E' la microstoria che riflette la macrostoria quella di Ernesto (Elio Germano, inattaccabile e perfetto), che da umile tappezziere al seguito del padre diventa cuoco d'asilo, poi traslocatore e addirittura scagnozzo di un losco trafficone invischiato in Tangentopoli. Ernesto guarda coi suoi occhi tondi e sgranati il cadavere di Moro, mentre i suoi capelli si accorciano e le zampe dei jeans si restringono. Festeggia i Mondiali dell'82. Diventa amico di un grande pittore. Respira da vicino l'aria pesante e artefatta del craxismo. Viene invitato, disorientato e fuori luogo, alle feste dorate dell'Italia da bere. Si ritrova immerso in una società che perde di significato, incantata dal ghigno ipnotico di un certo imprenditore lombardo. Incappa nella malasanità. Sempre accanto alla moglie Angelina, un'anima trasparente e devota. E alla fine ride, immerso nella spazzatura, e piange al contempo, felice di essere una persona semplice, con il vago rimpianto di non aver avuto di più dalla vita.
Elio Germano, uno dei migliori attori della sua generazione, riesce a rendere vero il suo Ernesto, a trenta come a sessant'anni, merito anche del lavoro incredibile del truccatore Luigi Rocchetti, un vero fenomeno. La timidezza, l’insicurezza, l'incedere in punta di piedi del personaggio, vengono cesellati dall’attore in una performance delicata, mai sopra le righe, conferma definitiva del suo straordinario talento. Oltre ad un protagonista in stato di grazia, completano il cast alcuni comprimari d’eccezione: Alessandro Haber isterico e buffo maestro di arte e vita, Sergio Rubini, laido truffatore, Alessandra Mastronardi, dolce compagna, Virginia Raffaele, olgettina ante-litteram. Ma la vera sorpresa e' Ricky Memphis, l'amico di sempre di Giacinto, vero esemplare di italiano medio, furbo, arraffone, approfittatore, disonesto: come i gatti, cade sempre in piedi, nonostante dietro al suo ghigno compiaciuto si intraveda il dramma del vuoto interiore.
Una bella prova per Veronesi, che si distanzia dalla commedia tout court per regalare graffi di amarezza e sarcasmo, ispirandosi, a sua detta, agli intoccabili del cinema italiano, Risi, Scola, Monicelli.
Divertente e nostalgico "cameo" di Carmelo Bene, ai tempi del MCS, che regala una perla: «Il talento fa quello che vuole. Il genio fa quello che può».
Voto: 2,5/4