Quando nell’intervista la Ehmed dichiara che i bombardamenti russi «sono un passo in avanti nella lotta al terrorismo ma anche un’azione per rafforzare Assad, e ciò non va bene» si pone in una posizione attendista nei confronti della Casa Bianca, come se si aspettasse un cambio di passo da parte degli USA a favore della causa curda, dinanzi al rischio di una crescente influenza politica russa.
Dalle parole della Ehmad traspare chiaro che il PYD non vuol certo rompere i preziosi legami con gli Usa, ma spera d’altro canto che una fattiva collaborazione con le forze russe contro l’ISIS possa portare ai curdi siriani un consistente ritorno in termini politici. «Noi vogliamo amministrarci autonomamente, non cerchiamo l’indipendenza da Damasco», ha spiegato la Ehmed, che guarda all’esempio del Governo Regionale Curdo istituito nell’Iraq del dopo-Saddam: «Anche noi vogliamo restare parte della Siria, ma con la nostra cultura e la nostra lingua, sul modello della Svizzera con i suoi cantoni».
L’esponente curdo-siriana pare esser ben conscia del fatto che la conquista di tale nuovo status politico potrebbe realizzarsi molto più facilmente tramite i buoni uffici del Cremlino che quelli della Casa Bianca, alleata di una Turchia che, temendo un effetto-domino all’interno dei propri confini, non vede affatto di buon occhio il rafforzamento delle autonomie curde anche in Siria. Per Ankara il PYD altro non è che una derivazione del PKK, e come tale va combattuto: un contrasto in nome del quale, per Ehmed, la Turchia in Siria ha svolto un ruolo sporco, aprendo le porte al terrorismo «che di certo non è piovuto dal cielo».