I film dimenticati. “Evil things – cose cattive”, guardate e riflettete

Creato il 03 ottobre 2014 da Fabio Buccolini

Il film prodotto dalla casa indipendente Inside di Luca Argentero è una pellicola di denuncia mascherata d’horror.

In Italia questo film è stato letteralmente dimenticato, non è servito il nome di Argentero come produttore o quello di Marta Gastini (I borgia) a convincere la grande distribuzione a farlo girare come si deve in tutta la penisola.
Quest’opera è stata presentata in tour. Esatto avete capito proprio bene, la produzione e tutto il cast a portato in giro per l’Italia la pellicola come se si andasse ad un concerto e dopo 3/4 date, il film è scomparso dal grande schermo e si è potuto recuperare in questi giorni quando la Eagle pictures ha deciso di distribuirlo per il mercato home video.
La trama è semplice (come in tutti gli horror) ma curiosa allo stesso tempo: 12 novembre 2011. Ore 17. Casa perduta, località Pianche. Una volta imboccato il sentiero sterrato, dopo il quinto tornante sulla destra, prendi la deviazione. Questa pagina si cancellerà automaticamente…”. Un messaggio, un blog, quattro ragazzi entrati a far parte di un gioco perverso. Un carnefice, il Master del blog, quattro vittime – nessuna veramente innocente – e un processo in diretta streaming su internet, in cui gli utenti voteranno per la vita o la morte dei protagonisti.
L’idea per la pellicola è nata di pari passo con quella del blog (realmente esistito – e monitorato – nella fase di preparazione del film) che esorta tutti i suoi frequentatori a sfruttare l’ingegno per dare vita alla creatività più grottesca, quella che poggia sulle frustrazioni, sulle fragilità e sulla drammatica voglia di protagonismo proprie dell’uomo. Un mondo (soprattutto quello che associa la rete al mondo dei giovani) spesso sfruttato come cartina di tornasole per portare alla luce e sublimare l’insana brutalità/malvagità che alberga e prolifera nelle persone soprattutto più fragili.
A questo quadro si associa la realtà intrinseca della velocità di diffusione e condivisione delle idee tipica delle odierne tecnologie, a rappresentare un male che può alimentarsi e propagarsi a velocità incontrollabile.
La domanda che sorge spontanea è: siamo difronte ad un altro (l’ennesimo) film indipendente italiano? La risposta è si, ma questa volta possiamo stare tranquilli. La pellicola è indipendente e girata con soli 106.000 euro ma stavolta, anche se non pienamente soddisfatti, possiamo trovare in quest’opera spunti finalmente interessanti e una messa in scena che stranamente non fa gridare all’obbrobrio, come succede sempre più spesso nel sottobosco underground del nostro cinema di genere. Sarò più chiaro, non si tratta assolutamente di capolavoro, ma era probabilmente dallo “Shadow” di Zampaglione e dallo sfortunato “Morituris” di Raffaele Picchio che non sembrava di stare assistendo al solito scherzo girato tra amici e arrivato così per caso al cinema.
La prova registica di Simone Gandolfo (alla sua prima prova dietro la macchina da presa) è conforme alla regola, non fa niente di eccezionale ma riesce a mantenere alta la tensione fino in fondo senza annoiare lo spettatore. La cosa migliore di tutta la pellicola è la scenografia. Grottesca, conturbante e malsana, cose che in un film italiano di questo genere non si vedeva dai tempi di Il bosco fuori di Gabriele Albanesi.
Quest’opera omaggia e non lo nasconde affatto, anzi è il suo punto di forza. Dalla drammaturgia di Saw (in assoluto il titolo più influente nel tessuto narrativo di Cose Cattive), passando per il richiamo estetico della trilogia Millennium (la brava protagonista Marta Gastini è una chiara rivisitazione di Lisbeth Salander), e attingendo ideologicamente al filone di adolescenza quale sinonimo di crudeltà legato a opere a impianto psicologicamente horror come Cruel Intentions. Non mancano i riferimenti al grande Hotchcock dove il suo Psycho è stato sicuramente di grande aiuto per la creazione del “master” ma si possono vedere riferimenti anche al “Seven” di David Fincher ed infine anche il Silas del Codice Da Vinci viene ripreso.
Insomma una pellicola che omaggia e lo fa bene, tutti i tasselli del puzzle sono incastrati perfettamente e il tutto funziona come un orologio.
Il tema principale, al quale molti spettatori non daranno sicuramente peso, è la rete e la velocità di condivisione delle cose, idee o qualsiasi cosa si decida di mettere alla mercé di tutti.
Quest’opera non è un horror per le scene splatter che mette in mostra ma per l’avarizia degli uomini nell’uso della tecnologia. Ci fa vedere la vera e cruda realtà, cioè quando siamo ridicoli.
Ci beviamo tutto quello che ci viene mostrato e non siamo in grado di staccarci da questo. Siamo schiavi della tecnologia, basta che ci diano una connessione, un dispositivo che si colleghi e non ci interessa cosa vediamo basta che siamo collegati.
La scena più raccapricciante non centra con il sangue, anzi è tutto il contrario. La cosa più vergognosa è che chi segue la diretta streaming del cosiddetto “gioco” non si rende conto di guardare una cosa reale fino alla fine. Questo vuol dire che siamo succubi dei media e che non ci interessa se sia finzione o realtà, basta che noi siamo presenti al “Massacro”.
Il Master del film non è un killer, ma siamo noi stessi che nonostante la bellezza della vita ci autodistruggiamo davanti ad uno schermo che ci monopolizza e ci rende vegetali.
Vi lascio con un quesito: Se quello che ci sembra vero fosse una finzione, se la vita che viviamo sia un’illusione creata ad hoc dai grandi media, cosa è veramente la vita eliminando la rete???
Riflettette…

FABIO BUCCOLINI



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