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di Giuseppe Panella*
Forse Leone Parasporo (ma tutti, in realtà, forse intimoriti da questo nome un po’ papale lo chiamano Elio) non lo ha letto ma il precedente di questo manualetto sotto forma di dialoghi socratici è un bizzarro libro di Witold Gombrowicz, Corso di filosofia in sei ore e un quarto[1], dove in poche battute filosofi fondamentali e problemi epocali si susseguono senza essere ovviamente né spiegati totalmente né compiutamente risolti ma sempre con il risultato di essere adattati agli umori del momento e alle necessità dell’epoca presente.
Come Gombrowicz, Parasporo rifiuta di essere troppo generico o divulgativo e affronta spesso i nodi teoretici che gli si presentano con baldanza e humour che altri destinerebbero a cause letterarie meno complesse e meno complicate. Il suo professor Beta è apparentato più al Professeur Y dei famosi Colloques di Louis-Ferdinand Céline che al personaggio del cartone animato South Park[2] che fa capolino nell’ultima pagina del libro, perplesso e con gli occhi spalancati, mentre si dice che stia spiegando alla classe il concetto di emanazione di Plotino.
Beta è un affabulatore ma riesce a mediare la sua volontà di monologare con la necessità dialogica di insegnare agli studenti della scuola in cui è tenuto a prestare la propria opera di docente.
Più che un docente, in verità, Beta vorrebbe essere un maestro di vita così come volevano esserlo i maestri del pensiero che fa conoscere ai suoi discenti ma non è certo sicuro di riuscirci.
«Il professor Beta prese sottobraccio la giovane tirocinante e si sfogò con lei: “Vedi – le disse – in fondo siamo tutti sofisti. Dobbiamo fare la stessa cosa che faceva Protagora: convincere i giovani che studiando la filosofia “si diventa ogni giorno migliori”. Ma oggi, chi ti crede più? Non è solo una questione di statura”, concesse con insolita modestia il professor Beta. “Certo, Protagora era Protagora, io sono io… Ma c’è anche un altro motivo: i giovani ateniesi sapevano che Protagora non bluffava e che li avrebbe guidati per davvero verso il successo e il potere. Ma questi (con la mano rimasta libera, indicò un capannello vociante di ragazze e ragazzi vicino all’ingresso del bar), guardali: che possono aspettarsi da noi? Niente. Niente di buono: per questo sono demotivati. […] Dovremmo ricordarcene più spesso”, concluse enfaticamente il professor Beta, “insegnare la filosofia, oggi, significa farsi complici del Grande Inganno…” »[3].
Beta si rende conto del fatto che la filosofia non è più lo strumento di persuasione e di costruzione del consenso apprezzato e valorizzato dalla vecchia cultura liberale (quella di Croce ma anche del suo discepolo Giovanni Malagodi che viene ricordato per le sue dichiarazioni sull’importanza degli insegnanti di filosofia in un luogo simbolicamente acconcio ad esse, i bagni della scuola). Ma non per questo intende demordere dallo scopo cui si dedica da anni e che considera la propria vocazione. Nei cinque giorni della sua settimana di insegnamento (il sesto è quello che a scuola, un po’ enfaticamente, viene definito il “giorno libero”, giornata di assenza dalle aule che i professori difendono con le unghie e con i denti soprattutto se riescono a farsi assegnare il sabato o il lunedì), Beta spezza il pane della sapienza ai suoi allievi e svaria da Epicuro a Nietzsche, passando per i grandi pensatori del passato. Sfilano, allora, nelle sue aule personaggi fondamentali come Protagora, Platone, Aristotele, Hobbes, Rousseau, Kant, Hegel, Schopenhauer, Wittgenstein (cui è dedicato uno dei dialoghetti più belli) ma anche filosofi meno frequentati come Anselmo d’Aosta e la sua prova ontologica, l’occasionalismo di Malebranche, Pascal e il tema del pari o il più recente Rawls (di cui vengono riassunte con acribia le non semplicissime teorie sulla giustizia).
Il risultato è una scrittura molto godibile e veloce (per come può esserlo l’argomento del testo in esame) e una buona capacità di schizzare situazioni, profili, dubbi, incertezze, angosce e ironie del mestiere e di insegnante. Qualcosa certamente la pagina di Parasporo deve a quelle (sempre meno ilari col passare del tempo) redatte da Domenico Starnone nei suoi libri sulla scuola ma non poi troppo. I professori di Starnone credono molto poco in quello che fanno anche se affermano tutto il contrario e cercano fuori dalla scuola soddisfazioni che la scuola non gli dà più.
Beta certo apprezza il tempo libero strappato con il “giorno libero” e se ne va in giro in automobile o si sofferma un po’ di più al bar ma non perde di vista l’amata materia da insegnare: tenta di conciliare l’austero e irriverente pensiero nietzscheano di Umano, troppo umano con la musica scatenata e lancinante di Jimi Hendrix e coniugando l’”illuminismo” rinnovato di Nietzsche con l’ Hey Joe di quest’ultimo. In fondo, sono tutte e due narrazioni della deriva e dell’apertura alla gioia come pure della consapevolezza del dolore di vivere…
Il Professor Beta è disincantato e ironico al punto giusto ma si vede che crede pur sempre in quello che fa e che dice. Quando spiega Anselmo d’Aosta e la sua discussione filosofica con l’insipiens ateo che dice in cuor suo che non est Deus, si rende conto di parlare di un pensatore vecchio di secoli le cui tematiche teologiche sono ormai poco o punto comprensibili a chi le ascolta raccontare e deve poi studiarsele a casa. Eppure porta fino in fondo l’argomentazione e cerca di giustificarla (anche storicamente) a giovani che hanno difficoltà a capirla e non solo per ragioni linguistiche.
Quando spiega come funziona l’occasionalismo di Malebranche fondato sulla radicalizzazione del dualismo cartesiano tra materia e cogito, capisce che l’argomentazione perseguita dal filosofo francese funziona fino a un certo punto ma si sforza di dargli forma e sviluppo conseguenziale.
Quando ricostruisce (e la forma utilizzata è piuttosto felice anche nelle scelte lessicali che la caratterizzano) il grande pensiero di Hobbes, riesce a dare un’idea adeguata della tragedia delle guerre civili in atto che conducono il filosofo di Malmesbury a postulare la necessità del grande Leviatano statuale. Infine, quando definisce i “fatti” e gli “stati di cose” di Wittgenstein, cerca di farlo utilizzando non solo gli stessi strumenti del pensatore austriaco ma fornendo ai suoi ascoltatori le stesse immagini che avevano acceso i motori del suo pensiero teoretico.
Insegnare gli interessa ancora e molto; il fatto che ci conti tanto è dimostrato dal modo in cui scheda e cataloga i suoi alunni nell’ultima giornata di cui rende conto nel suo diario di bordo:
«Ouverture. Imparare a insegnare.
Alunni simpatici = quelli che, forse, sarebbero anche disposti a prenderti come loro modello o punto di riferimento.
Alunni antipatici = quelli che, sostanzialmente, se ne fottono di te.
Imparzialità = non fare agli uni quello che non faresti anche agli altri. (Ma è una meta ideale…)»[4].
Sarà imparziale il professor Beta con gli alunni che gli stanno antipatici? E’ probabile di no, anche se ci proverà. Comunque, rimane simpatico lo stesso…
NOTE
[1] Cfr. W. GOMBROWICZ, Corso di filosofia in sei ore e un quarto, a cura e con un’Introduzione di F. M. Cataluccio, trad. it. di R. Landau, Theoria, Roma-Napoli, 1996.
[2] South Park è una serie di cartoni animati poco adatti a un pubblico infantile in onda in America dal 1997; su di essi il suo autore, Trey Parker, ha costruito nel 1999 un film delizioso (South Park – Bigger Longer & Uncut).
[3] L. PARASPORO, Il professor Beta e la filosofia. Un resoconto semiserio, Firenze, Clinamen, 2012, p. 17.
[4] L. PARASPORO, Il professor Beta e la filosofia. Un resoconto semiserio cit. , p. 59.
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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)
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