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I Colorama della Kodak. Il sogno di una vita patinata

Creato il 20 aprile 2015 da Gaetano63

I Colorama della Kodak. Il sogno di una vita patinataIn mostra al Pavillon Populaire di Montpellier
Con i suoi cieli troppo azzurri, e le case troppo curate, Colorama passa sotto silenzio la vera storia sociale del Paese con le sue difficoltà e contraddizioni
di Gaetano ValliniÈ davvero singolare e affascinante la mostra «La vie en Kodak. Colorama publicitaries de 1950 à 1970» che, fino al 17 maggio al Pavillon Populaire di Montpellier, si propone di presentare in settanta fotografie un grande progetto, pubblicitario ma non solo, che impegnò la casa fotografica statunitense fino agli anni Novanta: esporre nella hall della stazione ferroviaria Grand Central di New York 565 immagini panoramiche  da cinque metri e mezzo per diciotto attraverso le quali  mostrare il sogno americano al milione e mezzo di persone che ogni giorno vi transitavano.  Lì, su quei cento metri quadrati retroilluminati da un chilometro di tubi al neon, veniva proiettato l’ideale di una vita patinata, quella della famiglia media, semplice eppure sofisticata grazie alle tecnologie che stavano via via entrando nelle case della piccola borghesia.  La vita a cui tutti i cittadini potevano aspirare dopo gli anni della grande depressione e del primo dopoguerra.  Sui Colorama, questo il nome di quegli enormi cartelloni, doveva dunque  passare the american way of life, lo stile di vita americano che di lì a poco avrebbe oltrepassato l’oceano per giungere anche in Europa e invaderla a suon di musica e di prodotti made in Usa pubblicizzati dalle riviste prima e più avanti dalla televisione. Ma tale progetto fu solo il punto di arrivo di un’operazione partita negli anni Trenta, con una serie di iniziative spettacolari messe in campo dall’azienda di Rochester, come le mostre itineranti trasportate da una città all’altra in camion o in treno, e come «The Grand Exhibition Kodak» esibita in diverse  esposizioni internazionali. Fino all’incredibile spettacolo delle grandi immagini di «The Cavalcade of  Color», mostra allestita alla Fiera mondiale di New York nel 1939 con il motto «costruire il mondo di domani», e che nel 1942 verrà riproposta proprio alla Grand Central.I Colorama della Kodak. Il sogno di una vita patinataLe immagini scelte per l‘esposizione di Montpellier, curata da Françoise Cheval e Gilles Mora e corredata da un catalogo edito da Hazan, restituiscono il senso di quell’operazione che impegnò la Kodak, allora sinonimo di fotografia alla portata di tutti, con un enorme dispendio di denaro — il solo affitto dello spazio alla Grande Central costò all’epoca ben cinquecentomila dollari l’anno — e di mezzi tecnici, alla ricerca delle attrezzature più adatte per realizzare stampe di tali dimensioni. Pensato come strumento di strategia pubblicitaria — in ogni immagine viene  sempre mostrato qualcuno che riprende dall’interno la scena con una macchina fotografica o con una piccola cinepresa — e come mezzo per esprimere una certa idea di America, «il Colorama — scrive Cheval — è più di un panorama. Esprime tutt’altra cosa dalla semplice potenza dell’immagine moderna. Incarna il passaggio da uno stato a un altro del capitalismo, il passaggio dall’impero della merce alla merce-immagine. Per le sue caratteristiche eccezionali, le sue dimensioni gigantesche e la sua forma, tra diorama e proiezione, Colorama suggella definitivamente il rapporto impari tra l’oggetto manufatto e lo spettatore, assoggettato allo status di consumatore». In un contesto così definito, fondato sull’accettazione di un ethos americano, il visitatore, catturato dall’immagine che lo sommerge, s’inserisce nell’ordine del  mondo stabilito dall’azienda: l’istante Kodak, che mira a costruire l’immaginario della fotografia di famiglia. Una famiglia ideale, senza alcuna distinzione di tempo e di luogo. Ogni immagine è l’equivalente di quella che la precede o di quella seguente. La sfida consiste in questa apparente contraddizione: garantire la permanenza del proposito assicurando al contempo la promozione di nuovi prodotti. I Colorama della Kodak. Il sogno di una vita patinataMa quale modello di famiglia viene proposta? Sostanzialmente la famiglia “wasp”, acronimo di white anglo-saxon protestant. Bisogna attendere fino alla metà degli anni Sessanta per vedere il primo nero. Vengono semmai mostrati alcuni nativi americani, impegnanti però a farsi fotografare nei costumi tradizionali durante le gite domenicali nei grandi parchi e nelle riserve. Spesso al centro delle immagini ci sono donne, obiettivo principale della pubblicità. I giovani sono presentati tutt’altro che ribelli e le scene che li ritraggono in discoteca o durante feste sono decisamente rassicuranti. Nessuna traccia di gioventù bruciata. Tutto appare idilliaco, che si tratti di un barbecue in giardino o di una vacanza sulla neve, di una festa di compleanno in casa o di un raduno di scout, di un soggiorno al mare o di un tuffo in piscina, di un matrimonio o di un evento sportivo, di scenari urbani o di paesaggi naturali. Ogni immagine — priva di slogan, con il solo logo Kodak in un angolo — è curata nei minimi dettagli; tutto deve essere perfetto, pulito, accogliente. La messinscena è teatrale, interamente costruita. Nulla è affidato al caso. Qui l’attimo fuggente da immortalare con un clic non esiste. Le pose sono plastiche. Agli allestimenti dei set talvolta partecipano personaggi importanti, come Norman Rockwell, maggiore illustratore del sogno americano e ai cui quadri si richiamano molte delle immagini della serie. E vengono coinvolti, oltre ai fotografi aziendali, anche nomi noti della fotografia statunitense, come Ansel Adams, Ernst Haas ed Eliot Porter. Guardando quelle foto «tutti credono di tornare al giardino dell’Eden! Ma è un paradiso — scrive Cheval — dove i grandi assensi sono il male e le difficoltà.  Che Kodak lo voglia o no, Gran Central resta una stazione. È quel luogo che non può nascondere la sventura di una popolazione suburbana. Abitanti delle periferie che intravedono in ogni fuga, là in alto sulla balconata est, la speranza di un’altra vita. Alzando lo sguardo, come quei cristiani rapiti davanti ai grandi dipinti di una chiesa, lo spettatore, molto spesso indebitato, contempla un universo dove tutto è in sintonia. Aspirazione a un mondo liscio, senza conflitti, dove spera di poter finalmente trovare la serenità. Nel momento in cui la sua vita si frantuma, Colorama la ricompone e l’assembla mettendola al riparo».I Colorama della Kodak. Il sogno di una vita patinataTuttavia con i suoi cieli troppo azzurri, le nevi troppo bianche, i prati troppo verdi, le case troppo curate, i sorrisi troppo aperti, Colorama passa sotto silenzio la vera storia sociale del Paese in quegli anni, con le sue difficoltà e contraddizioni. Non c’è traccia delle lotte per i diritti civili, delle contestazioni per la guerra in Vietnam, Woodstock è lontana anni luce. Come pure non si coglie l’inizio della devastazione di quella natura affascinante e incontaminata, esaltazione, con la sua asprezza ben esibita, di un territorio caparbiamente assoggettato da un popolo tenace.Più di allora tutto appare oggi davvero troppo finto in quelle fotografie così perfette, della cui conservazione bisogna ringraziare il Museo Nicéphore-Niépce. Eppure le si osserva con un senso di nostalgia, e anche di rispetto, come si fosse dinanzi a qualcosa di importante, che resterà nel tempo. E si ripensa a quanto scrisse  Roland Barthes: «Il miti non sono altro che questa sollecitazione incessante, instancabile, questa esigenza insidiosa e inflessibile secondo cui tutti gli uomini si dovrebbero riconoscere in quella immagine eterna, e tuttavia situata nel tempo, che di essi un giorno è stata costruita come se destinata a valere per sempre».
(©L'Osservatore Romano –  21 aprile 2015)

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