Una storia-vera.
Cammino per strada e vedo una donna. Capelli color cenere, anzi ocra. Occhiali, gonna, camicetta a fiori. Seduta su una panchina che fissa il vuoto davanti a sé. Il caldo è. Infernale. Come si chiama questa nuova ondata dopo Caronte? El Diablo? Fuoco e Fiamme? Delirium? Luciferus? Gargamella?
Comunque Giuseppina, questo il suo nome. O forse Ester. Se ne sta lì ferma immobile su una di quelle panchine singole in mezzo alle auto, le cui scocche semplicemente bruciano e riverberano il fuoco e le fiamme dalle viscere del cielo.
Guardo ai suoi piedi e vedo una colomba. Anche il signore del negozio di scarpe dall'altra parte della strada guarda quella stessa colomba. Una colomba bianca e bellissima con una specie di coda che sembra lo strascico di una sposa piccola ma orgogliosa di se stessa.
La particolarità di Giuseppina (o Ester) è quella di indossare anche un paio di guanti. Di quelli gialli, per lavare i piatti. Li tiene ben infilati nelle mani, appoggiate sulle gambe. Il mio primo pensiero è la follia. Il secondo è il caldo che deve fare lì dentro, quelle povere dita.
Poi capisco il senso. Giuseppina si sporge in avanti, dopo minuti di preoccupante fissità. E accarezza la colomba. C'è quindi un significato. I guanti, per toccare la colomba.
"Viene qui spesso" dice il tizio del negozio di scarpe. Ma, non mi sono concentrata abbastanza per capire se si riferisse a Giuseppina-Ester o alla colomba. O forse a tutte e due.
Torino. Quartiere Crocetta. Un pomeriggio qualunque di mezza estate.