Ora, se si ha la pazienza e la prudenza di cercare per vedere come stanno le cose, indipendentemente da tessere politiche e dubbi di boutade da campagna elettorale, è facile trovare la risposta: sì, secondo diversi studi recenti i figli di coppie omosessuali tendono più facilmente a sviluppare un orientamento omosessuale.
Per onestà intellettuale va precisato che il parere ufficiale del più autorevole ente accademico mondiale a riguardo, l' APA (American Psychological Association), sostiene anche per questo aspetto la posizione "no difference" tra i figli di omo ed etero. Un pronunciamento del 2004 circa l'omogenitorialità affermava tra l'altro: "La ricerca [scientifica] suggerisce che l'identità sessuale (inclusa l'identità di genere, il comportamento di genere, l'orientamento sessuale) si sviluppa nello stesso modo per i figli di madri lesbiche come per i figli di genitori eterosessuali". Per ben 19 volte il breve pronunciamento cita le ricerche dell'omosessuale e attivista LGBT Charlotte Patterson, i cui risultati sono stati in passatoesclusi dal tribunale della Florida per mancanza di imparzialità osservabile nei gravi difetti di campionamento.
Un successivo documento sull'omogenitorialità pubblicato dall'APA nel 2005, sempre a cura della stessa Patterson, ribadisce la stessa posizione: "Nell'insieme, i dati non suggeriscono un tasso elevato di omosessualità tra i figli di genitori gay o lesbiche". La ricercatrice ha però l'onestà di riconoscere che uno studio (trascurato dal pronunciamento del 2004) ha rilevato una maggiore predisposizione, per i figli di lesbiche, a impegnarsi in relazioni omosessuali. Dato che il campione di questo studio è esiguo (21 casi), la Patterson conclude che il risultato "va interpretato con cautela". Ma dimentica di notare come, per gli studi "no difference", l'esiguità del campione sia la prassi comune. Dopo questi due documenti non sembra che l'APA sia tornata ex cathedra sulla questione: un recente (giugno 2012) comunicato stampa rimanda al pronunciamento del 2004.
Ma in questi 10 anni la ricerca è ovviamente andata avanti. Tra gli studi sulla questione si segnalano:
* Judith Stacey e Timothy J. Bibl (2001) su una revisione di 21 studi precedenti hanno trovato i figli di coppie omo più sessualmente avventurosi e inclini a impegnarsi in attività omosessuali;
* Cameron (2006) su 77 figli adulti di coppie omo ha trovato 23 (30%) omosessuali;
* Schumm (2010) su 262 figli adulti di coppie omo ha trovato 63 non eterosessuali (inclusi omosessuali, bisessuali, insicuri), pari al 24%;
* Gartrell, Bos, Goldberg (2010) intervistando 78 adolescenti 17enni, cresciuti all'interno di relazioni omo, ha trovato il 18,9% delle ragazze e l'8,1% dei ragazzi che si dichiarano bisessuali o prevalentemente omosessuali;
* Regnerus (2012) su 236 giovani adulti figli di coppie omo rileva che si dichiara interamente eterosessuale il 61% dei figli di lesbiche, il 71% dei figli di gay.
In definitiva, in tutti questi casi la quota di omosessuali è significativamente superiore alla media della popolazione in generale, che - pur tra varie oscillazioni nelle stime - si attesta a pochi punti percentuali del totale: non tutti i figli di omosessuali diventano necessariamente omosessuali, ma c'è una maggiore predisposizione a diventarlo.
Osservando la questione dal punto di vista puramente scientifico e razionale, può sembrare strano che l'APA non si premuri di aggiornare i propri pronunciamenti, anche solo per falsificare le conclusioni di studi come quelli qui riportati. E sembra ancora lontano il giorno in cui verranno esaminate (per accoglierle o rifiutarle) le ricerche che vanno contro alla vulgata del "no difference" su altri aspetti più salienti (vedi lo speciale apposito). Come p.es. il recente studio () che ha trovato i figli di coppie omosessuali più predisposti (+35%) alla bocciatura scolastica rispetto ai figli di genitori biologici.
E chi rischia di rimetterci, alla fine dei giochi, sono proprio questi minori.
Roberto Reggi