Simone Barillari, collaboratore di Nazione Indiana, parlando di TQ (per chi non conoscesse l’evento, rimando a un articolo del Corriere della Sera), scrive:
Si è fatto molto parlare, nelle riunioni e nel forum di TQ, di penetrare maggiormente nella società italiana, di aumentare il numero dei lettori, e sono state anche individuate aree e pratiche di intervento sociale degli scrittori. Mi chiedo però se non debba essere presa in considerazione anche una possibilità di intervento che non sia solo orizzontale, per ampliare il pubblico, ma verticale, per innalzarlo – una linea migliorista (una “linea elitista”?), minoritaria e complementare rispetto alla giusta, indispensabile “linea azionista” di TQ, ma forse non meno importante, e non meno impervia.
Concetti significativi, mi verrebbe da dire: “Intervento sociale degli scrittori”, “innalzarlo” [il pubblico], “linea azionista”. Non si vuole, in questa sede, parlare di TQ e di quanto se ne sta parlando, a proposito o a sproposito, bensì prenderne spunto per trattare – prima di giungere alla classifica che sarà presentata ogni mercoledì – un argomento che per numerose ragioni (difficile a volte scindere sacro da profano) si presenta a fasi alterne nei luoghi di discussione pubblica: il ruolo degli intellettuali.
Alcune domande.
Esiste oggi la figura dell’intellettuale?
Se sì, chi può essere definito tale?
Se no, per quale ragione?
Le considerazioni a riguardo si intrecciano con la mutazione genetica della comunicazione culturale, la quale ha subito prima il condizionamento della televisione che si rivolge anche alla massa (entrando con grande celerità nelle case dei cittadini), poi, in un secondo momento, della splendida e desolante sensazione illusoria che dona internet, ossia la convinzione che basti leggere qualche articolo online per sentirsi esperti di qualche materia. Non solo.
La televisione non è morta con l’avvento di internet, interagiscono, ahimè in certe circostanze moltiplicando le semplificazioni arbitrarie e gli inganni. Se fino a poco più di una decina d’anni fa un intellettuale poteva utilizzare le sue capacità per esprimere idee e visioni con una forza ancora contrassegnata da autorevolezza, oggi, grazie o a causa di internet, le informazioni non viaggiano, ma semplicemente volano, non di rado senza parametri di autorevolezza, costruendo magari ad hoc vere e proprie bufale sul conto di qualche persona. Nel frattempo, prima che si chiarisca un equivoco o un errore in maniera ufficiale da parte dell’interessato, si è depositata nell’immaginario collettivo una diapositiva alterata, confondendo non pochi e indebolendo la verità. Capita purtroppo sempre più di frequente.
Perché ho voluto sottolineare tale prospettiva, che sembra ai margini del concetto del ruolo degli intellettuali? Sembra ai margini, non lo è.
Non cresce solo il numero dei complottisti sugli accadimenti, non cresce solo il numero delle informazioni disponibili, destrutturando a danno dei più i vecchi filtri di giudizio, con la conseguenza che una scolarizzazione di più alto livello non coincide con maggiore senso critico verso l’attualità, perché il nozionismo o, senza esagerare, la cultura ufficiale – in senso universitario per esempio – non genera cittadini migliori, più consapevoli, semmai prepara un cittadino a una professione, o meglio, dovrebbe preparare un cittadino a una professione; cresce anche il numero di coloro che pensano di sapere come difendersi dalla comunicazione culturale più o meno obiettiva, ma che poi, alla luce di quanto sta accadendo, non riesce a farlo continuamente e con efficacia. Non manca la cultura magari, mancano invece i filtri idonei verso la contemporaneità, i filtri che soltanto attraverso una lettura e una frequentazione permanenti dei moderni mezzi di comunicazione possono essere appresi, modificati con velocità, affinati.
Per quale ragione?
Cambiano non in pochi anni, non in pochi mesi, non in poche settimane, ma in pochi giorni i codici di interpretazione. Una moda (un neologismo, un comportamento, una frase, un gossip, ecc.) lanciata a stretto giro sui più importanti mezzi di comunicazione, integrandone le funzioni (giornali, televisione, internet), diventa di massa, trasformando l’agenda di priorità anche di chi – gli intellettuali – vorrebbero donare calma alle proprie riflessioni, costruendo fondamenta solide.
Non è più tempo. Non è più possibile.
Servono risate isteriche non sorrisi rilassati; servono pianti deliranti non lacrime che indugiano; servono provocazioni fulminee non argomentazioni meditate; serve velocità non lentezza. Oggi si premia l’essenzialità, la celerità, l’urgenza di espressione, non importa poi che si cada nella grossolanità o, nella peggiore delle ipotesi, nella falsità.
Possedere filtri nutriti permanentemente per comprendere le logiche dei moderni mezzi di comunicazione talvolta ancora è poco, perché si può compiere con superficialità. Eppure c’è sempre qualcuno che pensa di avere la verità in mano perché ha visto un video su Facebook (Chi ha costruito il video? E le fonti per costruirlo? Ecc.). È la contemporaneità baby!
Di fronte a una situazione simile, l’intellettuale vecchio stampo è morto, è disarmato, soffre di comunicazione se non si sporca con quanto è veloce, essenziale, urgente. Perché a soppiantare il suo ruolo ci sono i finti intellettuali, gli intrattenitori senza arte né parte, che però risultano talvolta amati da molti, perché simpatici, perché essenziali, perché veloci nell’esprimere giudizi su qualsivoglia tema dell’attualità. I finti intellettuali sfruttano la televisione, ma sempre più spesso anche internet, con blog e video e collaborazioni che cercano, con la potenza delle funzioni integrate dei mezzi, di aumentare la loro presunta autorevolezza. Amatissimi, ripeto, da un certo pubblico, nonostante ciò non di rado ridicoli per tutta una serie di motivi che andremo a esplorare da mercoledì prossimo, quando sarà rivelato il nome di chi sta al numero dieci della nostra nuova classifica.
A presto.