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I LIBRI DEGLI ALTRI n.6: La dimensione del vuoto e l’amore che non torna. Lia Tosi, “Il signor Inane”

Creato il 12 giugno 2012 da Retroguardia

I LIBRI DEGLI ALTRI n.6: La dimensione del vuoto e l’amore che non torna. Lia Tosi, “Il signor Inane”La dimensione del vuoto e l’amore che non torna. Lia Tosi, Il signor Inane, Firenze, Mauro Pagliai Editore, 2011

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di Giuseppe Panella*


Che cos’è l’inane secondo i versi di Lucrezio posti in esergo al romanzo di Lia Tosi (namque est in rebus inane, De Rerum Natura, libro I, v. 329) ?

E’ il vuoto tra gli atomi che, scivolando e seguendo la loro naturale inclinazione (clinamen), vanno a realizzare i corpi che compongono l’universo da essi costituiti e che non è, di conseguenza, compatto e pieno (come si potrebbe pensare) ma in gran parte libero e senza obblighi necessitanti in modo da permettere la libera scelta di movimento agli esseri che ne fanno parte. L’inane è, per questa ragione, il vuoto intorno agli esseri, la dimensione profonda in cui essi navigano alla ricerca di una rotta adeguata alla realizzazione dei loro intenti e dei loro sogni passati.

In una cittadina della Toscana che l’autrice chiama Pè (ma che è perfettamente riconoscibile come Pistoia) gravitano alcuni personaggi dai nomi improbabili ma dalle motivazioni assai interessanti: Maria Rossi, insegnante di Lettere al locale Liceo Classico; suo marito Marcello (che la tradisce da tempo con Rita, che pure è sua amica); Didaco Puccini, ricco proprietario di un negozio di cartoleria con un passato di scrittore e di studioso, da sempre innamorato della bella (e dissipatrice) Fiammetta; Giulio Marini, figlio di una Vilda proprietaria, invece, di un ben avviato negozio di ricami e che appare avviato verso scelte mistiche anti-consumistiche che lo hanno trasformato in una sorta di apostolo degli extra-comunitari, quasi un novello San Francesco… E poi i parenti e amici russi che abitano in casa del cartolaio: Tatjana Larina, moglie sempre sul punto di diventare la ex signora Puccini (Didaco l’aveva sposata per conto di un suo amico giornalista che non poteva lasciare Mosca e che aveva promesso di mantenerla in Italia in attesa di venire poi a sposarsela di nuovo lui dopo un matrimonio di pochi mesi), il pittore fallito Nikita Ignatevic Larin, fratello della donna e l’amica (un po’ velenosetta) di entrambi Ljuba Vavilova. Tutti questi personaggi intrecciano le loro storie e alimentano la loro esistenza gli uni dagli altri.

Il ritorno di Fiammetta a Pè dopo un lungo e misterioso periodo di soggiorno altrove, innesca l’azione. Didaco pensa di divorziare sul serio dopo che il suo matrimonio morganatico si è protratto ormai da anni e di riprendere la relazione con Fiammetta sospesa dai tempi del liceo. Giulio Marini, sottoposto al bullismo dei suoi compagni di scuola, viene mandato in campagna, a Ventalto, sotto la custodia del taciturno Giotto Guidi, custode di una proprietà di famiglia e qui soggetto alle cure culturali del prestigioso Didaco che gli fa da precettore. Giulio è stato, prima del ritiro dalla scuola, allievo di Maria Rossi, ossessionata dal tema angoscioso del predominio dell’inane nel mondo e spesso vittima di crisi depressive molto forti e apparentemente incurabili. Mentre vive nel ritiro della campagna viene rapito da individui non bene identificati: la madre di Giulio e poi la stessa Maria Rossi credono che il colpevole sia un compagno di scuola, Petrucci, la cui villa poco distante ospita forse degli schiavi, sicuramente un Dino Bini, sessantenne, meglio noto come 0UK1, zeroukappai, senza famiglia, ospitato nei sotterranei di una villa isolata in campagna e spesso sottoposto a pubblici processi da parte di certe fantomatiche “Brigate Ficazze” che lo tormentano per non essere mai stato in grado di vivere la propria vita in tutta la sua pienezza. Tale è, invece, l’obiettivo del “ficazzismo”: godere di tutte le opportunità dell’esistenza anche in modo violento e pesantemente lesivo delle libertà altrui. Ma Giulio viene segnalato a Firenze in via Tornabuoni dove cerca di scoraggiare i passanti e i turisti a comprare i prodotti esposti nelle vetrine e, per questo motivo, viene bastonato con decisione e precisione da individui prezzolati dai negozianti che lavorano in quelle vie da sempre destinate al commercio. Sopravvive, tuttavia, all’agguato e di seguito scompare facendo ogni tanto avere qualche segno della propria attività anti-consumistica alla madre che, in quello stesso periodo, ha intrapreso una laboriosa quanto lussuriosa relazione con il pittore Nikita Larin che, grazie agli esborsi amorosi di lei, ha potuto sostituire i propri stracci “tardosovietici” con abiti più consoni alla cultura occidentale del capitalismo trionfante.

Nella ricerca delle piste dello scomparso Giulio, però, Maria Rossi ha coinvolto Didaco, mancato precettore del ragazzo, e, in molto poco tempo, se ne è innamorato anche se la storia d’amore non è poi andata molto avanti (nonostante l’incoraggiamento dello stesso marito di lei che, in questo modo, intende liberarsene per perseguire proprie traiettorie amorose assai più soddisfacenti). Ma Didaco è sempre più coinvolto nel ricordo della propria storia d’amore con Fiammetta che vorrebbe finalmente concludere stimolato in ciò dalla propria più che anziana commessa Adele. Fatto sta però che Fiammetta viene proposta dal prevosto del Duomo don Morelli come moglie all’ormai maturo (ma assai danaroso e avaro) Orlando Cappunti che puntava, in realtà, all’ormai divorzianda Tatjana ex-Puccini. L’abboccamento con quest’ultima, in realtà, riesce (i due copulano in un albergo con gran raccapriccio del bacchettone di Pè-Pistoia) ma alla fine il matrimonio non si conclude. Tatjana, dopo il fallimento della trasformazione del proprio matrimonio per finta in un matrimonio “vero” con Didaco, diventerà l’amante di un ricco mecenate artistico-mafioso russo, Pikutin, che la preferirà all’appiccicosa Ljuba Vavilova (che lo aveva accalappiato con la pretesa di essere incinta di lui mentre, ovviamente, non lo era) e la porterà con sé in giro per l’Italia in qualità di interprete e poi in Russia. Fiammetta, infine, si rivelerà una malata terminale tornata in patria appunto per morire. Il tutto è scritto con taglio gaddiano (sembra di leggere le pagine di L’Adalgisa sulle vicende delle famiglie milanesi che adornano il regesto dell’Ingegnere) ma con rivendicazioni dantesche notevole. Nell’introduzione narrativa al romanzo (denominata Estravagante), la povera Maria Rossi incontra nella stanza del bruciatore il fantasma del papa simoniaco Niccolò III:

«Dalla stanza del bruciatore un suono sgradevole di ferro che si muovesse, di tubi non fermi. Si voltò: il portoncino era stato lasciato aperto. Da qualcuno forse venuto a manomettere, aumentare, diminuire la temperatura, qualcuno degli opposti partiti del condominio, i risparmiatori, i freddolosi, eterne varianti dei bianchi, dei neri. Dette un’occhiata. La questione era ben altra. Dal portello, aperto, del bruciatore a metano uscivano violastre fiammelle, anche un po’ gialline, anche un po’ blu, gas. Ma bruciava sulle piante, lunghe, magre, di due piedi umani. Due stinchi d’uomo uscivano dal portello, e scalciavano, lividi, ossuti. Poi ecco due cosce apparire, vecchie orribilmente; poi l’orrendo bacino e natiche putride; il busto; la testa secca. Rinculando rovinò l’intero riverso sul pavimento, bocconi; boccheggiando. E guizzava le gambe, irate, e il fuoco andava correndo dalla punta dei piedi al calcagno. Tu ! che ti stai costì ritta!  fece la creatura del metano, e i denti mentre parlava gli battevano in terra, tu !…» (p. 15).

L’epifania del papa simoniaco è terribile e diretta – posta all’inizio del romanzo dà subito la cifra della narrazione che seguirà. Il fantasma di Niccolò III con le sue dichiarazioni altrettanto perturbanti (essere stato defecato cioè dagli sfinteri di Satana nel fondo dell’Inferno dantesco e mandato quindi di nuovo in Italia, nella Roma in cui aveva risieduto come potente signore della Chiesa) mostra subito in atto il mondo nebuloso e inane che circonda la mente depressa e abbattuta della povera Maria Rossi. Tutto ciò che è le appare presente in un vuoto che la vita non riesce a riempire. Come scrive l’anglista gotico Sandro Melani nella sua sintetica Prefazione al romanzo:

«Al pari delle opere precedenti e del recentissimo Anonimo povero (2008), Il signor Inane dimostra ben presto di non volersi lasciare incasellare in un rigido sistema tassonomico per privilegiare invece una poliedricità formale, una contaminazione di generi diversi che è il segno della sua complessità e della molteplicità dei suoi livelli di lettura. Può essere innanzitutto considerato un romanzo corale, imparentato così con il fitto stuolo di testi postmoderni, sia letterari che cinematografici, in cui assistiamo alla proliferazione delle storie e dei punti di vista. Sono tanti, in effetti, i volti che affollano queste pagine, dai due principali, Maria Rossi, creatura il cui nome così comune è in netto contrasto con la straordinarietà delle sue capacità percettive e il cui disagio esistenziale fa di lei una creatura marginalizzata – e che proprio il punto di vista di chi vive ai margini sia il più significativo è una conferma della consonanza del romanzo con una delle caratteristiche ricorrenti della letteratura post-moderna – e Didaco Puccini, improbabile anello di congiunzione tra il suo paese natale e quello della sua ex-moglie Tatiana e di suo cognato Nikita Ignatevic Larin… » (pp. 8-9).

Romanzo polifonico, dunque, alla Bachtin, Il signor Inane è un tentativo di scavare nel vuoto della contemporaneità e, nello stesso tempo, di verificarne la tenuta in nome della speranza che gli atomi, ancora e ancora, possano riunirsi a formare dei corpi non inani ma liberi e capaci di provare il piacere che le “Brigate Ficazze” predicano (ma non concedono) ai soggetti  delle loro ineffabili cure di vendicatori della Modernità.

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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)

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