I ghiacciai dell’Himalaya resistono

Creato il 06 novembre 2012 da Cren

Dal Ministero delle Finanze nepalese giunge qualche perplessità sull’incremento dei fondi destinati dai donatori internazionali ai cd. Climate change projects”, cioè a tutti gli studi, seminari e apparecchiature destinate a valutare gli impatti del maggior caldo, su ghiacciai, montagne e fiumi. Si tratta di oltre USD 650 milioni nell’ultimo decennio, aumentati dopo che nel 2007 un rapporto del UN Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), ha decretato che i ghiacciai spariranno nel 2035, ovviamente senza alcuna base scientifica né dati per sostenerla.

Si è trattato di una delle solite manovre di marketing delle Nazioni Unite per raccogliere nuovi fondi per il baraccone a cui si sono accodate le ONG e altri (come abbiamo visto). Giustamente Hari Prasad, dal suo ministero senza soldi, si domanda che utilità hanno avuto questi investimenti e quanto si sia tolto da progetti più concreti contro la povertà, per la salute o l’educazione. Certo che i programmi (e i soldi) per il “climate change” sono finiti in conferenze, workshop e report, nell’acquisto di apparecchiature, spesso, inutili e in poco altro (vedi il web); cioè nelle tasche degli esperti internazionali. Tante chiacchiere con pochi dati, poiché, solo nell’ultimo biennio, grazie ad un uso più diffuso dei satelliti è stato possibile monitorare quanto, in realtà, i ghiacciai del “terzo polo”, la regione dell’ Hindu Kush-Karakoram-Himalaya (HKKH), abbiano subito modifiche.

Nel 2012 sono usciti su Nature alcuni studi (qui e qui) che hanno rilevato la scomparsa di circa 12,8 gigatonne annui, molto meno di quelli fino ad oggi calcolati con modelli matematici e con dati presi da attrezzature piazzate sulle montagne. Ma non in tutte le aree la situazione è simile: più marcato il ritiro del ghiacciai dalle montagne del Kashmir (0,6 metri all’anno), quasi nullo quello dei ghiacci del Karakoram. Quanto sia difficile, per ragioni geografiche, politiche e d’ampiezza, piazzare strumenti e rilevare i dati sul campo sembrerebbe ovvio e come questi siano limitati per trarre conclusioni. Si parla di  un immenso arco montano, lungo 2000 chilometri, che contiene 60.000 chilometri quadrati di ghiaccio, e intorno al quale vivono 1,3 miliardi di persone.

Ma, realmente, quanto questo progressiva perdita di ghiaccio incide sulla vita degli abitanti, sull’agricoltura, il cibo e il sistema delle acque? Sembra che, almeno nel breve medio termine, molto poco. Il Nepal era autosufficiente fino all’inizio degli anni ’80 come produzione di cereali; poi, l’aumento della popolazione, l’urbanizzazione, la relativa diminuzione di terre coltivabili e la bassa produttività (sementi, irrigazione, fertilizzanti, parcellizzazione delle culture, etc.) l’hanno reso dipendente dall’importazione da altri paesi asiatici. Il Nepal ha una capacità idrica immensa non sfruttata né per l’agricoltura né per l’energia, forse qui dovevano concentrarsi, con più efficacia, gli interventi dei donatori. Non è stato rilevata nessuna variazione sensibile della temperatura dal 1960, solo una aumento delle “notti calde” (+2,5%) né della quantità di piogge. Lo scioglimento dei ghiacciai potrebbe produrre secondo alcuni lo straripamento dei laghi alpini (oltre 6.000 nella sola Himalaya) ma tali incidenti sono aumentati (secondo alcuni calcoli) solo dello 0,2 in 30 anni. Studi indicano che  i grandi bacini fluviali ricevono acqua dallo scioglimento dei ghiacciai in proporzioni ridotte: 2% delle acque del Gange, 3,5% per l’Indo.

Insomma le minacce del “global warming” sembrano, per la vita concreta delle popolazioni del HKKH, minime. I loro ghiacciai saranno sempre lì almeno per i prossimi mille anni, malgrado i porta sfiga.

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