I LIBRI DEGLI ALTRI n.82: Poesia del disagio esistenziale. Aa. Vv., “Viaggi di versi. Nuovi poeti contemporanei”

Da Retroguardia

Poesia del disagio esistenziale. Aa. Vv., Viaggi di versi. Nuovi poeti contemporanei, Roma, Edizioni di Pagine, 2013

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di Giuseppe Panella

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Un forte disagio esistenziale trapela dalla lettura dei tredici poeti raccolti nelle pagine di Viaggi di versi, una delle più recenti antologie pubblicate da Elio Pecora nelle sue Edizioni di Pagine e dedicate alla valorizzazione di poeti contemporanei più o meno giovani e a lui legati.

In tutti questi autori, dalle provenienze le più diverse e dall’impostazione poetica alterna e spesso volutamente sperimentale, emerge un diffuso malcontento per la vita vissuta in condizioni spesso disagiata o senza sbocchi (anche se – come è ovvio – non mancano fortunate eccezioni): c’è chi come Letizia Cianetti lamenta il disamore della famiglia e le sue difficoltà esistenziali legate a una sua disabilità fisica, c’è chi, invece, come Manuela Mancini, trova rimpianto e disappunto per le positive evenienze della sua vita quotidiana, c’è, infine, chi, come Giovanni Giuliano, cerca nell’umorismo un po’ amaro che lo contraddistingue una sorta di risarcimento per le difficoltà di vivere e trovare conforto nella scrittura. Ma sarà bene procedere per gradi, analizzando brevemente ciascuno dei poeti della raccolta in questione e verificare l’arco della loro poetica.

Aidan, giovane napoletano studioso di Psicologia Cognitiva, si concede uno sguardo caustico sulla realtà del presente (Narciso) ma poi affonda nella richiesta di tenerezza legata a un amore corrisposto (Questa è una di quelle notti in cui ti vorrei vicino) e conclude con una richiesta di amore e speranza (Vita e speranza ti darei) e di amicizia (Gavino). Nella sconsolata rinuncia che pervade la sua poesia, ci sono tuttavia – come si può intuire – accenni di fiducia nel futuro.

Anche l’ascolano Matteo Bruni ritaglia nello spazio della poesia un suo momento di musicale libertà (“Tocco un tasto e esso inventa / subito una nitida nota / dalla tastiera di bianchissimo / avorio, che m’invita alla vertigine / di un pentagramma vergine / ma appena a rilasciare provo / la goffa anima …) e cerca rifugio nell’armonia delle linee e dei suoni per riparare alle dissonanze della vita ed evitare l’affannosa conclusione nel silenzio che sembra attendere le sue parole liriche.

Letizia Cianetti, invece, architetto romano vittima di una malattia solo fisicamente invalidante, reagisce con forza e coraggio alle conseguenze della malattia e usa la sua scrittura poetica come un maglio che la spinge all’invettiva (17, L’integrazione – in cui narra le disavventure subite per colpa di una sua badante peruviana, Famiglia, Non è questo) e spesso a compiacersi di un linguaggio molto crudo (ma sempre con accenti di sincerità). Nonostante la rabbia e il dolore predominanti, alla fine, la richiesta di amore (corrisposto) e di tenerezza (concessa e ricevuta) finisce per prevalere in un abbraccio cosmico nei confronti di tutti gli esseri viventi (i suoi amati cani).

Pietro Ferrante, palermitano, laureato in Biologia e ora studente di Medicina, congiunge il suo bagaglio culturale di carattere scientifico ad un’aspirazione cocente alla scrittura lirica e descrive, con tocchi lievi ma precisi, l’avanzare della malattia (Maledetta anemia falciforme) e la morte come ineludibile progressione del Tempo (The Time Mistress).

Giovanni Giuliano, poeta classico nei modi e nei temi, descrive l’amore (Inno all’amore) e gli eventi memorabili della sua vita (La confusione) mescolandoli a considerazioni di carattere sapienziale (Felicità, Ispirazione, Lancette) e oniricamente protesi ad una sapida narrazione in versi. Le sue poesie presentano tutte una volontà di spiegazione dei fatti della vita che le rendono documenti umani di gradevole pienezza discorsiva.

Antonietta Guadagno, napoletana trapiantata in Piemonte, alterna l’italiano al nativo dialetto napoletano in un tentativo riuscito di mescolare poesia civile (I ragazzi di Locri, Libertà) a considerazioni di carattere esistenziale su base storico-artistica (Al poeta non servono scarpe ovvero Le chassures di Van Gogh). E’ quest’ultimo esperimento di scrittura quello che probabilmente risulta più riuscito e che le è più congeniale concedendo alla poetessa maggiori spazi di gioco linguistico e narrativo ma è anche vero che poesie come La vita ci sorprende sempre assumono caratteri di riflessione generale sulla vita e sui suoi eventi che rendono molto bene i suoi intenti lirici e riflessivi. Maria Paola Guarino, invece, dagli interessi multiformi (insegnamento, sport, pittura) innesca e alterna nella sua poesia momenti di vita vissuta (il rapporto con il suo gatto astuto e affettuoso) a flash lirici legati alla sua dimensione più intima (“Sei l’orgoglio dell’affermazione / Sei la / bramosia dell’esperienza / Sei il fascino del carattere / sei la forza di chi non / si perde / Sei coraggio verso il futuro / Sei l’affetto di chi è pronto a tornare / Sei il sogno mai imprigionato / Sei la dolcezza di chi sa comprendere / Sei / la pacatezza di chi non giudica / Sei la tenerezza e l’essenza della mia vita”). Manuela Mancini cerca nel rapporto con le emozioni vissute il reagente capace di ispirare la poeticità diffusa all’interno della sua scrittura : A sera, rappresentazione intensa di un crepuscolo emotivo ; Parole, soffusa e tenera aspirazione a una dimensione della poesia come scrigno ben difeso dell’anima e Amanti, rammemorazione struggente e pallida invocazione legata al bisogno d’amore sono tra le sue prove meglio riuscite.

Marè, poetessa in vernacolo campano, evoca la figura sfuggente del suo Criatore, descrive compostamente A’ passiata d’à vita e inveisce con garbo contro U politicante moderno e sempre uguale ai suoi predecessori ma si conforta ancora con un momento di fiducia nel futuro (‘A speranza) e approda alla tristezza esistenziale di Unico, dedicata alle foglie morte che cadono e “nùn vèneno chiù”. Anche Alessandra Poletti, esperta di Scienze Motorie e Medicina Naturale, si mette alla prova con la redazione di brevi frammenti lirici sulla natura, sulla vita, sulla pace (la poetessa è fortemente legata al movimento pacifista) e sui legami tra gli uomini e il mondo che li circonda. Paola Ruggiero, invece, investe soprattutto nella poesia d’amore, esprimendo sentimenti molto tradizionali ma espressi con un certo vigore e con molta convinzione, particolarmente nella lirica Quel che resta di noi anche se poi il sentimentalismo un po’ liquido di alcune di essa si rapprende nell’amarezza di testi come Ore (“E’, /il mio tempo / con te, / il tempo della / noia … / Ke ore, / così lunghe / da passare, / tra i vuoti e / i silenzi / divisi a metà, / agonizzano a sera / ed io con loro…”) giustamente efficaci nel dettato stilistico.

Silvio Tempesti, pratese, pittore, performer e “cuoco nomade” (così egli stesso si definisce in apertura), descrive con accenti forti e chiari una condizione esistenziale di attesa e di disagio in cui alterna momenti piani e scorrevoli e altri in cui la scrittura si fa rotta e mescidata da arcaismi, intrisa di interessanti succhi umorali ben disciplinati. La lirica In morte di Marruca con le sue robuste eco carducciane (“Nera or ti morde la terra”) e la forza disperata di un ricordo ancora cocente ne è esempio coerente e insinuante.

Mentre l’abruzzese Fab.Zombie (evidente pseudonimo postmoderno) conclude la raccolta con una sua insistita cavalcata di situazioni e momenti di racconto in versi in cui esprime essenzialmente le emozioni provate in passato e delibate nel momento presente attraverso una scrittura vorticosa e inquietante, inceppata dalla necessità di dire e insistita nella reiterazione dei suoi stilemi.

Ciò che unifica tutti questi poeti così diversi – scrive Elio Pecora nella sua quarta di copertina – è “il molto che ci portavamo dentro inespresso” che questi molteplici esempi di approccio alla poesia permettono di far emergere alla luce dei sentimenti che esprimono e che conducono al loro legittimo compimento lirico. Se in essi c’è ancora molto di non perfettamente compiuto e sbocciato stilisticamente, esso sarà compensato domani dalla loro fioritura imminente.

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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)

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