I fatti sono una gabbia

Da Marcofre

Non è la cronaca di un fatto avvenuto

Interrogata su che cosa fosse un racconto, Flannery O’Connor dichiarava di non saperlo. Al massimo, era capace di dire che cosa NON fosse, ed elencava appunto alcuni punti. Tra questi, quello che riporto all’inizio del post.

È confortante. A ben vedere, se si trattasse solo di quello sarebbe troppo semplice e alla fine persino noioso. Dei fatti sono già pieni a sufficienza i giornali, perché fare concorrenza a loro?

I fatti sono una gabbia, e chi prova a scribacchiare se ne rende conto abbastanza presto. Almeno all’inizio, si ricorre a questa soluzione perché in parte non si sa nulla della narrativa, e si immagina che sia giusto così. In fondo, Marcel Proust non ha fatto dell’autobiografia la materia della sua opera?

Indizio: quando si tira in ballo il G.N. (Grande Nome) spesso lo si fa perché si è troppo pigri per elaborare la propria strategia. Il proprio pensiero.

Diventa rassicurante, non è vero?

Proust è l’eccezione che conferma la regola, o meglio ancora: dice di scrivere della sua vita, ma in realtà nel momento stesso che mette giù la prima parola ha inizio la manipolazione. Narrare è manipolare. Perché osservo, quindi scarto: questo sì, questo no. Non è un cogliere tutto come si pensa, ma è un gettare nella fornace e attendere che esca solo l’oro, e il resto che se ne vada al diavolo.

La cronaca di un fatto permette di volare bassi, ecco perché si adotta questa strategia. Non ci si deve sporcare troppo le mani con la realtà, cercare oltre le apparenze: ci sono i fatti, maledizione! “Essi” parlano, diamogli solo in giusto palcoscenico.

Parlano? Davvero?

Non lo escludo, ma che me ne faccio di un palcoscenico e di un’altra voce che fa bla bla bla?

La narrativa, se guardo al lavoro degli autori che restano, non è mai l’esposizione di avvenimenti, ma qualcosa di meglio.

Spesso c’è una tensione che va oltre la realtà, svelando la presenza di quel bizzarro convitato di pietra che è il mistero. Ma siccome in pochi hanno il coraggio e la capacità di affrontarlo, lo si esclude. Buona parte del “lavoro” portato avanti con un certo successo dall’omologazione, è che c’è sempre una risposta a tutto, e se non c’è adesso basta sedersi e aspettare. Prima o poi arriverà.

Un po’ come il tipo che si siede sulla riva del fiume per veder passare il cadavere del suo nemico. Il quale passerà magari, ma siccome è un tipo con un senso dell’umorismo fantasmagorico, lo farà a bordo di un lussuoso yacht. Facendo ciao con la manina al tipo accoccolato sulla riva.

D’altra parte, perché parlare di mistero? È preferibile spingerlo fuori con discrezione dalla vita, e attenersi ai fatti. Quando qualcosa del meccanismo implode, oppure esplode, ci saranno a portata di mano i pompieri pronti a portare soccorso e a rassicurare.

La spiegazione di tutto sta arrivando, giusto? Un po’ di pazienza.

Purtroppo anche il solo parlare di morti di fame e poveracci è una minaccia perché costoro non sono così per ragioni logiche. Lo sono per motivi del tutto contrari al buonsenso, chiamiamoli pure illogici. Quindi meglio relegare tutto in un recinto sul quale magari scrivere la parola più rassicurante di tutte: solidarietà.

Che cosa non ci si inventa pur di rendere tutto piano e comprensibile. Si è persino disposti a fare del bene pur di non nominare quella mina vagante che è il mistero. Quella faccenda che spinge la gente ad attaccarsi alle bottiglie (Raymond Carver); o che induce la gente a dormire sulle panchine, mollando moglie e figli.

Ma stanno lavorando alla spiegazione, come no…


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