da tratti unici che permettono di cogliere il parlante anche se non è indicato. Anche l’universo è ben descritto. la rete di teleporter, i motori Hawking, le differenze fra i diversi pianeti, le nuove tecnologie. Tutto è ben delineato. L’unico appunto che posso fare è sui primi capitoli. Vengono subito introdotti termini tecnici e tecnologie di cui non viene spiegata la natura. Per questo motivo l’approccio iniziale non è dei migliori, ma se si superano le prime pagine la lettura fila liscia senza intoppi.

Il secondo volume, La Caduta di Hyperion, cambia approccio. Terminati i racconti dei pellegrini, si sposta l’attenzione sulla politica che c’è dietro il pellegrinaggio – proseguendo comunque il viaggio dei protagonisti – sulla guerra, e su teologia/filosofia. Da qui si evince che I Canti di Hyperion non vuole raccontare una storia fine a sé stessa, vuole riempire gli ambiti del sapere, parlare, spiegare, ideare, mentre narra. Anche qui i personaggi mantengono una grande caratterizzazione, e vengono rivalutati anche due pellegrini che nel primo libro mi erano sembrati sottotono: Brawne Lamia, l’investigatrice, e Fedmahn Kassad, il soldato.

Concluso il viaggio dei pellegrini della prima metà del ciclo, Dan Simmons ci propone la degna chiusura della sua opera con gli ultimi due volumi: Endymion e Il Risveglio di Endymion. In un primo momento si ha l’impressione di lasciarsi alle spalle quanto accaduto ai pellegrini, e di essere agli albori di una nuova storia. Siamo trecento anni dopo la “Caduta”, ergo, idealmente, i protagonisti finora conosciuti sono morti. Non è così. Chi per un motivo, chi per un altro, molti dei pellegrini – ma non solo – si trovano ancora fra queste pagine, fornendo un contorno e una chiarificazione all’intero flusso degli eventi.

I protagonisti di questi due volumi sono Raul Endymion, autoctono di Hyperion, cresciuto a pane e Canti, e la giovane Aenea, figlia di Brawne Lamia e del Cìbrido John Keats. Come loro co-protagonista, per gran parte del tempo, ci sarà l’androide A. Bettik, già incontrato nei precedenti libri. Il tema del tempo, coadiuvato dallo spazio, è una costante di questo ciclo. Non ci si stupisca, allora, che Aenea sia una bambina di dodici anni dopo trecento anni dalla sua nascita. Non ci si stupisca di rivedere lo Shrike, i crucimorfi, e tanti dei personaggi del passato. Non si creda però di trovarsi davanti a un ammasso di viaggi temporali che hanno l’unico scopo di complicare la vita al lettore. Di viaggi nel tempo ce ne sono pochissimi, e al contrario servono a chiarire diversi punti. In questo modo, la seconda parte del ciclo completa la prima metà. Ci sono punti interrogativi rimasti in sospeso alla fine della Caduta, alcuni dei quali anche passati in sordina. Ne Il Risveglio di Endymion, in particolare, verranno chiariti tutti. Si viene a formare, allora, una storia organica, unitaria nel suo balzo temporale, poiché una parte spiega l’altra e viceversa. E in questo senso, l’intero ciclo dei Canti di Hyperion consiste in una riflessione ponderata sulla sorte e sull’anima umana. Sull’evoluzione, sulla religione, sulla filosofia, sull’amore.

Non sono pochi i lettori che ritengono gli ultimi volumi inferiori ai primi, come se fossero stati scritti per allungare il brodo. In verità, senza i libri di Endymion, I Canti di Hyperion non sarebbe il capolavoro che è.

Le tematiche affrontate sono molto diverse, raggiungendo – nel loro insieme – una visione quasi unitaria delle sfaccettature umane. Inoltre Dan Simmons è dotato di una capacità narrativa capace di far presagire un finale fino all’ultimo, e di cambiarlo quando ormai si era certi di ciò che si stava per leggere, mischiando l’amaro al dolce in una mistura innovativa anche per i nostri tempi.

Se c’è un difetto in Endymion e ne Il Risveglio di Endymion, è la presenza di lunghe parti lente. I numerosi viaggi fatti da Raul e Aenea, pianeta per pianeta lungo la rete di Teleporter, sono sì caratterizzanti, ma in alcuni casi superflui in descrizioni e digressioni. In particolare l’ultimo volume contiene parti che potevano essere tagliate, migliorando la sorte finale del libro.

Maurizio Vicedomini



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