i conti non tornano

Creato il 05 giugno 2012 da Francosenia

Intervista con Claus Peter Orlieb

D: Cosa pensa Claus Peter Ortlieb, matematico, di quello che sta accadendo in Grecia?

R: Ciò che mi colpisce in primo luogo - non nella mia qualità di matematico - è lo scatenarsi di una sorta di furore nazionalista nei confronti di coloro che alcuni media non hanno esitato a definire, in maniera provocatoria, con il termine di "Greci falliti ", approfittando delle disgrazie di questo paese per distrarre l'attenzione dal contributo tedesco alla crisi. Perché, in ultima analisi, la Germania deve il suo dominio globale del commercio estero essenzialmente alle sue esportazioni verso l'Europa meridionale, che vengono finanziate dal debito. Il matematico, invece, sottolinea le enormi cifre di cui si parla ai giorni nostri, e che uno come Pitagora non avrebbe mai osato sognare. Ma l'altro aspetto, molto più interessante, è il rovescio improvviso delle fortune: una economia nazionale, in debito come è di norma, precipita nel fallimento, dove non funziona più nulla. Quale limite è stato raggiunto? Io non lo so davvero.

D: Costantemente si sente molto parlare di enormi cifre. La Grecia ha un debito di 120, o forse di 150 miliardi, la Germania le abbuona circa 22 miliardi e qualcosa. Stiamo perdendo a poco a poco la nozione delle grandi somme?

R: Dal crollo della Lehman Brothers, in effetti, sono pressoché sistematicamente le cifre enormi a determinare la congiuntura; il miliardo è diventato, per così dire, l'unità di base. Nessuno può veramente immaginare tali cifre, e qui il matematico poco più avanti agli altri. Se facciamo un calcolo per persona, ci può dare un'idea: 8 miliardi di euro del gettito fiscale diviso per 80 milioni di persone, vuol dire 100 euro ciascuno. Così, possiamo immaginarlo, ma, d'altra parte, questa rappresentazione rischia di indurci in errore, nella misura in cui non fa altro che ribaltare delle grandezze macro-economiche sui bilanci delle famiglie.

D: Quando i politici parlano di cifre, danno un'impressione di competenza - anche se nessuno sarebbe in grado di verificare queste cifre. Perché?

R: Probabilmente ciò riflette il fatto che le cifre offrono quantomeno l'apparenza di una verificabilità. Certo, uno che spara cifre corre il rischio di essere confutato. Ma in realtà, nei talk show è diventato pressoché impossibile; è questo il motivo per cui si argomenta così facilmente per mezzo di ogni tipo di dato numerico.

D: Sorprendentemente, tra i politici, ma anche tra molti economisti, il mondo apparentemente razionale dei numeri e quello della magia si coniugano volentieri. Per quanto riguarda le cifre della disoccupazione, per esempio, si evoca la "soglia fatidica dei cinque milioni". Come si fa a conciliare questi aspetti?

R: Si potrebbe definire questo feticismo delle cifre come il lato occulto del secolo dei Lumi. In epoca moderna, i dati hanno mostrato un'incredibile espansione del loro campo d'azione, ed è chiaro che l'economia sta cercando di seguire il modello delle scienze naturali, presentandosi come una sorta di fisica sociale. Questo ci porta dritti al pensiero magico. Perché, ovviamente, la società non può essere compresa nella sua interezza utilizzando solo metodi matematici.

D: Le dispiace vedere alcuni economisti scommettere fino a questo punto sulla matematica?

R: No, non mi dispiace in sé, al contrario, essendo un matematico, mi guadagno la vita per mezzo di quello che la matematica introduce nelle altre scienze, e non solo nelle scienze. La questione piuttosto, è di sapere a quali aree ed a quali problemi è davvero possibile ed opportuno applicare il metodo proprio della scienza naturale in base matematica. E poi il minimo che si può dire è che se ne abusa. Nelle scienze naturali, il legame tra la matematica e la realtà è a livello di sperimentazione: le condizioni ideali proprie per la matematica, bisogna crearle in laboratorio. E' questo l'unico posto dove una legge fisico-matematica si rivelerà veramente in tutto il suo splendore e la sua magnificenza. Oppure, giustamente, non lo farà, e questo ci porterà a rivedere la teoria sulla quale riposa l'esperienza. Fine. Invece, come si deve procedere in una disciplina come l'economia, in cui uno non può impegnarsi in un esperimento ma, tutt'al più, su delle osservazioni? In questo caso, il legame tra metodo scientifico-matematico ed il criterio di verità è scomparso, e con che cosa possiamo sostituirlo? Qui arriviamo a dei problemi metodologici difficili. La critica che faccio agli economisti adepti della matematica, e quello che mi disturba veramente nel loro approccio, è che questo problema non li riguarda affatto; in ogni caso, è questa l'impressione che danno.

D: Come spiegare, in questo caso, il fatto che la matematica gioca un ruolo così importante nelle scienze economiche?

R: La scienza naturale su base di matematica, a causa del suo innegabile successo, ha assunto la funzione di "ramo-madre" della conoscenza, in modo che a partire dal 1900 si è cercato di adeguare i suoi metodi a molte altre aree, tra cui l'economia. Tutti pensavano, e immaginano tuttora, che sia possibile trasporre il rigore matematico alla propria disciplina scientifica. Ho già fatto notare a tale proposito che senza la possibilità di sperimentazione, non si incontrano difficoltà. Ma sembra che oggi tutto il mondo se ne infischi. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che gli economisti sono molto presenti come consulenti politici e dei media, ed hanno bisogno di impressionare tutti. E per fare questo, la matematica si rivela molto utile. Il suo uso è di per sé un marchio di qualità. Per mezzo della matematica, si simula un rigore ed una scientificità che in realtà non esiste. Dal momento in cui i modelli economici che si assumono non sono adeguati e laddove la realtà non li conferma, si può mettere tutta la matematica che si vuole, ma non si migliora il contenuto di verità dei risultati.

D: Lei mette in discussione il modello neoclassico con la sua curva di domanda e offerta?

R: Sì. La cosiddetta "croce di Marshall", vale a dire, il modello neoclassico del mercato semplice, richiede condizioni molto particolari che comportano un certo numero di ipotesi ideali - o, per meglio dire, lontane dalla realtà - sul comportamento dei soggetti economici e sul contesto merrcantile. Fabbricare dei modelli matematici non ci dice nulla sugli affaru. Un modello non è semplicemente vero o falso, ma ha anche un dominio di validità più o meno esteso. Bisogna quindi parlare di abuso quando lasciamo questa zona di validità, quando il modello viene applicato a situazioni dove le condizioni che richiede non sono chiaramente soddisfatte. E questo è esattamente ciò che accade con il modello di mercato semplice che nei libri di introduzione alla macroeconomia viene applicato fino alla nausea in ogni situazione possibile ed immaginabile. In uno di questi manuali, ho trovato il diagramma in questione più di 90 volte in 800 pagine, senza che mai l'autore si prendesse la briga di chiedersi se le condizioni sono effettivamente soddisfatte. In termini di conoscenza scientifica, il beneficio di una tale procedura è prossima allo zero. Viene usata abusivamente la matematica per trasmettere una certa ideologia, ho nominato la dottrina neoclassica dell'armonia del mercato: i mercati si suppone che funzionino sempre ed ovunque, solo a patto che li lasciamo lavorare in tutta tranquillità.

D: La teoria neoclassica ha tuttavia pochi rivali. Perché?

R: Questo dipende principalmente dal fallimento pratico del keynesismo. Ricordiamoci di quello che venne chiamato "stagflation" (N.d.T.:situazione in cui l'economia cresce e la disoccupazione rimane alta) degli anni 1970. Il neoliberismo allora iniziò la sua marcia trionfale. E la teoria neoclassica è stata una sorta di veicolo pseudoscientifico privilegiato. Trenta anni durante i quali ha lavorato a giustificare indifferentemente tutto ciò che succedeva nel neoliberismo; così facendo, lo pose dalla parte dei vincitori. D'altro canto, l'attrazione del dogma neoclassico risiede - non ho paura di polemiche - nella sua affinità con le discussioni che si fanno al Café du Commerce, affinità derivante da quello che potremmo chiamare il suo individualismo metodologico: il modo in cui funziona un'economia nazionale viene spiegato postulando l'interazione tra  singoli soggetti economici isolati. Inoltre, questa spiegazione consiste spesso di semplici giustificazioni che, a prima vista, sembrano plausibili, quando in verità si limitano semplicemente a trasporre nell'economia politica tutti i tipi di situazioni quotidiane della gestione aziendale, come a dire che gioca con delle anologie. E non se ne esce. Un simile genere di spiegazioni riempie le pagine economiche di molti giornali e determina il pensiero della classe politica.

D: Angela Merkel preconizza la proverbiale parsimonia della casalinga come una strategia per superare la crisi.

R: E questa è chiaramente la strategia che si appresta a prescrivere all'economia greca. Cosa che, naturalmente, non può funzionare. E 'vero che una famiglia può arrivare a risarcire un debito, frenando drasticamente i propri consumi per qualche tempo. Solo che questa soluzione non può essere trasposta alla macroeconomia. Rinunciare a consumare si traduce anche in una battuta d'arresto della produzione, e può portare solo alla recessione.

D: Codesto, è un argomento classico tra gli economisti di sinistra. Eppure non si è riusciti ad arginare la catastrofe greca, semplicemente continuando a praticare la stessa politica di prima.

R: Su questo punto probabilmente ha ragione, ma nell'immediato questo significa solo che la situazione è senza via d'uscita. E si capisce che non ho alcuna ricetta che permetta all'economia greca di uscirne. Tuttavia, non stiamo parlando solo del caso della Grecia, ma del carattere erroneo di questo ragionamento da Caffè Commercio che consiste solo nel trasporre a livello macroeconomico il punto di vista proprio della gestione d'impresa. Quabdo anche l'azzardo dovesse dare un qualche risultato, come scienziato devo restare saldamente attaccato alla correttezza logica del mio ragionamento.

D: Lei, da matematico, ritiene che l'economia non sia una scienza vera e propria?

R: Per quanto riguarda la dottrina neoclassica, in ogni caso, si dovrebbe piuttosto parlare di un'ideologia potenziata con termini scientifici. Attraverso lo studio dei manuali di macroeconomia, constato regolarmente che assolutamente non rispecchiano la realtà dell'economia capitalistica. Invece, ognuno riversa i propri pregiudizi ideologici nei modelli matematici che vengono semplicemente sovrapposti alla realtà. Risultato: la scienza economica ha lasciato cadere il suo soggetto e, a rigore, ha perso il suo statuto scientifico.

D: Secondo lei, cosa bisogna fare?

R: Sarebbe belo che ci fosse un largo dibattito fra specialisti e ricercatori di economia politica, sarebbe bello che si terrà oggi, ancora una volta un ampio dibattito - perché non sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung? - a proposito dell'oggetto, delle basi e dei metodi di questa disciplina. Tanto più che, naturalmente, alla luce dei fenomeni di crisi del capitalismo, la teoria neoclassica dell'armonia del mercato è completamente screditata. Tutto ciò che possiamo sperare è che il risultato sia un nuovo inizio che abbandoni completamente il dogma neoclassico. Ma io sono un matematico, vedo un altro effetto possibile, relativo all'insegnamento della matematica. Penso che in futuro, dovremmo interrogarci circa l'uso proprio o improprio che viene fatto dei modelli matematici. L'uso della matematica non garantisce automaticamente dei risultati conformi alla realtà, ma possono invece essere usati per trasmettere l'ideologia. Assicurarsi che questa consapevolezza sia chiara nella mente del pubblico rappresenterebbe un grande passo nella giusta direzione.


- Intervista apparsa sulla Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung - 8 mai 2010 -

fonte: http://palim-psao.over-blog.fr


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