La prima volta che li vidi fu a Brighton, a sud di Londra, in un giorno di quasi tempesta: i seagulls, grandi gabbiani grigi, si contendevano i pezzi di cibo offerti dai turisti che passeggiavano, nonostante il brutto tempo, sul pontile della città sulla Manica. Da tanto vicino, parevano bestie enormi, che si avvicinavano all'uomo sbattendo le ali contro il vento. Afferravano un parte di panino e si allontanavano subito verso il mare, all'indietro, lasciandosi di colpo trasportare dalle raffiche. Quei gabbiani erano padroni dell'aria: sapevano restare in equilibrio e andare ovunque volessero, in qualsiasi condizione atmosferica, meglio di come farebbe il passeggero di un autobus che, senza aggrapparsi ai sostegni, rimanesse fortuitamente in piedi dopo una brusca frenata del conducente - è questo, fra uomo e uccelli, il paragone più degno: a noi il pavimento di gomma di un mezzo di trasporto, a loro due ali e il cielo. Mi sono ricordato di Brighton l'altro pomeriggio, quando Dodokko mi ha fatto notare un volo di gabbiani che dalla pineta si dirigeva verso il mare. "Guarda quanti, papà", mi ha gridato all'improvviso mio figlio. Siamo rimasti a osservarli giusto il tempo di vederli scomparire a poco a poco, non uno a uno, come potremmo pensare di dire, ma tutti insieme, come un unico grande aquilone: prima la testa, poi il corpo, infine la coda. Ma ciò che è rimasta, nei nostri occhi di adulto e di bambino, è stata la leggerezza di questi animali, con la quale spesso descriviamo il loro volo. Quel che pensiamo sempre nel vedere gli uccelli che, per volare, non sbattono le ali ma che si fanno trasportare dal vento, è che essi non facciano alcuna fatica per muoversi e che non siano come tutti sottoposti alla legge di gravità. La verità invece è che anche loro faticano, ma hanno una struttura ossea e delle penne che gli consento di fare ciò che noi, con le nostre gambe e con le braccia, non possiamo nemmeno sognare di realizzare. Noi sappiamo fare altro che camminare e se arriva il vento non balliamo, come i seagulls, ma ci ripariamo dietro un muro e ci copriamo gli occhi.
La prima volta che li vidi fu a Brighton, a sud di Londra, in un giorno di quasi tempesta: i seagulls, grandi gabbiani grigi, si contendevano i pezzi di cibo offerti dai turisti che passeggiavano, nonostante il brutto tempo, sul pontile della città sulla Manica. Da tanto vicino, parevano bestie enormi, che si avvicinavano all'uomo sbattendo le ali contro il vento. Afferravano un parte di panino e si allontanavano subito verso il mare, all'indietro, lasciandosi di colpo trasportare dalle raffiche. Quei gabbiani erano padroni dell'aria: sapevano restare in equilibrio e andare ovunque volessero, in qualsiasi condizione atmosferica, meglio di come farebbe il passeggero di un autobus che, senza aggrapparsi ai sostegni, rimanesse fortuitamente in piedi dopo una brusca frenata del conducente - è questo, fra uomo e uccelli, il paragone più degno: a noi il pavimento di gomma di un mezzo di trasporto, a loro due ali e il cielo. Mi sono ricordato di Brighton l'altro pomeriggio, quando Dodokko mi ha fatto notare un volo di gabbiani che dalla pineta si dirigeva verso il mare. "Guarda quanti, papà", mi ha gridato all'improvviso mio figlio. Siamo rimasti a osservarli giusto il tempo di vederli scomparire a poco a poco, non uno a uno, come potremmo pensare di dire, ma tutti insieme, come un unico grande aquilone: prima la testa, poi il corpo, infine la coda. Ma ciò che è rimasta, nei nostri occhi di adulto e di bambino, è stata la leggerezza di questi animali, con la quale spesso descriviamo il loro volo. Quel che pensiamo sempre nel vedere gli uccelli che, per volare, non sbattono le ali ma che si fanno trasportare dal vento, è che essi non facciano alcuna fatica per muoversi e che non siano come tutti sottoposti alla legge di gravità. La verità invece è che anche loro faticano, ma hanno una struttura ossea e delle penne che gli consento di fare ciò che noi, con le nostre gambe e con le braccia, non possiamo nemmeno sognare di realizzare. Noi sappiamo fare altro che camminare e se arriva il vento non balliamo, come i seagulls, ma ci ripariamo dietro un muro e ci copriamo gli occhi.