Rifiuto forzato del passato.
La maggioranza dei problemi siano dovuti al fatto che l'italia da questo punto di vista ha una grandissima tradizione, e una pesantissima eredità, che in questo campo si tende troppo spesso a rifiutare a prescindere (senza peratro conoscerne bene le strutture e i meccanismi).
il rischio è quello che il risultato finale sia debole e poco efficace..
Bisogna conoscere ciò che si rivoluziona.
Il teatro, come ogni forma d'arte, ha una sua grammatica, che, personalmente non avrei niente in contrario a rivoluzionare; ma per poter "rivoluzionare" un'arte è necessario, prima, saperla applicare e conoscerne gli schemi.
Picasso ad esempio, uno dei più grandi "rivoluzionatori" dell'arte figurativa , diceva che da bambino sapesse disegnare già come Raffaello, e ci aveva messo tutta la vita per imparare a disegnare come un bambino.
Anche perché spesso questi schemi, frutto spesso di un'esperienza lunga anni o addirittura secoli, rispondono a delle necessità precise.
Le varie parti in cui è divisa un'opera (per rimanere ancora una volta in ambito musicale) rispondeva a necessità drammaturgiche prima ancora che musicali:
La cavatina ad esempio (Quanto è bella quanto è cara, Come Paride Vezzoso, languir per una bella, Largo al factotum), era il primo intervento di un personaggio ,appena cavatosi dalle quinte, era un brano in cui il questo spiegava chiaramente: Chi era, cosa faceva e cosa voleva.
Una sorta di carta d'identità del personaggio.
Così che lo spettatore avesse subito chiaro dove posizionarlo all'interno della tramai.
La stessa divisione in atti, che nelle "sedicenti" opere moderne pare fatta a caso, era in realtà la chiusura di una parentesi (di un'atto, di un'azione appunto) all'interno parentesi più grande dalla vicenda stessa.
Purtroppo gli autori dei recenti spettacoli cui ho avuto modo di assistere sembrano ignorare tutto questo.
I Testi :
PRESUNTUOSI e poco curati.
Un altro problema, sempre collegato al fatto di volersi affrancare quasi a forza dagli "schemi" del passato, è rappresentato sicuramente dai testi.
Oggi pare che nessuno sia capace di scrivere testi adatti alla musica da scena.
Molti "librettisti" nostrani si lasciano prendere la mano e volendo strafare si "lanciano" in liriche "presuntuose" dalle metafore improbabili (che finiscono poi col suonare persino ridicole), dalle ripetizioni eccessive, dalle enumerazioni infinite.
Scrivere è come dipingere, i colori bisogna darli con sobrietà.
Liriche poco Narrative
Inoltre non si può pensare di scrivere il testo ad un brano musicale teatrale, come se si scrivesse una canzonetta per un disco, le due cose sono diverse.
Mentre in un disco ogni pezzo è un'entità a parte (e puo' essere perciò anche sibillino), Il brano teatrale (musicale o meno) deve essere per forza narrativo, perché in teatro si racconta una storia, non si puo' mettere sulla scena qualcosa che non abbia una trama, un filo rosso che colleghi una scena all'altra.
Un brano alla Battiato o alla De Gregori, ad esempio, difficilmente potrebbe trovare spazio nello svolgersi di una vicenda, perché non è narrativo.
Nessuno chiamerebbe Joan Miró come illustratore di una novella, perché i dipinti d'un autore non figurativo, per quanto artisticamente geniali, non possono, per definizione, assolvere alla funzione di illustrare una vicenda.
Assenza di un "messaggio".
Per prassi inoltre, mella commedia musicale, molto più di quanto accade con l'Opera, i brani generalmente esprimono concetti "semplici", qua e là puntellati di riferimenti alla vicenda, in questo modo le canzoni possono prestarsi anche ad un ascolto "a parte".
Pensate ad "Aggiungi un posto a tavola" (che parla d'amicizia), o al contrasto di "Roma non fa la stupida stasera", che molti non sanno nemmeno provenga da una commedia.
Assenza delle minime regole di METRICA
C'è un altro punto che va preso in considerazione: la metrica (anche questa, oggi, illustre sconosciuta).
Se si tenta di musicare un testo in prosa l'impressione che se ne ricaverà, nella maggioranza dei casi, sarà quello d' una lagna!
Poiché la musica è regolata da criteri matematici, anche il testo che deve riempire quegli spazi deve esserlo!
I versi, le rime, le sillabe non ci sono a caso, non sono nate ad usum dei poeti più pedanti.
Una cosa è istintivamente piacevole quanto più è armoniosa, e l'armonia si raggiunge tramite l'applicazione di rapporti "matematici" tra gli elementi (in questo caso le parole).
Non è detto che sia da applicare sistematicamente in maniera rigida, ma ci vuole; questa è mancanza a cui si assiste spessissimo.
Non basta andare a capo a caso per scrivere un verso: pur non conoscendo la metrica, l'orecchio avverte la presenza o meno d'armonia (come succede quando sentiamo delle note stonate), e l'armonia s'ottiene solo rispettando certe precise regole ritmiche (come nella musica del resto).
Musiche eccessivamente presuntuose e sempre troppo maestose.
Un'ultima "nostra" pecca che mi preme brevemente (perché non è il mio campo) sottolineare è l'eccessiva "presunzione", oltre che dei testi, della musica, che tende ad essere troppo spesso eccessivamente grave e solenne, tende a "vestirsi" da Grand Opéra, risultando la parodia di sé stessa
Anche "la gravità" nello scrivere una musica va usata solamente per sottolineare i momenti veramente più cruciali altrimenti perde di significato e fa annoiare lo spettatore.
A me capita addirittura di provare una sensazione di asfissia, proprio a causa di questa eccessiva pesantezza: come se a ogni singola parola ti stessero per rivelare il terzo segreto di Fatima.
Conclusioni:
Per i motivi esposti sopra mi meraviglia che molti degli spettacoli che rientrano in questa descrizione abbiano sérque di ammiratori accaniti.
Non so come mai Probabilmente perché c'è l'idea diffusa che a Teatro (specialmente dove si canta in luogo di parlare) uno spettacolo per essere bello debba essere noioso e incomprensibile, ma pieno luci, acrobati e ballerini a fare da contorno.
Io purtroppo non riesco a farmi ingannare dagli effetti strabilianti e dalle grandi scenografie, per quelli vado al circo.
Quelli sono fattori con cui si giudica la bontà della RESA d'un'opera, ma non dell'OPERA in sé (e si possono rendere in maniera strabiliante anche opere pessime).E' inutile scomodare Vittorio Matteucci, Gino Landi, Carlo Rambaldi o Armani se manca la sostanza!
Per quanto bravi siano scenografi, interpreti e ballerini, quello che conta è innanzitutto la base.
Perché gli interpreti passano, l'opera rimane, e l'opera è costituita dal suo spartito, dalla sua musica e dalle sue parole.
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