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I grandi nomi di Mosaico Media, da Sandrine Bonnaire a David Carradine

Creato il 25 novembre 2012 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Si chiama Suzanne, è una parigina adolescente figlia di immigrati polacchi e non solo non ritiene tanto strana la scelta di vivere senza amare nessuno, ma dichiara, allo stesso tempo, di essere felice soltanto quando si trova insieme a un ragazzo.

Con le fattezze di una spesso nuda SandrineIl buio nella menteBonnaire

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degli esordi, è la precoce ed apparentemente spregiudicata protagonista di Ai nostri amori (1983) di Maurice Pialat, pellicola vincitrice del premio César che la romana Mosaico Media provvede a riscoprire su supporto dvd tricolore.

Il racconto di una adolescenza inquieta che vuole essere, contemporaneamente, anche il ritratto di una giovane donna a volte destinata a provare l’impressione di avere un cuore arido; man mano che vive la sua prima esperienza sessuale con un turista americano appena conosciuto e si mostra facilmente propensa a passare da un uomo all’altro.

Nascondendo, in realtà, una certa immaturità legata al bisogno di essere amata e all’incapacità di amare; mentre deve vedersela anche con la decisione del padre di lasciare la famiglia ed è tormentata dai burrascosi rapporti che porta avanti con il fratello e la madre.

Come sempre, soltanto il primo di una nuova serie di rari titoli riesumati dalla label rom

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ana – in edizione a tiratura limitata – e da destinare al mercato dell’home video digitale nostrano; per il quale ristampa anche il canadese Un violento weekend di terrore (1976), diretto dallo stesso William Fruet che firmò, tra gli altri, Spasm (1983) e Killer party (1986).

Ne sono protagonisti Chuck Shamata e Brenda Vaccaro – ex compagna di Michael Douglas – rispettivamente nei panni di un ricco dentista playboy e della sua ultima conquista; i quali, in viaggio in automobile verso la villa di campagna dove intendono trascorrere un fine settimana di passione, fanno uscire fuori strada quattro motociclisti – tra cui il Don Stroud di The Buddy Holly story (1978) – con cui hanno ingaggiato una “gara”.

Segnando l’inizio di un vero e proprio crescendo di tensione dovuto al fatto che il vendicativo e feroce quartetto, una volta trovata l’abitazione, decide di metterla a ferro e fuoco con l’intenzione di uccidere i due amanti.

E, rimanendo in ambito di tutt’altro che tranquille storie da schermo, passiamo al

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l’horror con La scala della follia (1973) di Don Sharp, impreziosito da un non indifferente cast di nomi noti.

Infatti, si comincia con Robert Hardy nel ruolo di un uomo che riceve in eredità la casa di un anziano morente, il quale lo prega di prendersi cura anche dell’ingente somma di denaro nascosta dietro uno dei suoi muri.

Casa dalla cattiva fama e nella quale, dopo esservisi ferito a una gamba e aver dormito presso un avvocato con le fattezze di Herbert Lom, conosce una donna interpretata da Joan Collins; la quale si finge interessata a lui perché, in realtà, intende impadronirsi dei soldi supportata dal fratello, cui concede anima e corpo Christopher Lee.

Senza immaginare che lo spirito del defunto, colpevole di aver ucciso moglie e figli, abbia trovato il modo per entrare in azione.

Qualche sprazzo di cinema dell’orrore anche ne Il tesoro dell’Amazzonia (1985), che, da non confo

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ndere con l’omonimo lungometraggio interpretato da The Rock e Seann William Scott, rientra, in realtà, nella filmografia del prolifico René Cardona Jr.

Con Donald Pleasence, Stuart Whitman e John Ireland inclusi tra gli attori, trattasi di un chiaro derivato della saga di Indiana Jones che, ambientato in Amazzonia come il titolo stesso suggerisce, vede due minatori e un avventuriero senza scrupoli mettersi sulle tracce di diamanti alla cui ricerca si sono già avventurati anche tre poco pratici esploratori, un tedesco ex nazista intento a favorire la rinascita del Terzo Reich e la sua fida amazzone.

Noncuranti del fatto che, oltre a dover combattere tra loro, devono affrontare branchi di alligatori, cannibali tagliatori di teste e micidiali granchi, nel corso di una sequela di sanguinolenti momenti di sicuro debitori sia a Ruggero Deodato che a Lucio Fulci.

E ci trasferiamo in tutt’altro genere con il tedesco Cielo senza stelle (1955) di Helmut Käutner, tratto da u

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n testo teatrale dello stesso.

La storia in bianco e nero di una vedova di guerra che, residente con i propri genitori nella zona orientale della Germania, desidera tanto riavere il proprio bambino, rimasto presso i nonni paterni in quella occidentale; dove riesce a penetrare ed a fuggire insieme a lui grazie all’aiuto di un poliziotto del posto.

Fino al momento in cui il destino vuole che tra i due nasca un sentimento amoroso che arriva a mettere in serio pericolo le loro vite, in quanto non solo sono costretti a incontrarsi in una stazione abbandonata nel territorio di confine, ma vedono anche complicarsi ulteriormente le cose quando la donna si sente male e l’uomo, in cerca di un medico, finisce arrestato.

Concludiamo, infine, con California 436 (1975), ovvero il primo lungometraggio cinema

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tografico diretto dal tragicamente scomparso David Carradine, che ne è anche protagonista nel ruolo del motociclista Zeto, datosi alla fuga dopo che il trio di cui fa parte ha commesso un omicidio all’interno di una taverna.

Un on the road che lo vede presto incrociare la strada di Jimmy alias Chipper Chadbourne, ragazzino scappato di casa volto a diventare il suo compagno in un viaggio poi interrotto dallo scontro con un gruppo di bulli che arrivano a distruggergli la motocicletta.

Costringendo entrambi ad accettare un lavoro presso una donna locale, mentre le forze dell’ordine sono ancora alla ricerca dell’uomo.

Francesco Lomuscio


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