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I LIBRI DEGLI ALTRI n.50: Variazioni (gustose) sul mondo antico e sulla loro necessaria quotidianità. Letizia Lanza, “Ludi, ghiribizzi e varie golosi”, “La verità e il mito. Trittico muliebre”, “, Variazioni omeriche (e anguillesche)”

Creato il 05 agosto 2013 da Retroguardia

Letizia Lanza, Ludi, ghiribizzi e varie golositàLetizia Lanza, La verità e il mito. Trittico muliebreLetizia Lanza, Variazioni omeriche (e anguillesche)Variazioni (gustose) sul mondo antico e sulla loro necessaria quotidianità. Letizia Lanza, Ludi, ghiribizzi e varie golosità, Venezia, Supernova Edizioni, 2005; Letizia Lanza, La verità e il mito. Trittico muliebre, premessa di Tiziana Agostini, Venezia, Supernova Edizioni, 2010; Letizia Lanza, Variazioni omeriche (e anguillesche), Venezia, Supernova edizioni, 2011

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di Giuseppe Panella

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L’interesse di Letizia Lanza per la cultura e la letteratura del mondo antico non è recente: fin dagli studi universitari di Lettere Classiche presso l’Università di Padova (poi perfezionati presso quella di Urbino), il mondo greco e latino sono stati al centro della sua abbondante e feconda ricerca critica. La raccolta di saggi del 2005, Ludi, ghiribizzi e varie golosità, rievoca fin dal titolo quelle Stravaganze letterarie e filologiche che Giorgio Pasquali aveva pubblicate fino alla morte parallalemente ai suoi preziosi studi filologici. In questo volume, prezioso per erudizione e per impegno di scrittura, non solo vengono rievocate e descritte pagine importanti della letteratura greca relative al cibo e alla sua preparazione ma viene introdotto un tema, quello del vino in relazione alla poesia, noto da tempo ma di cui solo ora si è riscoperta la fondamentale importanza per la conoscenza del mondo culturale dei “nostri antenati” (per dirla con un titolo caro a Italo Calvino).

Gli studi più recenti al proposito hanno fatto emergere l’esistenza di una ritualità e di una motivazione culturale riguardo la preparazione del cibo che vanno molto al di là della sua pura utilizzazione ai fini della sopravvivenza materiale. L’elogio della presentazione dei cibi ai banchetti e la loro raffinata delibazione troverà in epoca romana (la Lanza cita con rigore un passo da Orazio, satira ottava, libro secondo dedicato alla descrizione di una murena preparata per la cena di un odioso arricchito che portava il nome di Rufo Nasidieno) momenti di grande nitore formale. Anche i versi di Ananio, giambografo di cui ci sono stati tramandati solo sei frammenti per un totale di diciotto versi colpisce l’attenzione della scrittrice che ne esplora il regime dietetico-lirico posizionandolo tra “tonni e lepri”. Anche l’ittiofagia dei Greci, popolo marittimo per eccellenza e che collocava il pesce tra le proprie vivande principali, merita un saggio specifico insieme alla ricostruzione della mitologia ad essa connessa e alle credenze diffuse sulla pesca e i metodi migliori per propiziarla. Ma il trionfo del gusto e del piacere della buona tavola si può ritrovare nell’ultimo saggio del volume, quello dedicato al Nunc est bibendum che accomuna l’Alceo ubriaco dopo la morte del tiranno Mirsilo di Mitilene a Orazio che festeggia con un brindisi la vittoria di Azio da parte di Ottaviano Augusto contro Cleopatra e Marco Antonio. La letteratura sul vino è di tale abbondanza nel mondo antico da non essere facilmente esauribile, anche se gli exempla portati da Letizia Lanza  sono oltremodo ricchi e proficui (inoltre il saggio si chiude con i testi del medico e poetico dialettale veneto Domenico Pastò di cui viene offerta un’interessante spicilegio di testi in onore di vino e donne, sulla scia del celebre brindisi di Don Giovanni nell’omonima opera lirica di Mozart).

Ma non solo al cibo si è rivolto da molto tempo l’interesse di ricerca di Letizia Lanza. La condizione femminile nell’antichità è stata oggetto, infatti, di un gran numero di sue pubblicazioni in cui analisi dei testi e riflessioni di carattere antro- ed etnologico si susseguono con ottimi risultati.

Del Trittico muliebre del 2007, la prefatrice Tiziana Agostani scrive, infatti, con precisione:

“Grazie a una raffinata competenza specifica, capace di spaziare tra epoche e testi, Letizia Lanza, nelle pagine che seguono, ci offre gli esiti di una puntuale ricognizione delle pagine antiche avendo come reagente la categoria della diversità, ruotante attorno alla figura femminile e al tema della magia. La sintesi è rappresentata dalla strega, la strix di latina memoria, uccello notturno che si credeva succhiasse il sangue ai neonati, ma anche la donna, di solito vecchia e sola, capace di collocarsi ai margini e farsi portatrice di sapere che sfuggiva al controllo maschile, divenuta in particolare dal Medioevo all’età moderna oggetto delle più cruente pratiche giudiziarie che prima ancora di portarla alla morte, le facevano patire le più impensabili sofferenze, codificate da manuali e trattati di largo uso” (pp. 7-8).

Le streghe vittime dell’Inquisizione e del pregiudizio popolare, dunque, ma anche la figura della donna come viene proposta (sia negativamente che positivamente) nelle pagine del Vecchio e del Nuovo Testamento. Le sue caratteristiche di “inaffidabilità” caratteriale legate alla sua stessa struttura fisica e mentale vengono elencate dalla Lanza a partire dai testi che ne parlano e le descrivono così come la ricostruzione delle figure di streghe e di maghe (e le loro importanti differenze) porta all’analisi di un paradigma mentale che vedeva nello stereotipo femminile l’origine di ogni male (il caso della nefasta curiosità di Pandora risulta esemplare al riguardo).

Ma se le streghe sono creature diaboliche legate da un pactum sceleris con il demonio e sono la fonte di ogni tipo di tentazione (da quella sessuale a quella dell’eresia), le maghe – da come si evince dal terzo componente del Trittico – hanno avuto un ruolo meno terrorizzante e più benefico, legato al loro ruolo di portatrici della profezia. Le metamorfosi delle streghe, poi, in un innumerevole seguito di creature diabolicamente intese al perseguimento del male nei confronti del sesso maschile (ma non solo) porta la Lanza ad abbozzare un catalogo teratomorfico (sfilano le lamie, le diomedee, le arpie e poi, infine, anche i più terrificanti licantropi) di non poca efficacia evocativa sulla base di un immaginario collettivo solidificatosi nei secoli.

Variazioni omeriche (e anguillesche) del 2011, infine, si affida, nella sua prima parte, alla ricostruzione di alcune figure femminili rintracciabili nei poemi omerici: in particolare, nel centro dell’analisi, viene a trovarsi il personaggio di Penelope in tutta la sua complessa ambiguità, sia per quanto riguarda la sua condotta nei confronti dei Proci e soprattutto nella considerazione in cui la tiene il suo stesso sposo Odisseo che di lei non si fida al principio, non certo allo stesso modo della sua vecchia nutrice Euriclea e non la considera affidabile se non dopo aver saputo della sfida con l’arco e, in seguito ad essa, aver potuto conseguentemente massacrato tutti i suoi pretendenti (su questo punto, la Lanza segue la diligente ricostruzione delle vicende dell’eroe di Itaca compiuta da Gioachino Chiarini nel suo Odisseo. Il labirinto marino, Roma, Kepos, 1991). Ma il momento più intenso del libro è certamente rappresentato dall’esplorazione del mondo marino presente nell’immaginario culturale del mondo antico. Da un lato le Sirene, inseguite in tutte le loro epifanie e in gran parte delle letterature che hanno ereditato il mito esposto nell’Odissea sulla scia di una straordinaria “inquisizione” di Jorge Luis Borges (da Plutarco fino a Kafka e oltre) e mostrate compiutamente anche nelle loro raffigurazioni scultoree ed architettoniche, dall’altro i mostri che emergono dalle profondità del mare dove giacevano apparentemente tranquilli fino alla chiamata da parte degli dei. E’ il caso dei mostri marini evocati da Teseo per far giustizia della supposta violenza perpetrata dal riottoso figlio Ippolito su Fedra (anch’essi protagonisti di una tradizione letteraria che da Euripide giunge fino a D’Annunzio) così come quello delle anguille, animali meno pericolosi in apparenza ma sulla cui genesi sono disponibili molte congetture possibili (la loro genesi dalla fanghiglia, ad esempio, è stata presa in considerazione nell’antichità per lungo tempo).

Il passaggio dalle anguille ai serpenti è breve e il libro, infatti, si conclude con la descrizione delle metamorfosi dei rettili. A questo proposito, viene privilegiata l’ imagery della Pharsalia di Lucano e l’attraversamento del deserto che esso contiene nella sua parte centrale (un episodio chiave per la comprensione del poema che ispirò certamente Dante per la punizione dei ladri come il pistoiese Vanni Fucci “bestia” situata nei canti XXIV e XXV dell’ Inferno). Ma l’essere più inquietante di tutti resta pur sempre il drago basilisco dalle proprietà ammaliatrici e mortifere. Saggio sull’immaginazione letteraria degli antichi, dunque, il libro di Letizia Lanza annoda strettamente erudizione e gusto della descrizione vivida e particolareggiata di ciò intorno al quale argomenta, manifestando, in tal modo, un’immaginazione letteraria mai doma dalla pura ricerca filologica e capace di evocare, mediante la forza delle parole usate, mondi ormai defunti e tramontati, resuscitandoli in vita.

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[Leggi tutti gli articoli di Giuseppe Panella pubblicati su Retroguardia 2.0]

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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)

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