La puntata di ieri sera di Annozero (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-b2559917-ff1f-4119-bf76-fa46c1fc76d3-annozero.html) ha riportato in auge, a mio modesto avviso, una dinamica politica, affaristica e mafiosa che volutamente si voleva sotterrare sotto una valanga di indifferenza e di sfacciato oblìo, i cui principali personaggi (stile Totò e Peppino, Gianni e Pinotto, Stanlio e Ollio, ma dai marcati connotati gangsteristici) sono realmente esistenti e si chiamano Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri. Per l'appunto, i due mammasantissima. Qui parlano i fatti, circostanziati ed univoci, non certo le chiacchiere o le suggestioni. In base alle motivazioni della sentenza d'appello (http://www.ansa.it/documents/1290197739418_48caf299f6d2b2d969d9394e8ea81767.pdf), a carico di Marcello Dell'Utri, risulta provato, oserei dire certificato, che l'attuale premier di Palazzo Chigi ha incontrato il boss mafioso Stefano Bontate il 29 maggio del 1974 (grazie all'interessamento di Dell'Utri) per chiedere, a una delle più potenti organizzazioni criminali esistenti nel mondo, una sorta di garanzia, di protezione per sè, per la propria famiglia e anche per la propria attività imprenditoriale (in quell'epoca Berlusconi era un famelico costruttore). Il motto di Silvio era (almeno credo sia stato così) "LAVORO, GUADAGNO, PAGO" e quindi PRETENDO. Una sintassi quasi filosofica in salsa edile che lo portava a credere che, pagando Bontate, poteva assicurarsi una sostanziosa sicurezza. Vale a dire essere in grado di decidere, tramite un esborso sostanzioso di denaro, il modo in cui sarebbe stato trattato dalla mafia. Berlusconi avrà forse pensato, in quel tempo, che l'essere diventato un intoccabile (protetto da un pezzo da 90 come era Bontate) rappresentava per lui un privilegio, una sorta di manifestazione indotta della propria potenza, soprattutto di natura economica. Dalle carte processuali si viene a sapere anche che l'imprenditore Berlusconi, tra minacce e attentati intimidatori, continuò a pagare la protezione di Cosa Nostra (per stare tranquillo) perlomeno fino al 1992, versando 50 milioni di vecchie lire all'anno. Praticamente noccioline, per uno del suo calibro, abituato a tuffarsi, tipo Zio Paperone, nella vasca Jacuzzi piena di bigliettoni da 100 mila lire (all'epoca) e da 500 euro (attualmente), credendo che il dio denaro tutto possa comprare e tutto possa risolvere. Sbagliando. E di brutto pure. La cosiddetta protezione della Mafia non si compra. La cosiddetta protezione della Mafia (una volta ceduto alle sue lusinghe o alle sue minacce) la si subisce. Non è una scelta, è una costrizione. E questo lo sa benissimo chi paga il pizzo per non subire ritorsioni. Perchè pagare la Mafia per avere garanzie di protezione significa, prima di tutto, pagarla affinchè non faccia valere le sue pretese, la sua arroganza, al di là delle somme concordate. Significa dunque mettersi nella condizione (paradossale) di ritrovarsi a pagare di fatto la propria sottomissione alle pretese della Mafia stessa. In questo modo, l'esborso di denaro serve NON a comprare qualcosa, ma a sancire quel preciso atto di asservimento e ad attestare il fatto che, chi paga, riconosce automaticamente il potere dell'organizzazione criminale che sta pagando, ovvero il potere che l'organizzazione criminale ha su chi paga. Per questo motivo (ancor più paradossalmente) la Mafia, in fin dei conti, non ha mai mostrato grande considerazione per chi paga. Anzi, essa ne approfitta, semmai, per avanzare pretese sempre più grandi, sapendo di poterselo permettere. Le cose vanno così, purtroppo, quando di mezzo c'è la Mafia e forse ce se ne accorge quando ormai è troppo tardi. Quando si prova a pretendere, ad esempio, di non pagare o di non corrispondere quel che non è affatto dovuto, nè in denaro nè in qualcos'altro. Ma questo discorso non può valere di certo (e, ripeto, le carte processuali lo testimoniano) quando i personaggi si chiamano Berlusconi e Dell'Utri, i due mammasantissima del ventunesimo secolo.
La puntata di ieri sera di Annozero (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-b2559917-ff1f-4119-bf76-fa46c1fc76d3-annozero.html) ha riportato in auge, a mio modesto avviso, una dinamica politica, affaristica e mafiosa che volutamente si voleva sotterrare sotto una valanga di indifferenza e di sfacciato oblìo, i cui principali personaggi (stile Totò e Peppino, Gianni e Pinotto, Stanlio e Ollio, ma dai marcati connotati gangsteristici) sono realmente esistenti e si chiamano Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri. Per l'appunto, i due mammasantissima. Qui parlano i fatti, circostanziati ed univoci, non certo le chiacchiere o le suggestioni. In base alle motivazioni della sentenza d'appello (http://www.ansa.it/documents/1290197739418_48caf299f6d2b2d969d9394e8ea81767.pdf), a carico di Marcello Dell'Utri, risulta provato, oserei dire certificato, che l'attuale premier di Palazzo Chigi ha incontrato il boss mafioso Stefano Bontate il 29 maggio del 1974 (grazie all'interessamento di Dell'Utri) per chiedere, a una delle più potenti organizzazioni criminali esistenti nel mondo, una sorta di garanzia, di protezione per sè, per la propria famiglia e anche per la propria attività imprenditoriale (in quell'epoca Berlusconi era un famelico costruttore). Il motto di Silvio era (almeno credo sia stato così) "LAVORO, GUADAGNO, PAGO" e quindi PRETENDO. Una sintassi quasi filosofica in salsa edile che lo portava a credere che, pagando Bontate, poteva assicurarsi una sostanziosa sicurezza. Vale a dire essere in grado di decidere, tramite un esborso sostanzioso di denaro, il modo in cui sarebbe stato trattato dalla mafia. Berlusconi avrà forse pensato, in quel tempo, che l'essere diventato un intoccabile (protetto da un pezzo da 90 come era Bontate) rappresentava per lui un privilegio, una sorta di manifestazione indotta della propria potenza, soprattutto di natura economica. Dalle carte processuali si viene a sapere anche che l'imprenditore Berlusconi, tra minacce e attentati intimidatori, continuò a pagare la protezione di Cosa Nostra (per stare tranquillo) perlomeno fino al 1992, versando 50 milioni di vecchie lire all'anno. Praticamente noccioline, per uno del suo calibro, abituato a tuffarsi, tipo Zio Paperone, nella vasca Jacuzzi piena di bigliettoni da 100 mila lire (all'epoca) e da 500 euro (attualmente), credendo che il dio denaro tutto possa comprare e tutto possa risolvere. Sbagliando. E di brutto pure. La cosiddetta protezione della Mafia non si compra. La cosiddetta protezione della Mafia (una volta ceduto alle sue lusinghe o alle sue minacce) la si subisce. Non è una scelta, è una costrizione. E questo lo sa benissimo chi paga il pizzo per non subire ritorsioni. Perchè pagare la Mafia per avere garanzie di protezione significa, prima di tutto, pagarla affinchè non faccia valere le sue pretese, la sua arroganza, al di là delle somme concordate. Significa dunque mettersi nella condizione (paradossale) di ritrovarsi a pagare di fatto la propria sottomissione alle pretese della Mafia stessa. In questo modo, l'esborso di denaro serve NON a comprare qualcosa, ma a sancire quel preciso atto di asservimento e ad attestare il fatto che, chi paga, riconosce automaticamente il potere dell'organizzazione criminale che sta pagando, ovvero il potere che l'organizzazione criminale ha su chi paga. Per questo motivo (ancor più paradossalmente) la Mafia, in fin dei conti, non ha mai mostrato grande considerazione per chi paga. Anzi, essa ne approfitta, semmai, per avanzare pretese sempre più grandi, sapendo di poterselo permettere. Le cose vanno così, purtroppo, quando di mezzo c'è la Mafia e forse ce se ne accorge quando ormai è troppo tardi. Quando si prova a pretendere, ad esempio, di non pagare o di non corrispondere quel che non è affatto dovuto, nè in denaro nè in qualcos'altro. Ma questo discorso non può valere di certo (e, ripeto, le carte processuali lo testimoniano) quando i personaggi si chiamano Berlusconi e Dell'Utri, i due mammasantissima del ventunesimo secolo.
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