C’è dunque una nuova forma, moderna e globale, di banalità del male, quella asettica e burocratica che viene impiegata per la sostituzione del suffragio elettorale con quello dei mercati e della sovranità degli stati con l’egemonia della finanza. Così si sacrifica un popolo salvando un’espressione geografica a condizione che ubbidisca e resti annessa e soggiogata al crudele macrosistema. Lo si piega alla fame impartendo lezioni morali sui doveri e le responsabilità della cittadinanza globale, sostituendo con disinvoltura il rigore ragionieristico ai pilastri luterani. I greci e domani noi, si meritano una bella lezione di economia domestica nazionale, sono stati dissipati, hanno manomesso i conti, sono corrotti, come se la corruzione fosse un prodotto mediterraneo della civiltà del cappero, evadono le tasse, i loro partiti sono imbelli, impreparati e depravati.
Anzi alla Grecia viene anche imputato di aver speso troppo e dissennatamente per l’istruzione, regalando scandalosamente i libri di testo in tutti i gradi di istruzione senza differenza di censo.
Nessun sacrificio è sufficiente per l’inestinguibile sete dei satrapi europei: beni, bellezza, diritti, speranze sono prodotti da comprare a poco prezzo, anzi un bottino di guerra, se anche il debito pubblico è diventato una merce, come lo è la facoltà di un popolo di esprimersi, come lo è la democrazia, roba da poco tanto che si manda a contrattare come in un suk la sua sostanza qualche governante pupazzo del ventriloquo e fidato esecutore , contrapponendo l’autorità di un parlamento alla volontà dei cittadini.
Sarebbe ora di denunciare per abuso quelli che parlano da quegli scranni di equità e di coesione, se le misure imposte come una gogna della democrazia incrementano le disuguaglianze, se i tagli producono solo decrescita infelice, se il loro stare insieme è sono la coabitazione rissosa di partner legati dai più rapaci e egoistici dei motivi, il profitto e il potere, intrecciati in un vincolo criminale. E se la loro globalizzazione è solo lo scenario dell’eterno conflitto tra ricchi e poveri, tra opulenza e fame, tra risorse e carenze. E tra pochi che detengono i diritti come privilegi e i privilegi come diritti e che non vi è ammesso o ne è espropriato.
L’austerità in tempi di fame è un crimine e il rifiuto della solidarietà è un ingiuria. La maggior parte delle nazioni avrebbe la capacità di “nutrire” tutti i suoi abitanti, se avesse un sistema di diritti giusto. Noi tutti fornendo aiuti potremmo nutrire tutti i cittadini della terra, fuori dai nostri confini. L’autorità morale, il vero potere da esercitare dovrebbero essere quelli di salvare gli altri, amici, estranei, popoli, da devastazioni, catastrofi, fame, senza distinzione, senza distinguere tra colpevoli o innocenti, perché non esiste un reato di disperazione, rovina, debolezza, povertà.
È davvero la più infame delle ideologie quella che finge che la povertà sia un fallimento morale, che il danno possa essere “meritato”, che la miseria sia la punizione per l’insipienza. E che condanna senza pietà nazioni e popoli emarginati o espulsi dal progresso o dalla crescita, per la colpa di cattivo governi, pigrizia, inazione, cattiva gestione della propria economia. Il razzismo del privilegio è sempre iniquo, quali che siano le mancanze di chi non ne ha mai goduto o non ne gode più. Perché sempre accompagna la sopraffazione e l’avidità illimitata.
La prepotente accondiscendenza, se c’è stata, del paese dal cui gioco d’azzardo finanziario è partita la crisi, i saccenti penso cui vengono sottoposti i paesi scriteriati, li dovremmo rifiutare. Si dovremmo mettere i galera per i loro crimini i killer della nostra sovranità, dei nostri diritti e delle nostre speranze, che il vero attentato alla legalità, il golpe spietato, il terrorismo più cruento è il loro.