I “Forconi” e la miopia rumorosa delle piazze

Creato il 12 dicembre 2013 da Catreporter79

“If a vocal minority, however fervent in its cause, prevails over reason and the will of the majority, this nation has no future as a free society. So tonight, to you, the great silent majority of my fellow Americans, I ask for your support. Because, let us understand: North Vietnam cannot defeat or humiliate the US, only americans can do that.” “If a vocal minority, however fervent in its cause, prevails over reason and the will of the majority, this nation has no future as a free society. So tonight, to you, the great silent majority of my fellow Americans, I ask for your support. Because, let us understand: North Vietnam cannot defeat or humiliate the US, only americans can do that.”

Queste le parole pronunciate da Richard Nixon, 37esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, nel discorso alla Nazione del 3 novembre 1969 in cui difese la sua politica nel Viet Nam.

Quel giorno, fece il suo ingresso il concetto di “maggioranza silenziosa” (“silent majority”), usato per definire e catalogare quella porzione, maggioritaria di elettorato, prevalentemente collocato e collocabile nella “middle class”, che non si riconosceva nelle agitazioni della piazza e nel linguaggio e nelle istanze provenienti dai cantieri ideologici delle ali più rivoluzionarie della politica.

“We need Nixon”, fu infatti lo slogan sui manifesti elettorali dell’avvocato di Yorba Linda nella campagna presidenziale del ’68, proprio per rimarcare, suggerire e assecondare quel bisogno di quiete e serenità sociale di cui la massa monolitica dei lavoratori americani, bianchi e protestanti, aveva bisogno. Vinse, convinse e stravinse, Nixon, nel 1968 come nel 1972, prendendosi la rivincita dopo le debacle del 1960 contro John Kennedy e del 1962 nella sfida per la carica di Governatore della California .”La più grande resurrezione dai tempi di Lazzaro”, titolarono i giornali. E avevano ragione. Vinse, stravinse e convinse grazie a questa traiettoria intenzionale, alla capacità di intercettare gli umori, i bisogni , le paure e le aspirazioni degli “everyman”, a padroneggiare, in poche parole, il cosiddetto “Fattore K” .

La storia recente dimostra come nelle democrazie occidentali le forze più attive sulle piazze siano quelle che poi non riescono a replicare il successo nelle urne, proprio perché incorreggibilmente diverse e distanti dalla comunità di “uomini qualunque”, gli uomini “della strada” che rigettano e respingono l’impegno costante frutto del normativismo didascalico-pedagogico e il principio di “stato etico”, preferendo ripiegare su un lasseferismo che non è e non va snobisticamente interpretato come mero individualismo (errore commesso da molti politici e “strategists” specialmente di sinistra) ma come legittima aspirazione ad un produttivismo pacato e rassicurante.

La protesta dei “Forconi” si dimostra quindi vulnerabile e destinata all’archiviazione perché ricalca e ripropone gli sbagli che furono dei movimenti che animarono e sconvolsero le piazze negli anni ’60 come nei ’70, sbagli di tipo essenzialmente politico e strategico. Concentrare l’esplicazione del dissenso su strade, binari oppure creare disagi alle attività commerciali, ad esempio, significa colpire e danneggiare le persone comuni, spostando il “focus” dalla classe dirigente al popolo (errore politico) e producendo, di conseguenza, una reazione negativa da parte di quella piattaforma che si vorrebbe orientare a proprio favore (errore strategico).



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