L’attesa era grande: Dumont è considerato da molti un elemento cardine del nuovo cinema francese grazie ad opere come L’età inquieta (fulminante esordio del 1997 che stigmatizza il vuoto dell’esistenza) o L’umanità (1999, estremizzazione della sua poetica in cui il regista, già professore di filosofia, teorizza evangelicamente il male nel mondo). Quei tempi appaiono però lontani.
Il declino, iniziato con Flandres del 2006 (interessante ma supponente riflessione sulla terra natia intesa come ventre materno) e proseguito con il vanamente simbolico Hors Satan (2011), appare evidente in un film che rifiuta la spontaneità (caratteristica presente ad inizio carriera) in favore di un cinema anti-narrativo e forzatamente ostico, risultando vuoto e supponente.
Anche la scelta di trattare un brevissimo periodo nella vita della protagonista si rivela errata, privando la biografia di completezza e di una visione d’insieme che non può certo arrivare da poche didascalie.
Persino la brava Binoche (che desiderava ardentemente essere diretta da Dumont: “credo che abbia la capacità di guardare nell'animo delle persone con la macchina da presa, perciò l'ho contattato per lavorare con lui”) è meno intensa del solito, poco convinta e spaesata.
Un’occasione mancata per un film che poteva essere ben più riuscito e interessante.
Voto: 1,5/4