La morte mediatica è commozione incontenibile, commemorazione vibrante, condivisione virale. È dibattito banalizzante su morti improvvise e maledette, sulla coerenza delle scelte esistenziali, sul messaggio ultimo e definitivo del defunto. Da un po’ di tempo a questa parte, però, la morte è anche gossip: è la degenerazione morbosa del nostro stile di vita, con squisiti concentrati di cattivo gusto. Era già accaduto con la morte, discussa e consapevole, di Lucio Magri, scandita negli ultimi istanti da un resoconto agghiacciante apparso sulle pagine di “Repubblica”: l’attesa della telefonata, i dolenti amici coccolati da manicaretti e martini preparati dalla domestica (no martini, no party?), la scelta di morire lucidamente pianificata in ogni dettaglio.
Oggi “Repubblica” ci ricasca, peggiorando le cose: un pezzo intitolato “Dalla, giallo sulla cassaforte: la chiave non si trova più” descrive le tribolazioni sull’eredità – non solo artistica – del cantautore bolognese scomparso, tra “famiglia allargata” e cugini (non si sa se reali o putativi come le nipoti di Mubarak) provenienti da ogni regione. Si parla persino di un cugino greco che si starebbe precipitando in Italia, forse per cercare di restare in Europa sfuggendo allo spread. Sullo sfondo della febbrile ricerca della chiave della cassaforte, viene illustrato il mondo affettivo atipico del cantante. Marco Alemanno, definito da altre testate giornalistiche “amichetto del cuore” di Dalla e dal Corriere della Sera “amico più fidato”, è qui genericamente indicato come “vicino” all’autore di “Caruso” con un eufemismo ipocrita che permette, ciononostante, di insinuare l’esclusione di affini elettivi dall’asse ereditario. Repubblica.it interpella puntigliosamente l’avvocato Bernardini De Pace sui gradi di parentela e sull’esclusione dei conviventi dalla quota legittima.
Così Dalla resta anomalo fino alla fine. La Cei impedisce di eseguire le sue canzoni durante le esequie e i familiari – tipici o atipici – acconsentono al diktat etico con inconsueta remissività. La sua vita privata, da lui gelosamente difesa, diventa oggetto di pragmatiche contese su ville, terreni, diritti d’autore e opere d’arte. La sua dimensione intima, potenzialmente peccaminosa, è occultata. Nessuno pensa a ciò che lui avrebbe voluto, per se stesso e per i suoi cari.
Ne emerge il ritratto di una stampa rapace, impietosa, attenta al dettaglio eclatante, pronta a centellinare il lato sensazionale di ogni decesso: è la rappresentazione moderna della morte improvvisa, segno di tutte le nostre patologie. Il testamento misterioso diventa la chiosa finale della vita di un musicista: dalle chiavi del cuore si passa a quelle, ben più intriganti, della cassetta di sicurezza. E il giallo continua.
Al di là della totale diversità di contesto, le morti di Magri e di Dalla – avvenute in entrambi i casi, per curiosa coincidenza, in Svizzera – evidenziano un problema drammatico: l’impossibilità di dare veste giuridica alle nostre scelte di vita e di morte, causata da anomalie postsecolari incancrenite. In Italia non si può decidere come morire perché, in realtà, non si può decidere come vivere: esistono una famiglia istituzionale e una famiglia eretica, una procreazione ortodossa e una sacrilega, una morte naturale e una innaturale. Siamo uno dei pochi Stati laici a non avere una legge sulle famiglie di fatto e sul testamento biologico, in cui l’atto ritenuto immorale è anche illegale. Siamo uno dei pochi Paesi a non prendere in considerazione una liberalizzazione – quella sì opportuna – delle unioni coniugali, in una prospettiva che parta dalla coabitazione stabile e dai vincoli di solidarietà.
La Cei non ha mancato di recapitare ai familiari di Dalla la sua cauta riprovazione per i funerali religiosi raccomandando, di fatto, sobrietà. Spezzo la sobrietà chiamando in controtendenza “compagno” chi, per la legge italiana, è privo di diritti e per la stampa è solo un “amichetto”. Compagno è una parola bellissima: deriva dalla condivisione del pane, dei gesti elementari della vita quotidiana, da quella convivialità che è la base felice dei nostri rapporti amichevoli. Oggi è parola politicamente imbarazzante, desueta, eppure importante come tutte le parole: quelle di cui si abusa e quelle che si nascondono per pruderie. Parola negata, tutela negata, rispetto negato: ai vivi e ai morti.