I DISASTRI DI UNA BLOGGER IMPERFETTA: Di distillati di vita e di lettura

Creato il 08 febbraio 2016 da Anncleire @anncleire

L’etichetta “Disastri di una blogger imperfetta” nasce per caso, per riflessioni personali di carattere generale, che ho voglia di condividere con i miei followers per far capire loro che cosa significa essere una blogger, le scelte che prendo e l’etica che seguo ogni giorno per il mio lavoro sul mio piccolo angolo di web. Ci tengo a sottolineare che sono solo MIE OPINIONI, che possono essere più o meno condivisibili, ma che spiegano perché sul blog seguo una certa linea. A volte potranno anche essere riflessioni più generali, ma pur sempre legate al mondo dei lit-blog.

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“In realtà ogni lettore, quando legge, è il lettore di se stesso. L’opera è solo una sorta di strumento ottico che lo scrittore offre al lettore per consentirgli di scoprire ciò che forse, senza il libro, non avrebbe visto in se stesso.”

Il tempo ritrovato – M. Proust

Nell’ultimo periodo non si fa che parlare dei libri distillati proposti per l’edicola dalla casa editrice Centauria (potete leggerne di più su I dolori della giovane libraia, su Finzioni Magazine, su Dusty pages in wonderland, su La bella e il cavaliere e su Se solo sapessi dire). I libri distillati, se ancora non lo sapete, sono dei libri usciti negli ultimi anni, di un successo rilevante a cui sono state tagliate delle pagine, in modo da poter essere letti in tempi brevi. Lasciando da parte la questione, non volendo entrare nel merito, l’avvento di questo tipologia di libro mi ha innescato una serie di riflessioni, che covano da diverso tempo, in attesa di essere messe per iscritto.

Sapete che odio le polemiche, soprattutto quelle sterili, fini a se stesse, che si nutrono del bisogno di teatralità della gente. Nell’ottica sempre di essere propositiva, vorrei proporre spunti di riflessione da condividere con voi e in tal senso volevo parlare di lettura in senso lato. Si fa presto a scrivere perché no ai libri distillati, indignandosi, gridando allo scandalo, porgendo lettere scarlatte a destra e a manca. È troppo facile fare analisi sui metodi utilizzati, sulle scelte di marketing, su quello che sta succedendo. I risultati li vedremo. E anche se mi viene la depressione a guarda la pubblicità in tv, e continuo a pensare ad alambicchi e liquori quando sento la parola “distillati” pure il punto non è questo. Il punto è il bisogno consistente di giustificarsi, il bisogno incontenibile di un mondo che fugge veloce e che non accetta che un libro eserciti un vincolo duraturo e consistente in un lasso di tempo che non è calcolabile, che non è frammentabile, che non può essere incasellato e sminuito “nel tempo di un film”.

E allora nasce da tutt’altro, da motivazioni più o meno istintive, allo stimolo della conservazione di una specie in via d’estinzione, quello del lettore, o meglio del lettore forte. Un  lettore del genere nasce da vari fattori, che di certo dipendono da educazione, ambiente, condizionamento e personalità.  Ne ha parlato recentemente anche Mirya in un post su Facebook, che sottoscrivo in pieno, su quanto bisogni riconoscere le responsabilità oggettive della mancanza di una propensione alla cultura che è devastante in un paese come il nostro. In un paese in cui, in ogni angolo in cui si posa l’occhio troviamo qualcosa di stupefacente, qualcosa di allettante. Perché allora la lettura non è capillarizzata?

Faccio davvero fatica ad immaginare la mia vita priva di libri. Forse perché ho sempre associato la lettura con l’amore di mia madre e  la sicurezza di un rifugio che non sarebbe mai mancato. Fin da piccina non mi è mai un libro, sia di fiabe che i paperback romantici appollaiati sul comodino della camera da letto dei miei. Ricordo come nella libreria del salotto ci fosse di tutto, ammucchiato un po’ alla rinfusa, in cui Sveva Casati Modignani (una delle autrici preferite di mia madre) si accompagnasse ai libri di cucina tradizionale campana, a raccolte di cartoline, in un connubio di carta stampata che in casa mia è sempre girata. Capitava spesso che le sortite al supermercato risultassero in un libro ad accompagnarmi a casa, durato lo spazio di un respiro. I libri de “Il battello a vapore” (Anni di cane l’ho consumato a furia di leggerlo, che fine ha fatto chissà), la collana “Le Ragazzine” della Mondadori (romance inside fin da preadolescente) e i “Piccoli brividi” anche se quelli li leggeva più mia sorella, a dire il vero, ma pure mi capitavano sotto mano. Avevo anche i grandi poemi epici resi a fumetto con i personaggi della Disney, tipo Marco Polo era topolino o l’Eneide, che anche quelli davvero ho consumato a furia di leggerlo. Come sanno anche i muri, credo di averlo scritto in altre occasioni, il primo libro serio che abbia letto è “Piccole Donne” della Alcott (ho letto solo il primo volume). Jo + Laurie è la mia ship, tra l’altro rendiamoci conto come le mie ship quasi sempre sono quelle sbagliate, tra l’altro odiavo Amy dal profondo del cuore *sospira*. Si tratta di un hardcover mezzo distrutto che mi aveva regalato mio nonno, recuperato chissà dove, in un edizione talmente consunta, ma a cui sono così affezionata, che ha ancora un posto d’onore nel ricettacolo che è la mia “libreria sparsa” in camera.

Tra Cipì e Bandiera (come si possa far leggere libri tanto crudeli non lo so) (chi non ha mai letto Bandiera, una foglia su un albero di ciliegio non ha idea di cosa sia la vera vita), mi sono capitati a scuola (alle medie) L’amico ritrovato di Ulman (libro che ha iniziato ad aprirmi gli occhi su un sacco di cose) e Il Diario di Anna Frank che mi ha lasciato sempre quel vago senso di malessere per una vita spezzata troppo presto.  

Credo, però, che la consapevolezza vera che la mia vita fosse nei libri sia arrivata con Harry Potter. Si, chi della mia generazione non ha letto la saga della Rowling tra gli anni delle medie e delle superiori ha vissuto un’adolescenza orribile. Ricordo che mia madre mi nascose “Harry Potter e il Calice di Fuoco” perché invece di fare i compiti mi mettevo a leggere ansiosa di sapere come continuassero le avventure. Tantissimi sono i temi affrontati dalla Rowling nella saga oltre all’amicizia, alla morte, all’amore. Uno dei messaggi più importanti resta il fatto di credere sempre in noi stessi, che abbiamo le armi per vincere la lotta anche quando siamo più disperati, che conta avere al fianco un gruppo coeso (Harry non avrebbe mai preso la pietra filosofale se Ron non fosse stato un campione di scacchi e Hermione la strega più brillante del loro anno) e che avere un leader dalla motivazione forte, capace di incendiare i cuori e la mente è di fondamentale importanza. Ma ce ne sono tantissimi altri, uno degli elementi che hanno contribuito a rendere grande la saga è proprio il fatto che la Rowling parla al cuore del lettore, senza fronzoli, senza abbellire la realtà. La vita è dura, ma sta a noi stringere i denti e combattere.

E poi niente ho sempre letto un sacco di classici, i soliti urban fantasy pieni di vampiri, alternandoli con il Signore degli Anelli e narrativa. Ma ho sempre avuto per mano commedie romantiche e romance vere e proprie, perché hanno sempre girato per casa e le leggevo con mia madre. A volte leggevamo lo stesso libro, con due segnalibri e si innescava una gara per chi finiva prima. È uno dei pochi punti in comune con lei, che anche se ho sempre preferito abbozzolarmi in una copertina con un libro aperto davanti, poi potevo parlarne con lei.

Libri quindi uguale famiglia, che i miei soldi lo spesi sempre per volumi in cui immergermi e perdermi. Ho sempre avuto  poco interesse per make up e vestiti (fatta eccezione per le borse e le sciarpe per cui ho davvero una passione smodata) ma i libri, i libri guai chi me li tocca. Amo leggere, non ricordo un periodo della mia vita passato senza un libro in mano, anche quando esco ne ho sempre uno in borsa.

Negli  anni dell’università poi, quando mi sono iscritta ad ingegneria e non credevo che sarei sopravvissuta ho scoperto il mondo degli young adult, quelli che in un modo o nell’altro si ispirano a Twilight, la vera svolta nel genere, e agli new adult. Ho iniziato a leggerne per due motivi: 1) per imparare l’inglese e per farlo non potevo certo a mettermi con i grandi classici della letteratura, anche perché inizialmente il mio livello di inglese era pressoché nullo. Come vi avevo già scritto in un post della rubrica “Leggere in inglese? Yes we can” a forza di sacrifici e a suon di Cassandra Clare e Lauren Oliver, di Colleen Hoover e Christina Lauren, sono riuscita a raggiungere un livello molto buono, tant’è che lo scorso anno ho anche preso il TOEFL. 2) perché per sopravvivere a ingegneria, in un ambiente ultra competitivo, dove i maschi la fanno ancora da padrone e dove imparare a memoria dimostrazioni sulle buche di potenziale e il funzionamento delle fibre ottiche hai bisogno di pura evasione e libri del genere te la regalano, senza pretese, senza limiti. E certo che non è alta letteratura, ma di certo offrono lo spunto per chiudere gli occhi e non pensare agli integrali e alle derivate. Ora riguardando a certe letture e certe recensioni non so cosa mi passasse per la testa, ma devo ammettere che perlomeno ho acquisito una certa capacità di discernimento. Ed è questa la cosa fondamentale, acquisire senso critico, divertirsi, sperimentare, ampliare le nostre conoscenze. Non sono una critica letteraria (si okie anche io sognavo di diventarlo da adolescente, ricordo che guardavo “Per un pugno di libri” e fissavo Piero Dorfles desiderando ardentemente di fare il suo lavoro, ma questa è un’altra storia) e non ne ho le pretese. Ho anche quasi perso le velleità di lavorarci nel mondo dei libri, non so fino a che punto ne ho le capacità e le inclinazioni. Leggo per diletto, leggo per perdermi in altre storie, leggo perché è il mio modo operandi da quando ero bambina.


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