I Giganti del Teatro: Magda Mercatali e Vincenzo Pirrotta

Creato il 30 aprile 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il aprile 30, 2012 | TEATRO | Autore: Laura Cavallaro

«Il vostro potere è l’ignoranza», questa è l’ultima battuta che Ilse pronuncia prima di venire letteralmente sbranata dalla forza bruta del popolo. Ilse e Cotrone sono i due protagonisti dell’ultimo mito pirandelliano, il Mito dell’Arte. I giganti della montagna iniziato nel 1932 e lasciato incompiuto, venne ultimato in seguito alla morte dell’autore nel 1936 dal figlio Stefano. E per la prima volta in assoluto Magda Mercatali (la Contessa Ilse) e Vincenzo Pirrotta (il mago Cotrone) danno “corpo ai fantasmi affinché vivano”. Un testamento per gli uomini, lasciato dal premio Nobel agrigentino. Ma vediamo di conoscere meglio i due protagonisti e i loro personaggi, emblemi del Novecento.

Come vi siete avvicinati tecnicamente ai complessi personaggi di Ilse e Cotrone?

M.M.: «Ho iniziato con l’approccio al testo, mesi prima delle prove. Ho acquisito talmente tanta tecnica, in molti anni di questo mestiere, che il mio lavoro sul personaggio è stato più psicologico. Seguendo le indicazioni fornitemi dal regista Dipasquale, abbiamo lavorato sull’immedesimazione di Ilse con la figura di Marta Abba. Lo squarcio che mi è arrivato da questa scelta, mi ha fatto lavorare, più che altro, caricando il personaggio di una recitazione rétro, anni ’30».

V.P.: «Bisognava innanzitutto mettere in risalto le due anime del personaggio: quella del contadino con una conoscenza atavica, e una seconda più spirituale. Tecnicamente per far vivere queste due anime ho lavorato su due ritmi che si alternano durante la recita. Ritmi che creano una magia, quella che Cotrone chiama “ebullizione di chimere”. Oltre alla parte che vive concretamente, il personaggio ha una musica alle volte aspra, alle volte dolce. Cotrone trova nei bambini una tenerezza che sa che non può incontrare negli uomini. Cotrone è Pirandello, uno scrittore ormai rassegnato. Io non sono convinto che Pirandello fosse dell’avviso che le opere non dovessero essere destinate agli uomini, altrimenti non le avrebbe scritte. In cuor suo aveva un’idea di partecipazione che non ha trovato e quest’opera è una denuncia».

Che analogie ha trovato tra il personaggio di Ilse e quello di Beatrice Fìorica, protagonista ne “Il berretto a sonagli” di Luigi Pirandello e diretta anche in quel caso da Dipasquale?

M.M.: «Nessuna, sono due personaggi completamente diversi. Beatrice è una borghese viziata, una bambina cresciuta troppo in fretta, rosa dalla gelosia. Ilse invece è la Poesia, è l’Arte, è l’attrice per antonomasia».

Cosa pensate della realtà culturale che ci circonda?

M.M.: «Un disastro! (un’affermazione secca e a malincuore NdR). Sono felice di aver fatto l’Accademia in anni diversi, di essermi appropriata di questo lavoro quando era rispettato. Se penso a questi poveri giovani che iniziano adesso non so come faranno. Della Cultura non importa più nulla a nessuno. Siamo stati rovinati dalla televisione fatta da balletti, show e volgarità. La televisione è “il Grande Fratello” di questa società, soggioga le menti, fa venir meno il senso critico».

V.P.: «La cultura oggi vive un momento di angoscia, è agonizzante in Italia e in Europa. I Giganti la stanno sopprimendo, hanno paura della cultura. La cultura è l’unico modo per fare una rivoluzione delle coscienze, molto più profonda di una rivoluzione politico-economica».

Recentemente lei ha avuto un pensiero per Mariella Lo Giudice, dicendo che avverte la sua presenza in maniera costante sulla scena. Come vive la spiritualità?

M.M.: «Oltre a fare teatro, che è la mia grande professione, da sempre faccio volontariato in un’associazione laica. Insegno l’alfabetizzazione agli emigrati, ho spesso a che fare con gli ultimi della terra. La mia vita spirituale è piena e mi aiuta molto. Ho visto in faccia la morte anni fa, per una grave malattia e quindi essere viva ed avercela fatta mi ha fatto ridimensionare tutto. Anche se non eravamo amiche, per Mariella avevo una grande stima ed ho sentito molto il peso di questa sostituzione (inizialmente il ruolo di Ilse avrebbe dovuto essere interpretato dalla Lo Giudice NdR)».

Crede che l’esperienza di regista nel suo excursus artistico aggiunga un quid in più ai suoi personaggi?

V.P.: «No non aggiunge nulla, io ho una mia visione. Probabilmente se avessi avuto la possibilità di mettere in scena “I giganti della montagna” avrei dato una chiave di lettura diversa».

Da cosa nasce l’esigenza di portare in scena un teatro di parola?

V.P.: «Io non sono un artista che si rifà al metodo Stanislavskij. L’attore deve avere un totale controllo di se stesso in palcoscenico. Per vivere un personaggio dobbiamo distaccarcene. Secondo me lo si può raccontare; la mia ricerca va più che altro nell’ambito epico. Lo scopo, sia con un metodo che con un altro, è alla fine la conquista dei cuori. Non importa la strada che si percorre, l’importante è coinvolgere lo spettatore».

Come nasce l’approccio registico ad un testo letterario?

V.P.: «Quando mi appassiona un testo leggendolo o anche scrivendolo. Se appassiona me credo che quell’opera potrà interessare anche gli altri. Non faccio delle operazioni commerciali, ho sempre scelto con il cuore. Purtroppo nel nostro lavoro si è persa la purezza; i sogni, la poesia che sono gli ideali di Cotrone, sono stati messi in secondo piano. Il nostro mestiere è stato defraudato del rispetto. Se pensiamo che oggi la televisione ha la presunzione, in alcuni talent show, di educare i ragazzi all’arte dell’attore nell’arco di pochi mesi, mi rendo conto di come si svilisca questo lavoro. Non basta tutta una vita per essere attore a tutti gli effetti».

Gli scatti inseriti nell’articolo sono stati gentilmente concessi dal Teatro Stabile di Catania – Fotografie di Antonio Parrinello



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