I giovani non hanno speranza, le aziende invece sì.

Creato il 07 febbraio 2012 da Tnepd

Trovare lavoro, cercare di sopravvivere, ovvero far guadagnare qualche sfruttatore sulla nostra pelle senza la responsabilità dell’imprenditore. Ti piace vincere facile…ehhh?
Così recita quella stupida pubblicità, ma nella realtà è ciò che stanno facendo giorno dopo giorno, e senza che ce ne accorgiamo ci troveremo da una situazione di rispetto per il lavoratore ad un’altra più semplice e più vecchia: lavoratore e schiavo saranno la stessa cosa.

I vari politici che adesso vanno di moda, dalla Cancellieri a Monti, a Maroni (il vero ideatore dell’abolizione dell’articolo 18) a Biagi (quello che lo ha perfezionato) ed a tutti quelli della Confindustria, a cominciare da quel moccio vileda della Marcegaglia (ma conosce l’uso di una spazzola o di un pettine, oppure di qualche forcina che le metta in ordine quelle stoppie sulla testa? Mi pare tanto un covone di fieno dopo una burrascata) e giù giù per finire sulle spoglie di quel Benetton che oltre ad uscire dalla Borsa Italiana ha delocalizzato anche il cambio della sua biancheria intima, hanno capito che in Italia ormai non c’è più spazio per un lavoro che sia arricchente, che porti valore all’azienda, è rimasto solo l’osso. Ormai in Italia sono rimasti solo i lavori precari, quelli in cui non serve chissà quale esperienza o cultura, basta dire sissgnore.

Gli studi – se mai possiamo chiamarli così – non permetteranno nessuna qualifica, poiché pari a poco più di un semplice diploma di media superiore di dieci/quindici anni fa: ovvero una cultura pessima, una preparazione infima, ma sopratutto una supponente idea degli studenti di sapere, di aver studiato,  senza però una base seria, e appena un professore osa essere severo e autorevole si invoca la giustizia sociale, il classisimo ed altre definizioni sessantottine inutili e devastanti.

Partiamo quindi dallo studente, di quell’ammasso di carne ed ossa con le orecchie tappate da cerebrolese note che gli appiattiscono il cervello senza farlo pensare.
Cosa potrebbe pretendere di fare da grande: il dottore, l’avvocato o l’ingegnere, oppure lavorare per qualcosa che gli sia confacente alla sua indole e alla sua “cultura” ? Mistero assoluto!

Nessuno lo sa e sopratutto nessuna scuola ha mai preparato gli studenti al mondo del lavoro. Adesso studiano in gruppo, di due tre o più persone, danno tesine, si mettono a capofitto in ricerche che rimarranno sullo scaffale di casa dopo la laurea a dimostrazione di energie sprecate. Nel frattempo scorazzano per le vie delle loro città ad ubriacarsi, a cazzeggiare, a parlare dei vari grandi fratelli, delle luci della ribalta e delle varie mode in auge in questo momento, finché si troveranno davanti ad uno specchio e si daranno dei coglioni per il tempo perso, sprecato ed inutilizzato. Sarà troppo tardi – spesso le occasioni capitano solo una volta nella vita – ma è anche vero che i 20 anni ci sono una volta solo e in quell’età si da il massimo in tutti i campi, in special modo nelle prestazioni sessuali (spesso aiutate da qualche azzurra fatina) e meno in quelle in cui le basi dell’oggi sono le fondamenta del nostro domani.

I genitori, più deficienti dei loro pargoli, li inondano di parole lusinghiere, di promesse che non saranno mai mantenute “quando avrai il tuo posto avrai la tua casa, la tua macchina, farai quelle cose che non ci siamo mai permessi” e non mettono mai l’accento sulla loro responsabilità (dei giovani) che il premio, la lusinga è funzione di un risultato e quando non raggiunto deve essere redarguito. Ma il genitore ama i suoi figli (a parte quel criminale che ha gettato un bimbo nel Tevere al quale gli infliggerei la stessa pena, ma con un peso da 100 kg ai pedi), vuole che stia bene, ci mancherebbe! Ma il genitore spesso scambia il figlio come l’oggetto segreto delle sue frustrazioni e investe nel prodotto del suo amore cose che nella realtà spesso non accadranno mai.
Sono pochi i genitori che “lavorano” con i figli e che nei contrasti e nelle questioni più accese pongono le responsabilità proprie dei figli sui figli: spesso fanno il contrario. E già qui nasce l’idea del giovane che tutto è “passabile”. Errore!
Se sbagli sul lavoro sei fuori e sei punito duramente (nella struttura pubblica è al contrario, se sbagli ti premiano e fai carriera).
Però a scuola nessun bambinello è stato punito, nessun brutto voto (è razzista dare 2 ad un bambino, lo fa sentire male), se rompe le scatole e fa confusione nessun insegnante lo redarguisce o lo punisce mandandolo fuori dall’aula o dietro la lavagna a monito per gli altri: roba fascista, dicono, però abbiamo dei bambini, dei giovani scemi, stupidi che cercano l’ordine, che cercano la punizione più dura possibile per misurarsi, per capire dove sta il limite della loro selvaggia natura.
Ma la scuola non è fascista, non può imporre punizioni, altrimenti si viene denunciati per maltrattamenti, per percosse, per discriminazione sociale e via dicendo.
No! A scuola si fa tutto fuorché educare alla società. Ma nemmeno la famiglia educa e alla fine il giovane – ineducato, ovvero senza aver imparato l’educazione – affronta il mondo del lavoro, a sua volta ineducato, viste le premesse e la bestia (il giovane) e il padrone si affronteranno nell’arena di una vita declassata, squalificata, umiliata, vituperata.

E’ finito quindi il tempo delle vacche grasse – se mai c’è stato – adesso i giovani ed i meno giovani, devono rimboccarsi le maniche e, come proclama l’altro stampo da pippe di Ferrara, quello della trasmissone “Radio Londra”, devono “immaginare”, “creare”, “scavare nella loro fantasia” e realizzare il loro sogno: quale?
Io credo che Ferrara abbia la sindrome da sogno americano, perché mi risulta difficile capire come uno che non ha capito o che non ha imparato, possa realizzare, pensare ed immaginare: se uno non sa come fa a realizzare cosa?
Immagino che Ferrara, forte del suo appoggio a certi ambienti anglo-antlantisti, sia il megafono pubblicitario del nuovo sistema sociale al quale tutti saremo chiamati a rispondere. Ma Ferrara a parte, non è certamente la legge il suo enunciato, il presente-futuro della gioventù odierna è destinato ad essere molto difficile.

La società in cui esso si trova ad essere catapultato è semre più estremizzata, agguerrita, cannibalizzante, senza però offrire delle armi per difendersi, o per far valere i propri diritti, anzi i giovani e i lavoratori tutti hanno armi spuntate: è sufficiente un accordo sindacale per mettere sul lastrico migliaia di famiglie, oppure basta che un imprenditore abbia qualche idea delocalizzante che anni ed anni di esperienza e di lavoro vanno in fumo. In Italia rimarranno solo i lavori più semplici, quelli più banali dove la tecnologia – una volta fiore all’occhiello italiano – sarà come battere dei chiodi in una trave di legno o come spostare qualche sacco di patate da un luogo all’altro: non ci vuole mica una laurea per questi lavori, no?

Eppure i nostri figli hanno studiato, hanno speso anni in sacrifici dando il meglio di loro per poi non avere la contropartita agoniata: un posto dove poter lavorare.
Ma ne siamo certi che sia così? Crediamo veramente che i giovani abbiano sacrificato anni di studio? Pensiamo solo alle scuole medie superiori come vengono fatte le lezioni, a quante ore di vacanze vengono perse allo studio, alle interrogazioni annunciate (fatto assurdo!!), a compiti fatti con il computer o con l’assistenza di una tecnologia che schivizzerà ancor prima di capire come funziona. Pensiamo agli esami di maturità, alla qualità ed alla serietà con cui NON vengono fatti. Proviamo adesso ad andare alle università: ci sono corsi biennali e triennali e regolari, e in tutti l’alunno riceve una laurea che non serve a nulla, ma intanto è rimasto parcheggiato per anni, sulle spalle delle famiglie a non fare niente, anzi a creare valore sociale per quelle aziende che vedono nel giovane una fonte di guadagno infinita.

Il giovane si laurea e festeggia la sua entrata in società con gran baccano nella speranza che qualche azienda senta la sua offerta, e come lui altre migliaia. Troppo frastuono, non si capisce chi offre cosa e come. Meglio cambiar aria e le aziende, attente alle teste intelligenti, fanno cadere le loro scelte su quei pargoli che con spinte, capacità proprie o altro che dir si voglia, riescono a qualificarsi seriamente per aver percorso una strada irta di difficoltà. La massa, la mano d’opera culturalmente elevata al grado di babbeo, correrà invece a frotte ad accettare supinamente qualsiasi offerta venga loro proposta pur di galleggiare in questo mare di stronzi.

Possiamo incolpare queste persone? Possiamo giudicarli negativamente quando alle spalle della loro educazione, delle loro famiglie e della società in cui son venuti al mondo sono state gettate le basi per lo sfacelo culturale e sociale? Possiamo pensare che tutti devono essere laureati? Che senso ha che tutti abbiano la laurea o un diploma inutile? Perché una persona laureata o diplomata deve essere meglio di un idraulico, di un muratore, di un fabbro, di un contadino, di uno spazzino? Tutte queste figure sono parte integrante del sistema società e tutti concorrono al benessere comune. Il dottore, così come lo spazzino hanno la stessa valenza. Dove sta la dfferenza? Solo nel fatto che il dottore è capace di curare una ferita, ma il dottore senza il contadino, il muratore, lo spazzino non avrebbe successo e viceversa. Lo sporco, la mancanza di case e di cibo renderebbero la sua funzione totalmente inutile. Anche l’imprenditore è importante, ma ne più ne meno come la forza lavoro presso la sua azienda.

Perché allora esistono società in cui la responsabilità degli imprenditori è limitata ad una quota o ad un nulla? Perché permettiamo che vengano aperte le sedi legali delle società in paesi come Lussemburgo, la City di Londra, l’Isola di White, la Repubblica di San Marino o a Nizza, quando le attività della società sono svolte in Italia e non pagano un becco di un quattrino allo stato in cui lavorano? Perché il diritto societario è a vantaggio di pochi individui e lo stato non protegge i suoi lavoratori, ma difende a spada tratta gli evasori? Perché se un lavoratore viene licenziato e magari si trova nell’età di mezzo non trova più nessuno che lo impieghi nuovamente, ma nel contempo la ditta ha chiuso baracca, ha delocalizzato senza nessuna penalità per l’imprenditore? Dove sta la responsabilità sociale dell’imprenditoria?

E’ evidente che di fronte a queste domande molti abbozzeranno un sorriso sardonico, ma in cuor loro sanno che sono domande che nessun uomo politico o sindacalista porrà nell’arena politica, nessuno vuole perdere il seggiolone del potere. Nel frattempo la Cancellieri e tutto il gruppo tecnico-marpione si prepara al colpo di coda finale.


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