I LIBRI DEGLI ALTRI n.69: C’era una volta la fantascienza… Renato Pestriniero, “La fattoria globale”

Creato il 20 febbraio 2014 da Retroguardia

C’era una volta la fantascienza… Renato Pestriniero, La fattoria globale, Chieti, Solfanelli / Tabula Fati, 2012

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di Giuseppe Panella

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Renato Pestriniero è attivo nel campo della letteratura di anticipazione fin dal 1958 quando pubblicò i suoi primi racconti in Oltre il cielo, la rivista di Cesare Falessi che riuscì a operare prodigiosamente in un settore che appariva (come, in effetti, fu) ostracizzato nell’ambito della letteratura ufficiale e considerata di livello più elevato in quanto appartenente a un livello da ritenersi “inferiore” ad essa sia per contenuti che per qualità stilistica.

Un suo racconto del 1960, Una notte di 21 ore, uscito sul n. 61 (1/15 giugno) della rivista di Falessi, ha conosciuto una fortuna straordinaria dopo la sua utilizzazione come soggetto di un film, Terrore nello spazio, girato da Mario Bava nel 1965.

Si trattava del primo film di fantascienza ispirato da un’opera di un autore italiano e il suo impatto dimostrativo dell’esistenza di una letteratura di anticipazione anche nel nostro paese è ancora oggi notevolmente rimarchevole e di assoluta evidenza.

Utilizzando una sceneggiatura scritta dallo stesso Bava in collaborazione con Alberto Bevilacqua che fu per lungo tempo suo assiduo collaboratore, il regista sanremese riusciva a rendere con pochi effetti speciali e un investimento produttivo molto modesto la dimensione di terrore e di angoscia che risultava preponderante in quel non certo lungo racconto di Pestriniero. Ovviamente, le differenze tra racconto e sua realizzazione filmica sono assai notevoli e l’azione risulta nella pellicola molto più dilatata e prolungata nel tempo rispetto alle ventuno ore del testo originario ma quello che conta è il fatto che la narrazione sia stata utilizzata come soggetto di un film in un’epoca in cui il predominio anglosassone nel genere sembrava indubitabilmente indiscutibile.

Ma va detto (anche se potrebbe sembrare scontato) che i meriti artistici e letterari di Pestriniero non si esauriscono con quel racconto. La sua produzione nel corso del tempo è divenuta sempre più ampia e ponderosa e dalla fantascienza così detta hard lo scrittore veneziano è andata spaziando nel campo del fantastico e poi in quella commistione tra generi diversi (occulto, horror, poliziesco, narrativa d’azione) che è divenuta ormai, quasi spontaneamente, la letteratura d’anticipazione.

Tra i suoi romanzi non si possono dimenticare (sia pure in una rassegna decisamente cursoria) romanzi come Il villaggio incantato (Bologna, Edizioni Libra, 1982, ispirato a un racconto di Alfred E. Van Vogt e scritto con l’autorizzazione dello scrittore americano), Il nido al di là dell’ombra (Chieti, Solfanelli, 1986), Una voce dal futuro (Milano, Edizioni Bruno Mondadori, 1996), L’osella misteriosa del doge Grimani (Spinea (Venezia), Edizioni Helvetia, 2001), Resurrezione (Bologna, Perseo Libri, 2004), Le Torri dell’Eden (Bologna, Elara, 2008), il lungo viaggio nel tempo attraverso il fantastico di Le tre morti di Aloysius Sagredi (Chieti, Solfanelli, 2011), Frattanto, in fiduciosa attesa… (Venezia, Venezianarrativa, 2011) e La pietra dell’alchimista (Chieti, Solfanelli, 2013).

Lo stesso va detto di almeno un paio di eccellenti raccolte di racconti come Di notte lungo i canali… (che si presenta con una splendida introduzione di Carlo Della Corte, Treviso, Canova, 1994) e C’era una volta la luna (Bologna, Perseo Libri, 2005 – che contiene anche Una notte di ventuno ore e la sua versione extended, Né Ariel né Caliban, che continua e approfondisce di densità letteraria il racconto precedente).

Molto affascinante, inoltre, non foss’altro che per il tema trattato risulta anche Sull’orlo, un racconto presente nella bella antologia Volterra in giallo e nero, a cura di Pietro Gasparri e Luca Ortino, pubblicato nel 2011 dalle Edizioni della Vigna di Milano.

Ma i molti romanzi scritti da Pestriniero spiccano sicuramente per novità, valore stilistico e interesse narrativo Settantacinque long tons (Bologna, Perseo Libri, 2002) e La fattoria globale (Chieti, Solfanelli, 2012) e su di essi sarà necessario soffermarsi almeno un poco.

Nel primo – una storia tutta ambientata nello spazio profondo da poco “civilizzato” dagli esseri umani – l’odissea di chi deve raccattare in tutti i modi possibili settantacinque long tons di materiale metallico per poter tornare nel consorzio degli esseri umani sulla Terra diventa l’occasione per una narrazione tra l’avventuroso e l’ispirato, spia della vocazione di Pestriniero alla costruzione di storie dal lungo respiro con personaggi psicologicamente assai interessanti e vividamente ben costruiti.

L’idea di fondo del romanzo si può rapidamente riassumere in questo modo: i paria di ogni tipo, relitti umani che hanno conservato una loro dignità e una decisa volontà di resistere, possono recuperare il loro status di cittadini della Terra se riusciranno a depositare sessantacinque long tons (un long ton è l’equivalente di 1016 chilogrammi rispetto alla tonnellata “metrica” più usuale), di materiale comunque riutilizzabile in qualche modo. Tra questo esercito di reietti spiccano Caleb Roth, un ex-astronauta che è stato esiliato perché è entrato in rotta di collisione con una società multinazionale che si occupava di cloni umani geneticamente modificati in maniera abusiva, Narciso detto Narci, frutto di un esperimento scientifico sui geni umani non riuscito e Loisa Podarici, una medium che è in grado di aiutare a nascere questi bambini “modificati” e che ha denunciato il loro traffico all’opinione pubblica.

Dei tre solo la donna rumena riuscirà a condurre a termine l’obiettivo prefisso e necessario a ritornare sulla Terra: i suoi due compagni di sventura e di lavoro si sacrificheranno per lei.

Ma anch’essa rinuncerà a tornare nella patria umana per continuare – inutilmente, va detto – a incitare alla ribellione i reietti che vivono nell’Ecumene, lo spazio in cui tutti gli scarti, i relitti e la “spazzatura” terrestre viene gettata senza problemi e da cui bisogna ricavare quanto più è possibile.

La morale della storia è racchiusa in una frase che Caleb Roth pronuncia metà del romanzo:

« “Sai cosa penso? Credo che stiamo vivendo una nuova trasformazione della nostra specie. Come successe con i sauri. Sono vissuti e sono scomparsi, lasciando qualche osso e una montagna di leggende. La nostra parte l’abbiamo fatta, adesso tocca agli altri”.”E chi sarebbero gli altri, i loser?” “No, i Larimer [è il nome del viscido capitalista/contrabbandiere di cloni geneticamente modificati che ha incastrato e costretto all’esilio Caleb] e tutti coloro che stanno preparando di nascosto l’uomo nuovo. Chissà, forse i loser hanno capito tutto o, se non l’hanno capito, lo fanno per uno strano misterioso istinto»[1].

La lotta contro il potere occulto e feroce di multinazionali che si occupano del commercio di esseri umani fatti a pezzi in laboratori tenuti segreti e confinati nello spazio è al centro di La fattoria globale, variazione atterrita e disperata di La fattoria degli animali di George Orwell (l’autore di 1984 è da sempre uno dei numi tutelari dello scrittore veneziano).

Catone Santini, un detective free-lance tuttofare, amico del commissario Vanni Sartore, incontra casualmente in una palestra una ragazza che gli ricorda un suo vecchio amore, una ragazza dal misterioso nome di Siriana. Ma non si tratta di lei, bensì di Luisa Albini, una funzionaria di una grande multinazionale in espansione, la PRATECH.

Mettendosi sulle sue tracce in maniera furtiva e cercando di appurare la verità su chi sia veramente, Cato si imbatterà nella vicenda molto oscura della morte di Denise Roussonné, la donna di Errico Liebelmann, un grosso esponente della PRATECH il cui suicidio si rivela qualcosa di diverso ad dall’effetto di una depressione irreversibile o di una delusione amorosa. Dalle registrazioni di una serie di telefonate satellitari con Nevio Kaminski, lanciato nello spazio con una missione il cui scopo si rivelerà soltanto verso la fine del romanzo, Cato apprende delle attività della multinazionale di Liebelmann e cercherà di costringere quest’ultimo a confessarle, servendosi dell’aiuto di un bizzarro personaggio, Cowboy, che è suo amico.

Per venirne a conoscenza fino in fondo e per salvare da morte sicura Luisa, della quale si è ormai perdutamente innamorato, si lascerà condurre nello spazio dove verrà a conoscenza di ciò che i robot medici della PRATECH fanno delle loro inconsapevoli vittime reclutate con la promessa di un lavoro lucroso. Ritornato sulla Terra (dopo un fortunato atterraggio in una laguna veneziana), l’uomo riuscirà a convincere Sartore a occuparsi della questione e, quando quest’ultimo verrà fatto assassinare, deciderà di continuare da solo la battaglia contro la potente multinazionale.

Anche qui la disperazione non prevarrà sulla forza messa in campo dal Potere economico che guida i destini del mondo: un mondo ormai diventato una global farm dove alle profezie di Orwell si uniscono quelle di Marshall McLuhan sulla comunicazione globale.

Lo sostiene anche Liebelmann, nonostante il duro interrogatorio cui lo sottopongono Cato e Cowboy e nonostante la situazione molto difficile in cui si trova:

«Il tempo volava ma Cato voleva sentire le parole di quell’uomo e non solo conoscere il significato di qualche sigla. Quella era un’occasione imperdibile per scavare in una miniera preziosa. “… ecco perché saremo sempre noi a vincere”, stava dicendo Liebelmann. “La nostra stabilità viene assicurata proprio da coloro che avrebbero i mezzi per poterci distruggere ma, farlo, sarebbe per loro un suicidio. Si ricordi quello che ha detto George Orwell ne La fattoria degli animali, tutti sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri. E adesso il mondo è diventato una fattoria, una fattoria globale dove…”. “Sento qualcosa!” esclamò Cowboy»[2].

E così l’avventura continua fino al suo epilogo tra tragedia e volontà di riscatto.

… Analizzando la globalizzazione dell’industria del male e della sofferenza, ancora una volta Pestriniero si rivela un narratore di razza e un notevole scrittore di frontiera.


NOTE

[1] Renato Pestriniero, Settantantacinque long tons, Bologna, Perseo Libri, 2002, p. 118.

[2] Renato Pestriniero, La fattoria globale, Chieti, Solfanelli / Tabula Fati, 2012, pp. 146-147.

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[Leggi tutti gli articoli di Giuseppe Panella pubblicati su Retroguardia 2.0]

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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)

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