Joel e Ethan Coen – universalmente conosciuti come “I fratelli Coen” – rivestono una posizione di primaria importanza nel panorama cinematografico internazionale, a cavallo tra gli ultimi decenni del secolo scorso e il primo quindicennio del presente.
Pur essendo noto come i due facciano tutto a quattro mani – dall’elaborazione della sceneggiatura in avanti – Joel (29/11/1954), il più anziano, è sempre accreditato come regista mentre Ethan (21/09/1957) risulta come produttore.
I Coen, sin dalle origini, hanno sempre rigettato lo status di “registi impegnati”. Il loro cinema è – almeno in apparenza – di stampo prettamente classico: un cinema fatto di generi ma che non rifugge la qualifica di ”autoriale”.
Pur muovendosi all’interno dei generi (dalla commedia al thriller, dal dramma al western), infatti, l’impronta autoriale è sempre limpida ed evidente, con una nitida accezione stilistica ed una perfetta coerenza di temi trattati da un film all’altro.
Nei loro film si annusa sempre un po’ di quell’aura filosofica ed insieme profondamente cinefila, capace di conferire ad ogni loro lavoro un differente livello di lettura. Questa impostazione intellettualistica, però, è costantemente dissimulata da un’ironia di fondo, in grado di sfociare spesso in un “nonsense”, a volte confinante con l’assurdo.
Sin dall’infanzia, i due fratelli hanno vissuto un’irrefrenabile passione per il cinema: si narra che, con i primi risparmi, acquistarono una videocamera con cui, molto spesso, si dilettavano a riprodurre dei film che passavano sul piccolo schermo.
Nel 1987 i Coen scrivono e dirigono “Arizona Junior”, incentrato sulla vicenda di un’originalissima coppia – formata dalle “future star” Nicolas Cage e Holly Hunter – che fa di tutto per avere un bambino. A inizio degli anni Novanta esce la loro terza fatica “Crocevia della morte”, ispirata da alcuni racconti di Dashiell Hammett.
Il primo grande successo è però rappresentato da “Barton Fink” (1991), film ambientato nell’America degli anni Quaranta: la critica li loda all’unanimità (o quasi) e la pellicola, oltre ad ottenere candidature agli Oscar, vince la Palma d’Oro al Festival di Cannes.
Nel 1994 esce nelle sale “Mister Hula Hoop”, ma decisamente più riuscito è il film successivo, “Fargo” (1996), thriller glaciale che ottiene due meritatissimi Premi Oscar: miglior attrice protagonista (Frances McDormand, nella vita moglie di Joel) e miglior sceneggiatura originale.
La successiva pellicola, “Il grande Lebowski” (1998), ottiene i favori della critica ma soprattutto del pubblico: in pochi mesi, grazie al passaparola, diventa un vero e proprio fenomeno di culto, facendo leva sulla straordinaria (quasi leggendaria a dire il vero) interpretazione di Jeff Bridges.
Inizia poi una breve – ma non del tutto soddisfacente – parentesi “Hollywoodiana”. I film “Prima ti sposo, poi ti rovino” (2003) e “Ladykillers” (2004), girati in questo periodo, vengono accolti abbastanza freddamente dalla critica: la vera “anima” dei Coen rimane spesso relegata sullo sfondo, incapace di fuoruscire dai rigidi e limitanti meccanismi dello star system (si rammenta che i protagonisti dei due film erano, rispettivamente, George Clooney e Tom Hanks).
Ma i fratelli Coen sono tutt’altro che in declino. Nel 2007, infatti, girano quello che è considerato il loro capolavoro: “Non è un paese per vecchi”, tratto da un bellissimo romanzo di Cormac McCarthy. Il film, oltre a diventare un grande successo ai botteghini, ottiene buone valutazioni dai critici e nella notte degli Oscar si aggiudica ben quattro statuette (tra cui quella di miglior film).
Nel 2010 esce nelle sale “Il Grinta”, remake di un celebre western interpretato da John Wayne. La loro ultima fatica è rappresentata da “A proposito Davis”, presentato al Festival di Cannes 2013, che ottiene l’ennesima nomination agli Oscar.
Che dire? Dopo questo rapido excursus nella carriera di Joel ed Ethan Coen, scorrendo rapidamente la lista dei loro film, non resta altro da fare che sottolineare l’importanza di questi due fratelli statunitensi che, nel giro di pochi anni, hanno rivoluzionato la maniera di fare cinema. In un panorama artistico ormai “sclerotizzato”, capace di muoversi solo col pilota automatico, il loro talento e la loro capacità di osare – uniti ad una solida impostazione cinefila – hanno profondamente rinnovato il cinema d’oltreoceano, portandolo a livelli di eccellenza. Il loro profondo afflato autoriale, fortemente connesso alla tradizione dei classici hollywoodiani, ci ha regalato film meravigliosi, destinati a rimanere nella memoria, grazie alla loro capacità di soddisfare il palato dei critici e, allo stesso tempo, di garantirsi il favore del grande pubblico.
Piergiorgio Vigliani