La missione di Yael è di realizzare un reportage sulla vita della donna, riportando alla luce gli eventi più significativi, attraverso le testimonianze delle persone a lei prossime: il marito, la figlia, e gli abitanti delle baracche limitrofe.
Il film si distingue essenzialmente per lo stile di regia con cui è girato, ossia un unico piano sequenza in formato 1:25, dalla durata di ben 84 minuti, che come dichiarato dallo stesso Gitai, è stato adottato per legare i frammenti dei ricordi dei personaggi intervistati con le contraddizioni storiche da loro stessi raccontate.
Sebbene tale esempio di virtuosismo tecnico risulti quantomeno coraggioso e quindi per certi aspetti apprezzabile, gli aspetti meno convincenti sono da rintracciare nella narrazione sulla quale grava una sequela di lunghi e ridondanti monologhi, senza però farne corrispondere da parte di Gitai una adeguata riflessione sulle diversità culturali, che non si riduca a mero atto documentativo. L’impressione principale che si avverte al termine della visione è quella di avere assistito ad una didattica e pedissequa trasmissione di fatti, impartita da un professore sicuramente preparato, ma in questo caso non sufficientemente abile a conferirne il necessario spessore emotivo
Voto: 2/4