Questo il tema della pellicola di Rama Burshtein, che racconta di Shira (Hadas Yaron), una ragazza di buona famiglia che, dopo la morte della sorella maggiore, è costretta a rinunciare al suo sogno di matrimonio. La madre vorrebbe lei sposasse l'ex marito della sorella, per non perdere il nipote neonato, e sarà molto dura decidere per la giovane Shira, combattuta tra sentimento e obbedienza filiale. L'argomento in questione, di fatto, è molto delicato e il film avrebbe potuto essere molto più pesante, molto più intenso e crudo, ed invece il taglio che viene dato dal regista è molto più leggero, pur mantenendo attimi di dramma e di forte coinvolgimento a livello emotivo. Un film girato molto bene, in cui spiccano in particolare una fotografia ben curata e una colonna sonora che permette di respirare il clima e l'atmosfera dei luoghi in cui si svolge la narrazione, grazie ad una fisarmonica che è il vero elemento costante in tutto il film, capace di accompagnare il dramma e la gioia. Inoltre, l'aspetto autoironico non è da mettere in disparte, anzi, saper scherzare sul ruolo del rabbino - cui da una sconosciuta viene addirittura chiesto che tipo di forno comprare - o dei matrimoni combinati, per cui spiccano i dialoghi freddi e volutamente agghiaccianti tra promessi sposi che più lontani tra loro non potrebbero essere. Il finale è intenso, dopo attimi di tensione emotiva, causata dalla scelta di Shira, ma anche della sorella, che sembra essere destinata ad una vita di solitudine e che invece riuscirà a trovare la gioia. Gli applausi ricevuti a Venezia sono il giusto riconoscimento per un film intenso, che nonostante l'argomento non troppo leggero riesce a far interessare lo spettatore.
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