I film ritrovati. “Babadook” acclamato come capolavoro…ma scherziamo?

Creato il 09 ottobre 2015 da Fabio Buccolini

Molto spesso la pubblicità è ingannevole. Questo film ne è un esempio. Uscito in piena estate, è stato pubblicizzato come il miglior horror dell’anno paragonato a capolavori della cinematografia dell’orrore. Niente di più vero.

Il progetto dell’australiana Jennifer Kent parte da un suo corto, “Monster”, del 2005. Trovati i fondi per produrre una pellicola vera e propria, imbastisce questo “Babadook”.Chiariamoci, non tutto è da buttare; l’idea di base è abbastanza curiosa o almeno voleva presentare il tema delle possessioni unita alla classica storia dell’uomo nero in maniera diversa dal solito.
Ecco a voi un accenno di trama: “Sei anni dopo la morte violenta del marito, Amelia è ancora in lutto. Lotta per dare un’educazione al figlio ribelle di 6 anni, Samuel, un figlio che non riesce proprio ad amare. I sogni di Samuel sono tormentati da un mostro che crede sia venuto per ucciderli entrambi. Quando l’inquietante libro di fiabe Babadook arriva in casa, Samuel è convinto che il Babadook sia la creatura che ha sempre sognato. Le sue allucinazioni diventano incontrollabili e il bambino sempre più imprevedibile e violento. Amelia, seriamente spaventata dal comportamento del figlio, è costretta a fargli assumere dei farmaci. Ma quando Amelia comincia a percepire una presenza sinistra intorno a lei, inizia ad insinuarsi nella sua mente il dubbio che la creatura su cui Samuel l’ha messa in guardia possa essere reale.

Il film abbraccia una “filosofia più orientale”. Il legame madre-figlio e la paura di natura psicologica ricordano molto film come “The Ring” o “Dark Water”. L’opera è ricca di citazioni, lo stesso Babadook sembra ispirarsi ad alcuni classici del cinema espressionista come “L’uomo che ride” di Paul Leni.
Come tutte le pellicole orientali di rilievo in questo genere, “Babadook” cerca di creare terrore nello spettatore tramite il classico canone del “vedo non vedo” ma la tensione stenta ad arrivare. La pellicola parte dopo abbondanti 45 minuti, e tutta l’originalità e curiosità che aveva creato nei primi 5 si perde pian piano per strada arrivando ad un finale presso che scontato lasciando lo spettatore a chiedersi: ma perché? La curiosità di quest’ultimo non è data da un finale aperto che preannuncia un sequel ma a gravi carenze di sceneggiatura che mandano in confusione lo spettatore fino all’epica conclusione che si può classificare proprio come ridicola.
Una nota a favore dell’intero progetto è il sonoro davvero ben realizzato, con tanti scricchioli, rumori sinistri e porte che cigolano; l’unico senso di angoscia che suscita allo spettatore lo danno proprio questi elementi.
Se per l’aspetto horror il film non è affatto questo capolavoro che ci si aspettava, i tanti applausi della critica sono giustificati. Jennifer Kent scava a fondo nei tormenti della protagonista partendo da una mitologia ben radicata nell’immaginario horror e mostra come si potrebbe trovare la luce a patto di saper convivere con i propri demoni. Perché nonostante i nostri sforzi il male è parte integrante dell’animo umano, solo che non riusciamo a vederlo.
Molti film in Italia non arrivano e questo poteva tranquillamente restare reperibile solo tramite il “mercato” underground. C’erano e ci sono opere che, più di questa, avrebbero meritato il buio della sala.
Vi lascio con un quesito…secondo voi, ne avevamo veramente bisogno???

FABIO BUCCOLINI



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