Bisognerebbe riavvolgere il nastro di quel fatidico 2011, prima di gridare al golpe. Tutto ebbe inizio il 14 dicembre 2010 con la mozione di sfiducia presentata dai finiani, bocciata dopo il mercato delle vacche che portò a Berlusconi i voti di alcuni deputati che il giorno prima avevano firmato la mozione, accompagnati dalle capriole dei due saltimbanchi dipietristi Scilipoti e Razzi e di alcuni ex-Pd già allontanati dal partito per questioni etiche. Berlusconi navigò in acque relativamente tranquille fino all’inizio della primavera, anche perché le bolle greca e spagnola non erano ancora esplose. Poi fu un’escalation di scandali, gaffe, moniti europei, Berlusconi e Tremonti che si delegittimavano a vicenda e montavano in giro per l’Europa il teatrino della manovra, sempre più visti come untori dai leader mondiali. Ricordate? Ruby, Mubarak, culona inchiavabile, la gag di Angela e Sarkò sul barzellettiere, la storiella sulla dittatura della magistratura raccontata ad Obama, la lettera di Draghi, lo spread che passa dai 120 di aprile ai 552 di novembre, l’umiliazione al G20 di Cannes? Cosa avrebbe dovuto fare Napolitano in quella situazione? Aspettare gli eventi?
Una cosa è il giudizio politico sulle scelte fatte da Napolitano; altra cosa, del tutto infondata, l’accusa di golpe e la richiesta di impeachment che i costituzionalisti de noantri, prolificanti come funghi in questo lungo autunno della Repubblica, avanzano un giorno si e l’altro pure.