Da che cosa dipende questo “pregiudizio” di RSF nei confronti del giornalismo rwandese? La spiegazione è semplicissima: RSF ha la sua base in Francia. Così, da quando la Francia ha perso la guerra contro le forze liberatrici del Rwanda, leggi il FPR, che hanno rovesciato il regime clerico-fascista e razzista di Juvénal Habyarimana al potere da 22 anni, sostenuto da Parigi, e messo fine al genocidio, RSF è diventato una delle armi con le quali la Francia cerca di ribaltare la situazione e vendicare lo smacco.
Il lavoro di sabotaggio di RSF è comincianto subito dopo la guerra. Non riuscendo a dimostrare che è in corso un nuovo genocidio come aveva previsto, da quando si è insediato il nuovo governo RSF cerca disperatamente pretesti per screditarlo. Reporter Sans Frontières (o Reporters Services Français, come lo chiama Michel Stibon nel suo articolo Maintenant, la Lettre, del 20 settembre 1985) ha sostenuto incondizionatamente il prete André Sibomana, vincitore del Prix RSF 1995 convinto fautore dell’apartheid etnico, direttore della rivista Kinyamateka, organo ufficiale della Chiesa cattolica la cui linea editoriale è vicina a quella del partito razzista Parmhutu. La rivista cattolica francese Golias aveva denunciato la sua collusione con gli estremisti dell’Hutu Power e il suo aiuto per far espatriare i preti assassini sottraendoli alla giustizia, così RSF ha fatto una campagna contro Golias. E questo è solo un esempio fra i tanti.
Ma il vero volto di RSF potete vederlo nell’ottobre del 1994, pochi mesi dopo la fine del genocidio e la costituzione del nuovo governo. L'associazione distribuisce a ogni giornale rwandese 1000 dollari, con un’attenzione speciale a Kinyamateka che ne riceve 6000 (riferito da Thierry Laniesse, caporedattore di Liaison-Rwanda). In dicembre il presidente di RSF Robert Ménard arriva a Kigali, si stabilisce al Mille Collines e invita uno per uno tutti i direttori dei giornali rwandesi nella sua camera per fare loro una proposta indecente. No, non è gay, deve lavorare per la Françafrique. Chiede ai direttori d’irrigidire la loro linea editoriale per criticare maggiormente il governo. I direttori si meravigliono e si scusano, spiegando che sono liberi di fare di testa loro e che in ogni caso non sono in vendita. Così Robeert Ménard torna a casa con le pive nel sacco, ma la strategia continua.
Nel 1995 un inviato speciale di RSF, Thierry Crivalier, si stabilisce per 6 mesi nei locali di Kinyamateka davanti allo studio del suo direttore, il prete razzista André Sibomana divenuto grazie a RSF “giornalista dell’anno”. Guarda caso, Crivalier s’interessa all’etnia dei direttori . Li osserva bene e poi spiega loro che il regime attuale di Kigali va messo sullo stesso piano di quello razzista di Habyarimana, facendo capire che bisogna combattere in ogni modo possibile un altro genocidio (n.d.D, sono passati 17 anni e i presunti genocidati hanno la Sicurezza Sociale gratis, un caso praticamente unico in Africa). Alcuni giornali rispondono alle avances e ricevono un aiuto sostanziale: Intego ex Messager, Le Partisan, Umuhavumba e naturalmente il cattolico Kinyamateka che, inebriato dai soldi, diventa più razzista del Ku-Klux-Klan. Giornali che seguono la linea razzista e negazionista cara ai preti e alla Françafrique. Ma i giornali refrattari alle avances si chiedono “com’è possibile che questo signore predichi la critica al governo rwandese in nome di una stampa libera e pluralista mentre lavora al soldo del suo governo?” In effetti nello stesso tempo l’Eliseo combatteva il nuovo Rwanda armando segretamente l’Hutu Power in Zaire.
Questo, cari, è RSF che si è fatto ridere dietro dai Rwandesi. Il buon Crivalier finirà il suo soggiorno nel Paese delle Mille Colline fra gli sghignazzi dei giornalisti e intitolerà il suo rapporto Rwanda, l’impasse.
Dragor
(Nella foto Robert Ménard)