« Remember, remember,
the fifth of November,
Gunpowder, treason and plot.
I see no reason
why Gunpowder treason
Should ever be forgot! »
« Ma in questa notte estremamente fausta, permettimi dunque in luogo del più consueto nomignolo di accennare al carattere di questa "Dramatis Persona". Voilà! Alla Vista un umile Veterano del Vaudeville, chiamato a fare le Veci sia della Vittima che del Violento dalle Vicissitudini del fato. Questo Viso non è Vacuo Vessillo di Vanità, ma semplice Vestigia della Vox populi, ora Vuota, ora Vana. Tuttavia questa Visita alla Vessazione passata acquista Vigore ed è Votata alla Vittoria sui Vampiri Virulenti che aprono al Vizio, garanti della Violazione Vessatrice e Vorace della Volontà. L'unico Verdetto è Vendicarsi... Vendetta... E diventa un Voto non mai Vano poiché il suo Valore e la sua Veridicità Vendicheranno un giorno coloro che sono Vigili e Virtuosi. In Verità questa Vichyssoise Verbale Vira Verso il Verboso, quindi permettimi di aggiungere che è un grande onore per me conoscerti e che puoi chiamarmi V». (Monologo di presentazione di V a Evey Hammond, V per Vendetta, James McTiegue, 2005)
A 20 anni di distanza dall’uscita della graphic novel , i fratelli Wachowski, sulla cresta dell’onda dopo la trilogia di Matrix – anche se solo il primo dei tre film resta nella memoria – producono una trasposizione cinematografica dell’opera di Moore e Looyd, V per Vendetta, diretta da James McTeigue, incontrando anche il disappunto dell’autore. Eppure, a ben vedere, si tratta di un film incredibile, dotato di una violenza espressiva e verbale fuori dal comune, distaccato da qualsiasi altro prodotto del genere. V per Vendetta, pur distaccandosi parecchio, soprattutto nell’atmosfera, dall’opera di Alan Moore, resta un’operazione notevole, in quanto il regista è riuscito a coniugare un apparato stilistico impeccabile, impreziosito da quella slow motion che Matrix ha reso celebre (e abusata), ad una sceneggiatura incantevole, fatta di monologhi che sono insegnamenti di retorica, tutti pronunciati in maniera perfetta da uno straordinario “agente Smith” Hugo Weaving, capace di donare espressività ad una maschera solo grazie ai movimenti del corpo e alle sue parole. In effetti, difficilmente sarebbe ipotizzabile una scelta migliore: V è un personaggio ambiguo, assetato di giustizia ma convinto che il fine giustifica sempre i mezzi, capace di essere assassino senza scrupoli, metodico, ma anche dotato della sensibilità dei poeti e degli artisti, sfoggiando anche una teatralità che lo rende unico. Uno degli esempi chiave può essere l’esplosione dell’Old Bailey, annunciata dal risuonare dell’Ouverure 1812 di Cajkovskij nelle strade svuotate dal coprifuoco: è il preavviso di ciò che accadrà il 5 novembre, ossia che sarà il parlamento di Londra ad esplodere. V è un personaggio profondamente simbolico, ed è doveroso sottolineare come nel film si sia fatto il possibile per non perder nulla della sua complessità, basti pensare al suo monologo introduttivo, con 44 V pronunciate, o alla cella in cui si trovava, la numero 5 (V), o ad alcuni dettagli minuziosi: quando esplode il parlamento, sono le 23.05, per cui è una V che si vede sull’orologio del Big Ben. Questi particolari rendono V, e in generale V per Vendetta, un film sicuramente non accessibile a tutti, talmente carico e studiato che ogni personaggio ha una sua storia, un suo passato e molte sfaccettature, tali che a volte è difficile scindere dove stiano il bene e il male. Distruggendo chi ha causato il massacro di Larkhill, V uccide anche i mali che potrebbero distruggere una qualsiasi società: polizia corrotta, dottori accecati dalla fama al punto da utilizzare uomini come cavie per esperimenti, sacerdoti pedofili e omertosi, televisioni che ammorbano e ipnotizzano, finendo per comandare e decidere l’opinione pubblica.
«I popoli non dovrebbero avere paura dei propri governi, sono i governi che dovrebbero avere paura dei propri popoli». (V, V per Vendetta, James McTeigue, 2005)
Questo è solo uno degli aforismi che permette di comprendere lo spirito e la profondità di cui V per Vendetta è testimone. Si tratta infatti di un film molto meno cupo di quanto non lo sia la graphic novel, ma che nella sua rapidità, nella sua violenza e nelle sue azioni riesce comunque a trasmettere un messaggio potente. Certo, per l’adattamento è normale modificare la storia d’origine, anche se alcune tavole sembrano state utilizzate per lo storyboard, soprattutto se l’ambizione è dare vita a qualcosa di personale, ed ecco allora che la giovane Evey – una spendida Natalie Portman – sia una giornalista acqua e sapone dal passato travagliato, e non una ragazzina sciocca che si prostituisce per guadagnare del denaro, salvo poi redimersi e aiutare V nel suo piano. Anche Finch, l’unico personaggio realmente positivo del film, assieme a Evey, nel fumetto fa parte di coloro che vogliono distruggere V. Le altre differenze sono molto più formali, ma poco significative, e se Alan Moore si è distaccato totalmente dall’opera di McTeigue, come del resto già aveva fatto per Watchmen, di Zack Snyder, è più per una questione di complessità artistica e di atmosfera, indubbiamente e logicamente più elaborate e fitte in un volume stampato di quanto non possano essere in 136minuti di pellicola. Eppure è difficile racchiudere l’essenza di un’opera così grande, perché riduttivo pensarla solo in termini di rivoluzione, anarchia e critica politica, perché il rapporto tra V ed Evey, nella pellicola, è romantico in maniera non convenzionale, come del resto anticonformista è V, con la sequenza della tortura che resta uno dei momenti più alti del film, in cui il regista ha saputo raccontare il passato doloroso di V, le sue vere ragioni, e la dicotomia esistente tra lui e la giovane giornalista, che nel momento della consapevolezza e della libertà urlano entrambi a braccia alzate, uno nelle fiamme, l’altra sotto la pioggia. Complementari. Ed è lei, nell’incipit, a riprendere la poesia:
“Ricorda per sempre il 5 novembre, il giorno della congiura delle polveri contro il parlamento. Non vedo perché di questo complotto, nel tempo il ricordo andrebbe interrotto. Ma l’uomo? SO che il suo nome era Guy Fawkes e so che nel 1605 tentò di far esplodere il parlamento inglese. Ma chi era realmente? Che tipo d’uomo era? Ci insegnano a ricordare le idee e non l’uomo, perché l’uomo può fallire. L’uomo può essere catturato, può essere ucciso e dimenticato. Ma 400 anni dopo ancora una volta un’idea può cambiare il mondo. Io sono testimone diretto della forza delle idee, ho visto gente uccidere per conto e per nome delle idee, li ho visti morire per difenderle…Ma non si può baciare un’idea, non puoi toccarla, né abbracciarla; le idee non sanguinano, non provano dolore… Le idee non amano. Non è di un’idea che sento la mancanza, ma di un uomo. Un uomo che mi ha riportato alla mente il 5 novembre: un uomo che non dimenticherò mai.”