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di Giuseppe Panella*
Cortona è una cittadina toscana di origine etrusca di straordinario fascino e incantevole bellezza per i turisti che spesso ne rimangono talmente attratti che decidono di andarci ad abitare o trovano casa nelle sue vicinanze (a Camucia, ad esempio, come era accaduto al compianto Guido Almansi giunto al suo secondo matrimonio e alla prima figlia). Questo avviene spesso per i turisti, in particolar modo per quelli di origine anglosassone. Non è certo la stessa cosa per i suoi abitanti “indigeni” e autoctoni che, invece, la tentazione di fuggirne la provano spesso e volentieri.
In Che sarà, una canzone scritta da Franco Migliacci e composta da Jimmy Fontana nel 1971 perché fosse presentata al Festival di Sanremo di quell’anno, poi portata a un successo imperituro da José Feliciano nel corso del tempo, infatti, si può sentir cantare esplicitamente:
«Paese mio che stai sulla collina / Disteso come un vecchio addormentato; / La noia
l’abbandono il niente / Son la tua malattia / Paese mio ti lascio / io vado via // Che sarà / che sarà / che sarà / Che sarà della mia vita / chi lo sa! // So far tutto o forse niente / da domani si vedrà / E sarà quel che sarà»
Il paese “che sta sulla collina disteso come un vecchio addormentato” è proprio Cortona, patria di santi e di asceti, luogo di devozione e di arte (l’Annunciazione del Beato Angelico si trova là,), di mitico cibo campagnolo (soprattutto olio d’oliva), di pace e di raccoglimento. Sarà vero? Il protagonista di questo testo narrativo di Remo Bassini, Tiziano, ex-scrittore in proprio ed ora ghostwriter di vasta fama per conto di un importante agente letterario torinese, non è propriamente d’accordo. Per lui e per lungo tempo, Cortona è stato un “bastardo posto” (per citare il titolo di un precedente e pregevole romanzo dello stesso autore ispirato nel titolo a una nota canzone di Francesco Guccini). Dopo aver studiato a Firenze (dove ha ricevuto la prima quanto più forte e micidiale scottatura nel campo dell’amore) e non aver completato gli studi in Lettere moderne, Tiziano ha scritto una raccolta di racconti paesani, I racconti della vecchia osteria (titolo molto maupassiantiano), che ha avuto un buon successo di pubblico (quindicimila copie vendute) e di critica. La lettura del manoscritto lo ha fatto notare a un agente letterario tra i più importanti in Italia che lo ha fatto trasferire a Torino dove si è servito di lui per “risuolare” o “rattoppare” o riscrivere talvolta in modo radicale opere di scrittori famosi in crisi (spesso perenne) di ispirazione. In cambio di buone somme di danaro, s’intende. Ma scrivere al posto degli altri gli ha impedito di concentrarsi sulle opere proprie e dopo il buon esordio di giovinezza Tiziano non ha pubblicato più nulla.
Se sente il bisogno ora in un luglio assolato ma non torrido in cui molti nodi sembrano venire al pettine. Il rapporto con il padre Felice, da lui accusato di aver tradito la madre con una vedova, la signora Gloria del cui frantoio era l’amministratore-contabile e di avergli preferito il figlio di lei, Mariano, additandoglielo continuamente come esempio. Il ragazzo del quale era stato il miglior compagno di scuola e di giochi sarebbe diventato una sorta di suo chiodo fisso fino a desiderarne la morte e a litigare aspramente venendo alle mani con lui in una stradina, vicolo del Precipizio, centrale nella toponomastica della vecchia Cortona. Il rimorso per aver lasciato marcire il rapporto sentimentale con Cristina, una dolce ragazza epilettica conosciuta a Torino con la quale aveva trascorso un periodo di nove mesi un po’ noiosi e che lo aveva stancato troppo presto. Il desiderio feroce e mai attenuato di Magda, terza figlia del suo professore di tesi, che lo aveva tradito dopo che lui l’aveva lasciato travolto da impeti incontenibili di gelosia furiosa (ma spesso motivata).
Tiziano è un composto instabile di rimorsi e di impuntature, pieno di aspirazioni insoddisfatte e di slanci spesso nobili ma incerti, ossessionato dal passato paesano di cui vorrebbe liberarsi e che non riesce a superare. Per questo motivo, anche la possibile relazione con la penalista Alice, dolce dirimpettaia del quarto piano reduce da un doloroso divorzio, non decolla: troppo poca fiducia in sé da parte dello ”scrittore fantasma”, troppa aggressiva dolcezza da parte sua.
Ma, a parte le vicende interiori dello scrittore che vuole finalmente fare chiarezza su se stesso trasformandole in un testo dall’andamento vagamente narrativo, ci sono le storie della campagna toscana a farla da padrone nel corpo del testo. Storie tristi e finite male come quella di Tito, seduttore della giovane Andreina che lo denuncia per violenza carnale in quanto ancora minorenne e che si suiciderà per la vergogna; quella della stessa Andreina che sposerà un muratore manesco e geloso in maniera patologica, Vasco Cengetti, che finirà con lo strangolarla dopo aver simulato una scena adulterina con il fratello minore, sorta di remake fiorentino della vicenda di Paolo e Francesca; quella dello iettatore Lucarone che porta sfortuna a tutti quelli che incontra così come era accaduto alla sua mamma, vedova di ben tre mariti…
Tiziano non scrive più da tempo, eppure continua a mantenere accesa in sé la fiamma della scrittura. Crede davvero in quello che le ha detto una volta una sua amica psicologa torinese e tifosa della Juventus (lui, invece, resta tifoso – nonostante tutto – della “sua” Fiorentina):
«”Uno scrittore deve vivere come se scrivesse anche quando non scrive”, gli ha detto, e nemmeno troppo tempo fa, una sua amica psicologa, conosciuta in un bar durante una discussione calcistica. Si erano sfottuti, non poteva che finire così tra un tifoso della Fiorentina e una della Juventus. “Anche se hai smesso di scrivere, le pagine della tua vita trattale bene”, gli ha ripetuto la psicologa appassionata di calcio» (p. 18).
Ma, ovviamente, tutto questo è più facile a dirsi che a farsi. Tiziano scrive ma non vive e quando vive non riesce a scrivere – i conti con la sua esistenza passata non riesce a farli se non scrivendo per darsi ragione degli errori che ha commesso nella speranza di non commetterne più.
La sua infanzia felice all’ombra della mamma e della sua madrina Mimma, la donna cui è rimasto attaccato più a lungo di tutte le figure femminili della sua esistenza, l’amore per il cinema, la solitudine ricercata e anche un po’ coccolata, la capacità di ricreare letterariamente gli episodi ascoltati nel corso di lunghe serate trascorse con gli amici in osteria o in giro per le campagne cortonesi, tutto questo si trasforma nella materia di quello che dovrebbe diventare il suo secondo libro – Vicolo del Precipizio, per l’appunto. Ma il libro, dopo una lunga serie di appassionate sedute di scrittura, si ferma e Tiziano torna a Cortona, dal padre avvilito e dalla madre malata di Alzheimer. Non è chiaro il perché. Forse perché la scrittura ha raggiunto il suo scopo che era quello di produrre la necessaria catarsi ricercata proprio attraverso il suo precipitare sulla pagine e diventare parola, verità (sia pure putativa). Perché la Verità è ciò che Tiziano cerca da sempre senza trovarla mai se non nell’oblio in cui ha voluto avvolgere la sua esistenza passata. Di lui, Lucetta, la segretaria dell’agenzia letteraria per cui lo scrittore lavora ormai da tempo e che quasi sicuramente è innamorata di lui, dirà quasi giunti alla conclusione della storia:
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«Però deve fare molta attenzione a lui, il grande capo è stato chiaro con lei: “Tiziano è un grande ghostwriter, il migliore che lavora per me, a volte cambia talmente il connotato di un libro che alla fin fine poi quel libro è più suo che dell’autore, lui, in ogni caso, non rivendicherà mai nulla, perché per Tiziano il successo è una cosa cretina. Però bisogna fare attenzione a lui…” Le ha infatti spiegato che “Tiziano, come collaboratore, è pericolosissimo, un po’ perché s’innamora di libri che commercialmente non valgono un cazzo, e quindi non vuole mettersi in testa che i migliori autori sono quelli che danno agli editori e alla gente ciò che la gente e gli editori vogliono, e un po’ perché parla troppo» (p. 183).
Tiziano rivela cioè un po’ troppi segreti di bottega e ciò ne fa una sorta di mina vagante. Rinunciando a finire di scrivere il “suo” libro, rompe con le regole del gioco in cui pure è molto bravo e rientra nel silenzio, in attesa – forse – di tempi migliori.
Bassini compone in Vicolo del Precipizio un affresco vivido e fresco della vita di provincia, racconta storie possibili e “scellerate” con gusto e con passione, cerca di evitare il rischio della nostalgia e di un autobiografismo troppo stringente con risultati sovente felici e soprattutto non si nega alla gioia di narrare. E’ merito non da poco.
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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)
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