Come consuetudine, tra la fine di dicembre e l'inizio di gennaio ci si volta indietro e si cerca di dare uno sguardo più o meno ampio ed equilibrato sui film che, nell'ultimo anno solare, la talvolta caotica e poco sensata distribuzione ci ha permesso di apprezzare nelle sale. Stilare una classifica delle migliori pellicole degli ultimi dodici mesi è sempre molto difficile, soprattutto perché la forzata inclusione di dieci titoli e l'inevitabile esclusione di altri rischia di far passare in secondo piano lampi di cinema altrettanto meritevoli di far parte di un'ideale classifica degli elogi.
Ed è per tali motivazioni che ringrazio la possibilità di menzionare ed esaltare anche i lavori di cineasti che, in un modo o nell'altro, hanno segnato quest'annata sul grande schermo. L'elegante romanticità vampiresca di Jim Jarmusch in Solo gli amanti sopravvivono, il claustrofobico e metafisico viaggio di Tom Hardy all'interno di una magistrale sceneggiatura in , scritto e diretto da Steven Knight, le sgargianti e minuziosamente rifinite inquadrature del Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, l'ossessivo sciacallaggio mediatico del Jake Gyllenhaal di Lo sciacallo di Dan Gilroy, ma anche l'introspettivo Giacomo Leopardi de Il giovane favoloso - con Belluscone - Una storia siciliana di Franco Maresco probabilmente il miglior film italiano del 2014.
Senza dimenticare i meravigliosi impulsi fantascientifici di Luc Besson con Lucy e, soprattutto, il nuovo e impetuoso loser creato dai fratelli Coen in A proposito di Davis. Ma tant'è, dieci titoli devono essere e quindi, a mio avviso, ecco la top 10 cinematografica del 2014...
10. NEBRASKAIl toccante road-movie in bianco e nero di Alexander Payne è un mirabile viaggio nel rapporto padre / figlio, tra dramma e caustica comicità. Bruce Dern, candidato all'Oscar, è un anziano sofferente e alcolizzato che un giorno, convinto di aver vinto un milione di dollari ad una fantomatica lotteria, parte alla volta del Nebraska per ritirare l'agognato premio, insieme al figlio David (Will Forte) che lo accompagna nell'inutile tentativo di dissuaderlo. Malinconico ed amaro affresco di un'America di provincia asciutta e proletaria, che ricorda la filmografia d'origine di Peter Bogdanovich ed espone una messinscena ascrivibile al cinema di Wim Wenders, è anche palcoscenico per attori spesso sottovalutati come la meravigliosa June Squibb, acida, sboccata ma amorevole consorte del protagonista. Ammaliante.
Dramedy profondo e intenso, il film di Olivier Assayas più ordinato, pur nella sua complessa profondità, è il racconto della perdita identitaria della protagonista Maria (Juliette Binoche), la quale deve fare i conti con un passaggio generazionale che si ripercuote non solo sulla sua vita, ma anche a livello professionale. Attrice di grande esperienza, a Maria viene offerto il ruolo della matura amante della giovane protagonista (Chloë Grace Moretz), personaggio da lei stessa interpretato in giovane età. Tra le montagne svizzere Maria dovrà accettare la sua nuova condizione e ritrovare se stessa aiutata dalla sua assistente (una sorprendente Kristen Stewart). Labirintico percorso introspettivo al femminile, con Juliette Binoche in stato di grazia. Meraviglioso.
Dal cinema indie americano un autentico gioiellino diretto da Noah Baumbach e interpretato da Greta Gerwig. Frances è una ragazza che vive a New York, non abbastanza giovane per essere considerata una futura ballerina di successo e non abbastanza in là con l'età per riuscire ad eliminare alcun tipo d'ambizione. Goffa e sbadata nella vita quotidiana, Frances passa le giornate sempre con il sorriso sulle labbra, affrontando la vita con fare disincantato. Un incantevole affresco della Grande Mela, la cui implacabilità si riflette su un'intera generazione di persone ibride, tra un futuro che stenta sempre a cominciare e un passato che si accumula ogni giorno, inesorabilmente. Frances, dal canto suo, vive il presente sognando, tra piccole gioie e delusioni. Lampi di Nouvelle Vague si fondono con temi che più contemporanei non potrebbero essere. Rigenerante.
L'incredibile scalata del broker Jordan Belfort a Wall Street raccontata da Martin Scorsese in un vulcano di eccessi, sfarzi e paradossi che intossicano con potente adrenalina la visione di una delle pellicole più nere del regista di Quei bravi ragazzi e The departed. Se un Leonardo DiCaprio eccelso nemmeno questa volta ha potuto mettere le mani sull'Oscar, Scorsese firma il suo lavoro più anarchico e goliardico con cinismo dark, sensualità estrema, di cui l'avvenente Margot Robbie è il simbolo, e immoralità repellente, in un vortice di tre ore di cinema serrato che fanno impazzire lo spettatore. Bellezza stordente.
L'amore 2.0 dei giorni nostri ce lo racconta il geniale Spike Jonze, che in questo film imbastisce uno dei racconti passionali, amari e impossibili dell'anno. Theodore è un uomo affascinante ma solo. Theodore s'innamora. Lei è dolce, comprensiva, sensuale. Amica e amante, fidanzata e compagna. Peccato che lei sia un sistema operativo, con la calda voce di Scarlett Johansson. Jonze dirige con visionaria maestria il film romantico dell'anno: delicato, commovente e seducente, esplora l'incomunicabilità paradossale di un mondo globalizzato che ci ha avvicinato così tanto da farci allontanare. Sublime.
Un'esperienza unica nella storia del cinema. La geniale mente di Richard Linklater ha lavorato per dodici anni ad uno dei romanzi di formazione più innovativi del grande schermo. Ogni anno, per quattro giorni, troupe tecnica e artistica si sono riunite per girare un pezzo alla volta il film che racconta la crescita del giovane Mason (Ellar Coltrane), figlio di genitori separati (Patricia Arquette e Ethan Hawke), trascorrendo momenti emozionanti ma anche fasi interlocutorie. E poco importa che i limiti del film derivino proprio dal linguaggio cinematografico del quale Linklater si avvale. Rimane una perla unica.
Decisamente il film più contestato dell'anno. L'ambizione sfrenata di Christopher Nolan non ha fatto altro che aumentare i detrattori quanto i suoi fan. Il premio Oscar Matthew McConaughey è un ex pilota adattatosi agricoltore che invece di salvare il pianeta deve partire alla ricerca di nuovi lidi per gli esseri umani, prossimi all'estinzione a causa del progressivo deterioramento della Terra. Un film che trascende il tempo e lo spazio, parla d'amore e di umanità forse più di qualsiasi altra pellicola sci-fi e ipnotizza per la sua epicità tradizionale, che non passa per il 3D o per le trame banali e superficiali spesso propinateci in pellicole di questo tipo.
Il talento poliedrico di un artista come Steve McQueen ha conquistato Hollywood e l'Academy - miglior film, miglior attrice non protagonista e miglior sceneggiatura non originale - con il drammatico e straordinario racconto di Solomon Northup, uomo libero fatto schiavo nell'America pre-secessionista. Al terzo lungometraggio in carriera, McQueen dirige meravigliosamente un cast sontuoso e lascia che sia il dolore a raccontarsi, non risparmiando nemmeno una goccia di sangue e mostrando gli attimi di lacerata sofferenza e di avversità indicibili nella lunga lotta per la libertà. Molto più attuale di quanto possa sembrare. Il vero pugno nello stomaco dell'anno.
Il film dell'anno, se non fosse per un baby-talento canadese; uno dei capolavori più compiuti di David Fincher. Un torbido viaggio negli anfratti oscuri del matrimonio tra Nick (Ben Affleck) e Amy (Rosamunde Pike), giovane coppia di coniugi costretta a trasferirsi dalla caotica New York alla monotona provincia del Missouri. Il giorno del loro quinto anniversario di matrimonio Amy scompare e Nick diventa il principale indiziato. Una pellicola geniale perché equilibrata tra suspence e riflessioni sull'invadenza ossessionante della privacy e il bisogno sconsiderato delle persone di costruirsi realtà idealizzate. Magnetica, iconica ed inquietante la performance di Rosamund Pike.
Il genio cristallino di Xavier Dolan, talento venticinquenne canadese al suo quinto film, si rivela finalmente anche al pubblico italiano con questo struggente, dolente e sensazionale melò incentrato sulla complicata relazione tra una madre rimasta vedova (Anne Dorval) e il suo problematico figlio adolescente Steve (Antoine-Olivier Pilon). Autentico, travolgente, viscerale. Dolan racconta la crudezza della vita con una maturità incredibile ed un profondo amore verso i propri personaggi, senza indulgere in sentimentalismi e regalandoci, in assoluto, la più incredibile esperienza cinematografica dell'anno. Necessario e imperdibile.