Praticamente nello stesso giorno, circa ad inizio mese, mi è accaduto di:
- leggere questo articolo del sempre grande Luigi Locatelli, articolo in cui lo stesso criticava, a ragione, l'ultimo manifesto della Mostra di Venezia
- il nostro ragazzo-padre Pietro Le Gars (soprannome che gli ho affibbiato per la sua maturità esagerata rispetto all'età) mi scriva in un commento qui sul blog: "Conosce Simone Massi?"
Ecco, in soli 2 giorni mi arrivano informazioni su un autore che prima non avevo mai sentito.
Una negativa, una positiva.
Tra l'altro solo dopo il commento di Pietro mi accorgo che quell'autore che mi consigliava era lo stesso del manifesto della Biennale.
Beh, che dire, è quasi paradossale, avevano entrambi ragione.
Tanto è mal riuscito quel manifesto tanto sono belli i corti di Simone Massi.
Massi, per quel poco che ho letto, è un artista al confine della misantropia, chiuso, isolato, schivo.
Non ha mai percepito soldi, ha sempre lavorato in solitaria, portando avanti tecniche, poetiche e modi di dire le cose assolutamente personali.
I suoi corti sono potentissimi, ostici come pochi ma allo stesso tempo evocativi come pochi.
Disegnati a matita, pieni di segni uniti a quella specie di graffi che rendono il tutto incredibilmente vivo.
In Massi anche lo schermo nero sembra muoversi, non esiste una stasi del movimento, ogni secondo racchiude migliaia di particelle vive.
E in un minuto questo autore può nascondere decine di cose, così tante che è quasi impossibile stargli dietro, in una specie di stream of consciousness che da letterario diventa animato.
Quasi sempre abbiamo a che fare con elementi surreali, anche se parlerei più di elementi fortemente realisti uniti tra loro in modo surreale, onirico.
Le tematiche sono sempre le stesse, la campagna, il mondo contadino (mondo dal quale proviene Massi), la memoria (credo per quello il bianco e nero), le "bestie", il viaggio, l'immaginazione, i bambini.
Troverete questi elementi in ognuno dei suoi corti, tutti di breve durata anche perchè la tecnica, che potremmo definire grezza e contadina come la materia che racconta, è così laboriosa che non potrebbe portare ad opere lunghissime.
Come avviene nei sogni molte volte in Massi vedrete qualcosa che diventa qualcos'altro, spesso avvalendosi del trucco degli zoom avanti e di quelli indietro.
E molto spesso ci accorgiamo di trovarsi in un tempo ciclico, gli elementi ritornano, l'immagine di partenza si fa quella di arrivo.
C'è la mestizia, la noia, la crudeltà ma anche l'orgoglio e la potenza del mondo che racconta.
Ancora una volta, come per Pancake, la mente mi è andata allo scrittore senese Tozzi.
Non è importante capire cosa l'autore voglia dire, quello che conta è lasciarsi trasportare in questi sogni e, se possibile, sentirne la forza.
In un'epoca che va sempre più veloce e in un mondo che ormai non ricorda più le proprie radici queste opere sembrano piccole gemme anacronistiche sospese nel tempo e nella memoria.