Basato sull’omonimo libro di memorie della scrittrice australiana Robyn Davidson, il film traspone sullo schermo l’impresa della Davidson, documentata dal fotografo Rick Smolan del National Geographic, che nel 1977 attraversò il deserto australiano partendo da Alice Springs fino ad arrivare all’Oceano Indiano, compiendo un percorso di 3.000 chilometri con la sola compagnia di quattro cammelli e del suo fedele cane.
Viaggio into the wild alla ricerca di se stessi, il film non riesce a cogliere lo spirito dell’attraversata compiuta dalla scrittrice, fermandosi su un piano puramente illustrativo. Il desiderio di libertà, l’insofferenza di una donna confinata in una realtà che sente stretta, la voglia di evasione e di fuga da ogni imposizione precostituita, sono trasmessi senza sfumature né soluzioni volte ad un più che legittimo coinvolgimento emotivo. Come ogni road-movie che si rispetti, al viaggio inteso come spostamento fisico si sovrappone l’analisi introspettiva del percorso interiore di chi lo sta compiendo: qui, purtroppo, la seconda dimensione è subordinata a soluzioni che, in un’ipotetico range di giudizio, variano dal didascalico al banale.
Curran non riesce nemmeno a cogliere il fascino del paesaggio australiano, così selvaggio e vitale da poter divenire potenzialmente un co-protagonista d’eccezione. La natura ostile con cui si confronta “la signora dei cammelli”, interpretata da un’intensa Mia Wasikowska (attrice tra le più brave della sua generazione), rimane sullo sfondo, come in una immensa cartolina filmata per 110’. Peccato.
«I viaggi con i cammelli non iniziano e non finiscono, semplicemente cambiano forma».
(Robyn Davidson)
Voto: 2/4