I fiori della beatitudine

Da Sharatan

"Essere, semplicemente essere, è una sfida"
(Tahar Ben Jelloun )

Secondo Osho, l’occidente basa le sue tradizioni e le sue idee su cose morte da molti secoli, per questo l’uomo occidentale sente all’interno del suo essere una sorta di morte. Se ogni uomo si riconosce per la compagnia con cui ama stare, la mente occidentale è ingombrata di troppe cose che sono inutili per guidarlo nella conquista della felicità, e sebbene il suo pensiero riesca a costruire complicate metafisiche, la mente occidentale non è avvezza ad interessarsi della sua essenza interna.
L’uomo è troppo disinteressato a ciò che gli è vicino, perché è un fatto scontato ed è il più ovvio da vedere, perciò l'uomo s’impegna a studiare ciò che è sempre più lontano, infatti è sbilanciato verso lo spazio remoto su cui concentra tutti i suoi interessi. Il punto focale dell’occhio occidentale è sbagliato, infatti la nostra mente occidentale si preoccupa solo della periferia e della superficie delle cose, perchè per secoli abbiamo costruito e coltivato delle ideologie, delle pratiche educative e degli strumenti sociali per sviluppare l’io.
Questo stato di cose è fin troppo logico e non ci deve stupire, perché la civiltà occidentale è molto competitiva e gli individui lottano ferocemente per le stesse cose, infatti tutti ricercano i medesimi obiettivi e oggetti, ed è evidente che, se coloro che rincorrono le stesse cose sono troppi, non tutti le possono ottenere. Evidentemente, in un ambiente che vive solo di competizioni nessuno può essere tenero, non puoi essere gentile e non puoi comportarti bene con gli altri, ma devi essere pronto a rispondere colpo su colpo.
Nessuno deve preoccuparsi dei mezzi da usare per raggiungere lo scopo, infatti se il fine è ambito non vi è alcun mezzo che sia inadeguato, e niente è inopportuno se è funzionale ai fini. Tutto giustifica tutto, e tutto è ridotto alla mercificazione dall’etica moderna che è basata sullo sfruttamento, e sulla prostituzione totale delle persone, delle idee e dei sentimenti. Poiché tutto si basa sulla competizione è solo il più furbo e disinvolto che vince perché è carente delle elementari norme di correttezza nel suo comportamento, infatti per vincere devi lottare senza esclusione di colpi sapendo tacitare gli scrupoli.
Se vuoi essere ricco devi guardare la meta concreta, e non devi preoccuparti se stai travolgendo tutto ciò che incontri perché sbarra la strada delle tue ambizioni che diventano infinite come fame e sete inestinguibili, ma le coltiviamo e avanziamo perché conta solo raggiungere la vetta. Tutto quello che conta diventa come rinforzare e consolidare il nostro ego per poter aspirare a essere i primi del mondo, e per essere superiori a tutte le regole e per fare tutto ciò che vogliamo, perché noi siamo quelli che possono e tutti si devono inchinare alla nostra volontà.
Se troviamo l'occasioni per una riflessione lucida vediamo come la nostra educazione rinforza l'evoluzione violenta delle persone, perciò anche partendo da prospettive politiche diverse, e pur disponendo del medesimo tipo di materiale umano, seppure si promuovano delle diverse forme di struttura politica e, malgrado diversi tipi di energie personali, purtroppo vediamo sempre ii medesimi risultati di violenza e di prepotenza, con le prevaricazioni consumate a danno di chi viene lasciato ai margini della competizione per essere macinato come un materiale da scarto, perché è troppo debole.
Secondo Osho, anche il modo che gli occidentali usano per salutarsi risente di dell'impostazione culturale alla violenza in quanto, nel tendere la mano destra per andare a stringere la mano destra dell’altro dimostriamo sempre la nostra indole competitiva, in quanto la mano destra è quella con cui si impugnano le armi. Tendere la nostra mano per far vedere che è disarmata serve per rassicurare l’altro che le nostre intenzioni non sono bellicose, perciò noi eliminiamo il sospetto di poter subire un’aggressione fisica.
Nelle civiltà orientali si usava congiungere le mani per portarle all’altezza del cuore e poi s'inchinava il capo perché, nell’inchinarsi si onorava la divinità che vive nel cuore di entrambi, in quanto essa abita in tutti gli esseri viventi. Nell’inchinarsi fino a toccare i piedi del maestro si offriva la massima onorificenza sia all’uomo che la riceveva che a colui che la offriva, ed il maestro era insignito dell’onore ai suoi meriti, ma anche il discepolo dimostrava di avere conseguito il puro essere e aveva rinnegato ogni superbia dell'ego dal suo cuore.
Nel rinnegare la presunzione egoica si diventa pura beatitudine, ma la mentalità occidentale non può comprendere una tradizione in cui si rinuncia alla competizione, perché viene insegnato che la morte è migliore della sconfitta e dell’insuccesso. La nostra tradizione coltiva l’individualismo come sviluppo dell’ego, sebbene sia una beffa e un insulto alla nostra intelligenza infatti, se maggiore è l'egocentrismo sarà sempre minore il grado di sviluppo dell'individuo, non potendo coesistere nel medesimo spazio.
Se tutto l’essere si cristallizza intorno ad un “io” troppo rigido non può restare alcuno spazio in cui poter ospitare l’individualità, perché essa deve accrescersi e d’arricchirsi usando le esperienze, e l’individuo non può avere legami con le imitazioni amate dall‘io. E' l’io che teme di confrontarsi per paura di frantumarsi perciò non sa piegarsi, mentre l’individuo non teme gli altri da cui impara, lui non fa confusione e non si sente invaso, poiché nel confronto si sente arricchito e non deprivato delle sue caratteristiche.
L'individuo non perde alcun vantaggio nei riguardi del mondo, anche se deve modificare le sue opinioni, poiché dal cambiamento proviene l'arricchimento, e dall’evoluzione della coscienza proviene una crescita costante. Sapersi inchinare alle ragioni degli altri, dice Osho, è un’azione che fa discendere e riversa dei “fiori di beatitudine” sull'individuo, perché lo fa sentire vivo perciò lo acquieta, infatti nell'essere in condivisione il nostro essere avverte un “silenzio celestiale” che dissolve le oscurità dell’ego.
Nell’inchino orientale vi è la morte egoica perché è la sua completa mortificazione, infatti è solo l'individuo integro che può compiere una gesto simile, in quanto comprende come la condivisione della reciproca divinità offre la consapevolezza dell'essere che è totalmente vivo in noi. La mente occidentale è inquinata dalle lotte, dai conflitti e dalla violenza perché tutti ripetono che ci dobbiamo far valere, che dobbiamo dimostrare il nostro valore, e che il mondo lo deve riconoscere, perciò non possiamo abbassare la guardia e dobbiamo avere un ego sempre più forte.
I politici e gli economisti insegnano che il mondo va trattato senza pietà e con cinismo, perché in un mondo tanto feroce chiunque può piantare un coltello nel fianco, e tutti fanno del male se appena conviene. Così diventiamo sempre più feroci nella difesa dell'egocentricità umana, infatti ci nutriamo di apparenze, usiamo ruoli e vogliamo raggiungere lo “status” migliore con cui l’ego si possa gonfiare per accrescere la sua importanza, in quanto l’ego sa usare solo oggetti materiali per esistere.
L’uomo orientale ha coltivato per molti secoli una via di conquista migliore che spinge l’individuo alla sua realizzazione interna, poiché usa una dimensione in cui gli altri non vanno conquistati o soggiogati, perché l’umano da sottomettere e conquistare siamo noi stessi, e gli altri sono i viandanti che percorrono le strade del mondo come noi. La nostra via di realizzazione non può includere tutti i confini e gli oggetti del mondo, ma possiede la capacità recettiva idonea per contenere interamente la nostra essenza, ed è questa la meta più ambita da realizzare nella vita.
Pascal riflette sulla natura dell’uomo politico raccontando di Giulio Cesare che davanti alla statua di Alessandro Magno si fermò a piangere sconsolato, perché Alessandro a 29 anni aveva conquistato un impero enorme per morire a 32 anni con un destino glorioso di vincitore. Cesare piangeva perché era partito troppo tardi nella conquista, e a 32 anni non era riuscito a conquistare neppure il senato. Pascal riflette sconsolato che la scena è molto patetica, perché Alessandro era tanto giovane che poteva anche illudersi di poter conquistare tutta la terra, ma da Giulio Cesare, che era più anziano, si sarebbe aspettato il possesso di una maggiore saggezza.
Pascal aveva il disprezzo della classe politica, e non stimava l’intelligenza di coloro che vogliono il potere, infatti nell’uomo ragionevole non vi è alcuna volontà di conquistare il mondo perché, supposto che riesca nell’impresa, non si può pensare di prevalere sempre su tutti poiché è una pretesa illogica, infatti Pascal riteneva che il politico fosse un essere dotato di poco cervello. Sebbene la teoria di Pascal sia consolante non possiamo negare che la nostra civiltà non apprezza, isola e condanna tutti coloro che incitano alla conquista di sé stessi, perché la nostra società ha bisogno della nostra paura che ci incatena nel ruolo di schiavi.
L’uomo che non ha paura di essere non può essere schiavo, egli non teme l’isolamento perché si sente sempre incluso in tutto ciò che vive, egli non ricerca conflitti e non usa gli altri per prevalere perché lo schiavo e il padrone esistono solo nelle culture dei conflitti. L’uomo che non ha paura di conoscersi apprezza tutti i confronti ma non si paragona in quanto, se sta guardando solo al suo interno sa diventare esclusivamente il Testimone della sua essenza personale.
Buona erranza
Sharatan