Difficile non alzare bandiera bianca, dinanzi ad un film per molti versi sconcertante come Another Me, che arriva giusto in coda nel concorso dell’ottava edizione del festival internazionale del film di Roma e francamente non si capisce neanche cosa ci faccia, in una selezione ufficiale. Operazione risibile da qualsiasi lato la si voglia osservare, che gioca col tema del doppio e con l’angoscia di una messa in scena perturbante generando però più un effetto di comicità involontaria che altro. Tutto speso tra ridondanti e inguardabili giochi di specchi e patinati pasticciacci di regia, il film della Coixet, da sempre sopravvalutata ma mai abbassatasi a simili nadir, inanella un almanacco di piccole trovate alimentari che dovrebbero risultare a loro modo fascinose ma non fanno altro che far scempio di ogni buon gusto con reiterato sprezzo del ridicolo.
Scritte sui muri, didascalismi così pesanti da far sorridere, rivelazioni grossolane che irrompono nella narrazione senza né capo né coda, tra vari elementi non plausibili e semplificazioni da letterina di seconda elementare. Un film che sembra esporsi più o meno volutamente ai fucili spianati lottando strenuamente per attirarsi ogni tipo di condanna immaginabile, sia a livello estetico che per la pedestre fattura della sceneggiatura. Gli inserti sinfonici sono poi la cosa peggiore: quando a delle immagini prive di qualsiasi interesse si aggiunge un uso maldestro e disastroso del sonoro si ha l’impressione a metà tra il serio e il faceto di avere davanti qualcosa di troppo insulso anche per la serie Z, un aborto inspiegabile, fuori da qualsiasi canone di sufficienza e accettabilità.
Non aiuta di certo la recitazione palesemente enfatica e finta della protagonista Sophie Turner, sballottata continuamente attraverso gli eccessi stucchevoli di un film talmente esile da somigliare a una favoletta abortita, a un divertissement se non nelle intenzioni per lo meno nei risultati che non offre altre chiavi di lettura al di là della risatina tra il commiserante e l’incredulo. La deriva del finale alla Black Swan (film che capovolgeva in punti di forza tutti i difetti di Another Me) e qualche pretenzioso sottotesto malamente suggerito qua e là (il laboratorio teatrale scolastico sul Macbeth con Jonathan Rhys Meyers insegnante) rappresentano il colmo della misura per un filmaccio irricevibile, che dà l’idea di essere stato inserito in concorso più per la parvenza glamour e catchy che sembra ispirare dall’esterno che per meriti reali.
Voto: 1/4