I film più interessanti di stasera (sab. 10 mag. 2014) sulla tv in chiaro

Creato il 10 maggio 2014 da Luigilocatelli

13 film.

Quella sera dorata, la7d, ore 21,20.
Un Ivory del 2009 abbastanza trascurato, soprattutto in Italia, ma parecchio interessante. Si sa, Ivory non è mai stato amato dalle nostre parti, marchiato a fuoco come autore formalista e incapace di andare oltre un cinema calligrafico e manierista. Mica tanto vero, anche se non raggiunge i vertici di Luchino Visconti o Joseph Losey, per citare due autori a lui affini. Tratto da un romanzo di atmosfere torbide, e anche esangui di Peter Cameron, Quella sera dorata riesce a andare oltre l’esercizio estetizzante per farsi indagine e esplorazione di un microcosmo in apparenza irreprensibile, e invece pieno di ombre e chiariscuri. Uno studente iraniano basato in Canada deve scrivere, per assicurarsi una borsa di studio, una biografia di Jules Gund, uno scrittore morto suicida dopo il suo unico romanzo. Ma gli eredi gli negano l’autorizzazione. Partirà per l’Uruguay, dove la famiglia di Gund vive dopo essere fuggita a suo tempo dalla Germania nazista, per cercare di districare il nodo. Resterà invischiato in una rete di collusioni oscure e segreti. Con Anthony Hopkins, Laura Linney, Charlotte Gainsbourg, Omar Metwally.

Hunger, La Effe, ore 22,20.
Primo film di Steve McQueen, anno 2008, e già si capì di che stoffa fosse fatto il gigantesco (in ogni senso) regista britannico. Hunger si sarebbe anche configurato come il primo passo di una trilogia assai coerente intorno al corpo, alle sue costrizioni e alle sue torture, alle sue gabbie e alle sue lacerazioni nei tentativi di uscire da quella gabbia, composta anche dai successivi Shame e il trionfante e oscarizzato 12 anni schiavo. Film, questo, che prende la narrazione anche classica e convenzionale intorno allo schiavismo americano per svellerla e piegarla al discorso sulla sopraffazione e sulla sottomissione, sul potere e il dominio attraverso la carne, la fisicità. Pelle, muscoli, masse corporee e incorporee. Hunger, del 2008, fa lo stesso, ricostruendo la prigionia di Bobby Sands, militante dell’Ira, nel carcere nordirlandese  di Long Kesh. Un universo brutale dove l’obiettivo nei carcerieri è quello di spegnere nei detenuti ogni spirito di ribellione, nei detenuti quello di resistere a ogni costo, resistere al ricatto, alla minaccia, anche alle blandizie. Un mondo chiuso, conncentrazionario, che anticipa già quello dei campi di cotone di 12 anni schiavo, ed è strano che non siano stati poi tanti a sottolinearlo. Bobby Sands ingaggerà uno sciopero della fame in sfida al governo britannico – l’obiettivo è di ottenere per i militanti dell’Ira lo status di prigionieri politici -, ma la Thatcher non cederà, e Sands morirà. Ucciso, anche, dal peso dell’ideologia, dall’impossibilità di spezzare il contratto di fedeltà alla propria causa e alla propria parte. Il film ci mostra  la discesa verso il nulla (in)corporeo di Sands con una fedeltà e un iperrealismo che sembrano a momenti sfiorare, da parte del regista, il voyeurismo e il sadismo. Sceneggiatura magnifica: vedere l’incontro di Bobby con il prete. Non si dimentica quella cella tutta imbrattata, quasi decorata di merda dal prigioniero. Michael Fassbender si mette fisicamente in gioco fino a diventare lui stesso uno spettro che cammina. Film grandissimo, Steve McQueen è un autore grandissimo.

Pollo alle prugne, La Effe, ore 0,05.
Marjane Satrapi abbandona l’animazione di Persepolis, ma torna raccontare lo stesso Iran, il suo Iran, l’Iran europeizzante di prima della rivoluzione khomeinista. Storia di un uomo cui spezzano il violino, e la vita. Grandissime invenzioni visive, ma un film che scivola pericolosamente nel patetico e si incaglia nei Grandi Discorsi sulla Vita e l’Arte. Peccato. (recensione completa)

Ballata dell’odio e dell’amore, Rai Movie, ore 1,00.
Un’escalation di orrori, crudeltà e mostruosità per raccontare la guerra tra due clown per l’amore di un’acrobata. Ma il film di Alex de la Iglesia ambisce anche a essere metafora politica e non si capisce bene il perché. Quello che vediamo per quasi due ore è un repertorio di immagine sordide, illuminato qua e là da bagliori di talento e formidabili invenzioni visive. Che però non bastano. Ma come hanno fatto a Venezia a dargli (era il 2010) due premi? (recensione completa)

L’ultima battaglia – The Front Line, Rai Movie, ore 21,10.
La guerra tra le due Coree degli anni Cinquanta in un film made in Seoul del 2011 che molto successo e grande eco ha avuto in patria, rappresentandola anche agli Oscar per il miglior film in lingua straniera. Niente a che fare con gli eroistici e patriottici film americani di mezzo secolo fa su quella guerra anticomunista, qui siamo in piena visione pacifista e antibellica, secondo la tradizione ormai consolidatasi al cinema dopo La sottile linea rossa e Salvate il sodato Ryan. Dove si mostra l’insensatezza della guerra in sé, al di là delle ragioni dell’una o dell’altra parte, dei vincitori e dei vinti. 1953, un ufficiale viene mandato da Seoul al fronte a indagare sulla strana morte di un soldato ucciso con un’arma amica. Il sospetto è che tra le file dell’esercito si nasconda un agente nord coreano. L’indagine dovrà fare i conti con il macello quotidiano, scontri per riconquistare una collina diventata cimitero dell’una e dell’altra parte da tanti sono i cadaveri. Da vedere assolutamente, perché il cinema coreano è tra i più vitali oggi su scala planetaria, robusto, anche a costo di affondare nel trucidume, dal segno sempre fortissimo. Oltretutto questo The Front Line del regista Hun Jang lo si è visto quasi niente in Italia, ed è una ragione di più per non perderselo.

L’allenatore nel pallone, Iris, ore 21,01.
L’allenatore nel pallone – con Lino Banfi nei panni di Oronzo Canà confuso e naïf allenatore della Longobarda, scalcinata squadra di calcio del Nord profondo – quando uscì nell’84 ebbe un successo da B-movie. Solo che con il tempo è diventato un culto, vendutissimo in dvd, tanto che il regista-produttore Sergio Martino nel 2008 ne ha fatto un sequel. Che è soprattutto un omaggio a Lino Banfi. Stracitato nei talk calcistici delle tv locali. Film a chiave: Canà era ricalcato nel suo ruspantismo e i toni vernacolari sull’allora famoso e, così lo si definiva, pittoresco Oronzo Pugliese, il calciatore ricccioluto Aristoteteles (genialata) invece sul brasiliano Socrates, recentemente scomparso. La moglie di Oronzo si chiama Mara, dunque Mara Canà, come lo stadio leggendario di Rio. Cose così, di una comicità semplice oggi sostenibile e digeribile solo col filtro della nostalgia. Un film, in fondo, che era rimasto al decennio prima e al sottogenere della commedia da suburra, un film già allora sopravvissuto ai propri simili, film-chiusura di una stagione. Con Gigi e Andrea, sempre vogliosi di sesso e bonazze. Così si rideva, così si giocava a pallone.

Addio zio Tom, Iris, ore 1,14.
Imperdibile, ma davvero. Per alcuni il vertice cinematografico, e anche di follia, di delirio, di visionarietà, di Gualtiero Jacopetti e del suo sodale-complice Franco Prosperi. Jacopetti: l’uomo che con Mondo cane aveva inventato all’inizio dei Sessanta il docu, vero o finto che fosse (più finto che vero), sugli orrori, le bizzarie, gli estremismi di questo nostro pazzo pazzo pazzo mondo. Cinema voyeuristico e sadico, con scivolamenti nel necrofilo, che, con la pretesa e il pretesto di mostrarci la cruda realtà per quella che è, mette in scena lo spettacolo barocco ed estremo del sangue, del sesso, dell’orrido, della sofferenza, del primitivo, del brutale. Cinema della crudeltà e anche del cinismo, però cinema vero, a tratti grandissimo, ancora oggi segretamente guardato e copiato da schiere di autori. Questo Addio zio Tom/Zio Tom (il doppio titolo del film è dovuto alle sue traversie distributive dovute alla censura, che ne impose una riedizione) è del 1971, a stagione ormai declinante dello jacopettismo e dei mondo-movies, e difatti fu un flop. I tempi e i gusti erano cambiato, tutto si era politicizzato, e il cinema equivoco, tacciato anche di fascismo, di Jacopetti stentava a trovare ormai cittadinanza. Eppure è qui che lui e Franco Prosperi reinventano se stessi e il proprio genere, oltrepassandolo, in qualche modo sublimandolo e assolutizzandolo. Addio zio Tom non si spaccia più per documentario, ma si dichiara definitivamente finzione. I due si mettono in scena come cineasti-reporter di oggi che, armati di macchina da presa, indagano sul fenomeno dello schiavismo ottocentesco buttandosi dall’elicottero, in un incredibile salto di spazio e tempo, in mezzo a schiavi, schiavisti, campi di raccolta, intervistando i protagonsiti e mostrando dal di dentro e in diretta quel colossale fenomeno di sfruttamento di corpi e anime. Un’invenzione linguistica grandissima, di enorme efficacia, che abolisce ogni distinzione tra docu e finzione anticipando l’estetica e la tecnica del mockumentary. Scene di nudi e di negritudine riprese con un’ingordigia che suscitarono scandalo. Girato tutto ad Haiti grazie all’appoggio del regime di Duvalier, e questo a Jacopetti non fu mai più perdonato. Un critico americano l’ha recentemente citato e rispolverato, non impropriamente, a proposito di 12 anni schiavo di Steve MacQueen. Quella lussuria alquanto ambigua dei corpi esibiti e flagellati, in una sorta di incarnazione seriale di un San Sebastiano black, era già tutta in Jacopetti.

Matrix, Mediaset Italia 2, ore 21,14.
La realtà virtuale come scenario di una storia, di una narrazione. Ci avevano già provato ben prima altri film come Tron e Nirvana, ma è Matrix nel ’99 a centrare pienamente il bersaglio. Matrix è la grande macchina virtuale che ha succhiato dentro di sè gli umani, anche se proprio da loro è stata inventata, e li fa vivere in un mondo separato, artificiale e de-realizzato. Non più umano. Un gruppo di ribelli vuole liberare i nuovi anche se inconsapevoli schiavi e trova un leader, Neo, colui che è l’Eletto (Keanu Reeves). Tutto il neoluddismo, tutte la paranoie antitecnologiche della nostra contemporaneità che dalla tecnologia è così attraversata, si riversano in questo magnifica creazione filmica dei fratelli Larry e Andy Wachowski, che fissano con Matrix uno spartiacqe – e non si esagera – nella storia del cinema. Da allora qualcosa è successo a uno dei registi Larry Wachowski, che ha cambiato sesso e si è trasformato in una donna di nome Lana. Tant’è che al recente festival di Toronto 2012 si è presentato ufficialmente come tale, firmando per la prima volta col nome Lana Wachowski Clouds Atlas), girato insieme a Andy e al tedesco Tom Tykwer.

Un sacco d’oro, Rete Capri, ore 21,00.
Musical del 1941 di George Marshall con James Stewart, non proprio un habitué del genere, e Paulette Goddard. Un nipote che ama il jazz, uno zio che lo detesta. Baruffe tra i due, soprattutto quando il nipote userà quella musica così poco amata per un commercial radiofonico dell’azienda di famiglia. Provate a indovinare come finirà. Plot che è poco più che un pretesto per suonare e cantare.

Intersections, Rai 4, ore 22,51.
Noir con uso di deserto di produzione francese (anzi, di produzione Luc Besson) dell’anno scorso, uno di quei film che i critici amano maltrattare, ma che nascondono qualcosa di anomalo, stravagante, eccentrico, interessante. Qui è l’incrocio del glorioso cinema coonial-desertico francese (La bandera, Il bandito della Casbah, ecc.) con i modi e i luoghi narrativi dell’intrigo passionale. Una donna progetta di uccidere il ricco e odiato marito, con l’aiuto dell’amante, durante il viaggio di nozze in Marocco. Ma ci sarà l’imprevisto. Marito e moglie rimangono insabbiati nel deserto, e sarà l’inizio di un’avventura con precchie sorprese. Gilm che è meglio della sua cattiva fama.

Fotografando Patrizia, Cielo, ore 21,10.
Il lancio di Monica Guerritore come stella dell’erotico italiano d’autore (o, meglio, pretenziosamente arty) dei nostri anni Ottanta. Arriverà poi la consacrazione con Sensi e Scandalosa Gilda dell’allora suo compagno Gabriele Lavia. Qui il regista è Salvatore Samperi, che di impudicizie e segreti d’alcova si era già parecchio occupato in Malizia e ancora prima nel meraviglioso Grazie zia mostrando di averci la mano, e la vocazione. In Fotografando Patrizia riprende, proprio da Grazie zia, il tabù (infranto) dell’incesto, e se là le cose erano tra zia e nipote, qui sono, più pericolosamente, fra fratello e sorella. Il tutto, ancora una volta e samperianamente, in una villa del Veneto. Patrizia torna nella casa di famiglia, dopo un lutto, per occuparsi del fratello sedicenne da sempre considerato fragile di salute e di una ipersensibilità sconfinante col patologico. Scoprirà che il demone di lui è il desiderio per lei. Sbertucciato dai critici, ma benissimo accolto dal pubblico, e Guerritore espugnò il pubblico maschile.

Scusi, lei è normale?, Vero tv (canali 55 e 144 dt), ore 22,30.
Commedia del 1979 firmata da Umberto Lenzi, regista aduso ad altri generi come il thriller e il poliziottesco, ma dotato di tale mestiere e eclettismo da cavarsela più che onorevolmente anche qui. L’interessante di Scusi, lei è normale? è che si tratta di omosessualità, e tuttosommato con una certa benevolenza. Siamo sulla scia di Il vizietto, il film che aveva sdoganato qualche anno prima la questione gay trasformandola in architrave narrativa di un immenso successo popolare (e planetario) e imponendola come discorso cinematografico. In questo film abbiamo un pretore moralista, un suo nipote che vive clandestinamente con un travestito di nome Nicole, una ragazza troppo bbona e tentatrice. Ci saranno qui-pro-quo e qualche complicazione pubblica e privata.

Dan il terribile, Rai Movie, ore 23,35.
Antico western del 1952 dell’assai rispettato e molto rivalutato Budd Boetticher, autore di un cinema fatto con pochi mezzi ma altamente efficace, rude e diretto. L’opposto del cinema dei fronzoli e degli eccessi. Qui il plot ruota intorno alla rivalità di due fratelli-coltelli, che son poi Rock Hudson e Robert Ryan. Con una qualche eco di Duello al sole di King Vidor.


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