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di Giuseppe Panella
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La tentazione del Doppio è presente nella soggettività di ognuno di noi: vedersi proiettato in una figura umana che ci assomiglia e che, tuttavia, può conoscere risvolti e sviluppi esistenziali diversi da quelli che noi abbiamo conosciuto è una tentazione irresistibile.
I personaggi del breve testo narrativo che si intitola Partita di anime e che segue (a mo’ di spin-off – come si suol dire oggi con qualche approssimazione) il precedente e più lungo Sentieri di notte del 2011 sono tutti calati in questa dimensione che, però, ha sicuramente una paternità più illustre connessa alla nota teorizzazione sulla bivalenza tra animus e anima dovuta alla ricerca psicoanalitica di Carl Gustav Jung. Il breve romanzo di Agnoloni, nonostante le dichiarazioni di fede connettivista del suo autore che è comunque legato a questo movimento innovatore nell’ambito della scrittura d’anticipazione italiana, non ha nulla a che vedere con la fantascienza, semmai con il fantastico e le sue molteplici facce e sfaccettature. Lo stesso vale per la figura (non solo letteraria) del Doppio[1] cui bisognerà fare riferimento per comprendere le intenzioni narrative di Agnoloni.
Tutto comincia dopo Sentieri di notte, dunque, e dopo il grande crollo delle reti neurali di Internet.
E’ il 2025: John Myers che vive ormai a Cambridge da tempo riceve dalla sua amica Emanuela, una donna che non lo vede da tempo e della quale nel libro si dirà ben poco, due testi narrativi. Uno, molto breve, firmato dal giovane scrittore fiorentino G. A. (l’allusione è fin troppo trasparente) e l’altro, molto più lungo, dello studioso olandese Kasper van der Maart. E’ quest’ultimo a costituire il nocciolo duro della narrazione. Il suo protagonista, un affermato giornalista di Amsterdam, porta il nome di Edward Vlaminck, come l’ispettore dei romanzi della scrittrice belga Kristine Klemens (già misteriosamente scomparsa all’interno del precedente romanzo di Agnoloni).
E’ palese che, per costruire un ponte narrativo con il romanzo che precede Partita di anime, lo scrittore fiorentino sia ricorso all’espediente più che classico del “manoscritto ritrovato” anche se qui, ovviamente, più che trovato per caso o costituito da uno scritto da considerarsi inedito, il testo che costituisce il corpo della narrazione viene inviato come un dono a un destinatario che non si conosce e che non darà mai il suo parere sull’opera che gli viene sottoposta.
L’antefatto è rapido e non viene descritto con eccessiva dovizia di particolari.
Ettore Olivieri, assicuratore di successo di Amsterdam ma di sicura origine italiana, viene assassinato con un colpo di pistola nel momento in cui esce dal suo ufficio sulla Spuistraat, situato nel pieno centro della città. Il giornalista Vlaminck si reca immediatamente sul luogo del delitto ma non riesce a capire nulla delle ragioni di quanto è accaduto e vede a malapena l’uomo delle pulizie che ha scoperto il delitto. L’inizio della caccia all’uomo lo galvanizza ma, nello stesso tempo, rende il mondo esterno in cui si tuffa completamente diverso da come era prima che la vicenda iniziasse:
«Ritornò fuori nel sole, e gli parve che avesse già una luce diversa da prima. Sembrava che sulla città fosse scesa una cappa silenziosa. Davvero i fatti hanno un potere tanto forte sugli ambienti ?, si chiese. Ma era una domanda sciocca, per un giornalista esperto come lui. I fatti cambiano i luoghi e le persone, e in fondo era proprio qui che interveniva il suo intuito investigativo: cercava quella sensazione alterata, quello stato emotivo modificato che nasceva dall’evento su cui doveva scrivere, e poi se ne serviva come di un grimaldello»[2].
Di conseguenza, per il giornalista i fatti la cui natura andava chiarita e i cui sviluppi andavano accertati portavano nella direzione di una conoscenza molto più precisa della personalità di Olivieri, della sua figura di uomo, della sua cerchia di amicizie e di relazioni.
Vlaminck si mette a passeggiare per Amsterdam per chiarirsi le idee e si reca nel Vondelpark per riflettere: le conclusioni cui arriverà saranno soltanto due. L’assassino non potrà essere che “un uomo disperato o una donna abbandonata”. Poi mentre sta ritornando sul Leidensplein per prendere un tram in modo da ritornare alla redazione del suo giornale, il suo sguardo incrocia misteriosamente quello di una donna che gli sembra di “una tristezza antica” e intuisce vagamente che potrebbe essere in presenza dell’assassina. Quella stessa donna, continuando a peregrinare per la città inquieta e irrisolta nei suoi sentimenti, finirà per arrivare nel cortile della piazza delle Begijnhof, il complesso di 164 appartamenti all’interno dei quali vivevano le pie donne devote che avevano questo nome poi divenuto segno di dispregio nei confronti di una pietà religiosa eccessiva e troppo legata all’osservanza del culto (anche se probabilmente il termine in sé deriva dalla setta ereticale degli Albigesi).
Qui, incoraggiata da un misterioso prete che le si avvicina per consolarla, racconta la sua storia e rivela di essere stata la compagna di Ettore Olivieri che ha poi rotto con lui per il numero di eccessivi tradimenti dell’uomo nei suoi confronti. Il sacerdote la incoraggia, invece, a fare chiarezza in se stessa e ad affrontare l’ombra del suo ex-amante soprattutto ora che è morto. Il rapporto rimasto irrisolto quando entrambi erano vivi andrà chiuso in pace ora che egli appartiene al mondo dei defunti. Questo consiglio viene accolto dalla donna che decide di riconciliarsi con l’anima di Olivieri. Quest’ultimo – come apprenderà Vlaminck nel corso della sua inchiesta – non abita ad Amsterdam ma in una cittadina, Volendam, vicina alla capitale olandese e molto frequentata dai turisti. L’indirizzo il giornalista lo apprende mediante Internet ma sorprendentemente tra le mail di quel giorno ne trova una inviatagli dallo stesso defunto che lo invita a incontrarlo, invece, a Marken, un’isoletta poco distante dalla cittadina di residenza dell’assicuratore italiano.
Recatosi nella casa di Olivieri, Vlamick incontra Rita Van Tiggelen, vicina di casa dell’assicuratore, che gli rivela come l’uomo fosse un solitario, che non avesse amici né ne ricevesse e che una volta gli aveva parlato di una donna con cui aveva avuto un’importante relazione finita poi per colpa di lui. Nel frattempo, la donna incontra su una panchina nei pressi della Casa di Rembrandt il fantasma di Olivieri e, dopo un breve battibecco, si riconcilia con lui (la donna “comprese che restava solo una cosa da fare: perdonarlo”) ma decide di cercare l’altra parte di se stessa, la sua metà rimasta in ombra e si reca a Marken alla sua ricerca. E così mentre Vlaminck trova l’inserviente della società assicurativa che rappresenta il doppio dell’italiano assassinato, quella parte dell’uomo che è andata perduta e che ha continuato a vivere una vita molto lontana da lui pur restandogli vicino
«”Lei dunque è il doppio di Ettore Olivieri in questo senso ?“ “Sì. Io sono la parte di lui che non ha saputo fuggire, che ha continuato a pensare all’amore di un tempo e ha rifiutato di darsi tutta alla carriera” “Però ha sempre vissuto vicino a lui, lavorando perfino nello stesso ufficio… “ “Non ho potuto farne a meno … C’era qualcosa che mi legava a lui” “E lui lo sapeva ?” “Penso di sì, o forse no, chissà… ma eravamo riusciti a stabilire una strana simbiosi… un accordo spontaneo, non saprei come spiegarlo. Naturalmente alla polizia non ho potuto dire niente di tutto ciò. Non mi avrebbero mai creduto»[3],
la donna cerca il confronto con la moglie dell’altro uomo che è, in realtà, il proprio doppio (dato che, in un mondo parallelo, l’ha sposato e ha avuto una bambina da lui). Eppure, nonostante il racconto avvalori l’ipotesi di un profondo rancore della donna nei confronti di Olivieri, non è lei l’assassina. Chi ha ucciso Olivieri è un’altra parte di lei, il fantasma di una donna dai capelli rossastri, già intravista da Vlaminck sul vaporetto e che è una delle ombre di cui si compone la complessa personalità della persona abbandonata dall’assicuratore ucciso.
Fermata nel momento in cui sta compiendo la sua opera di morte, si sgretolerà finendo di nuovo nell’universo parallelo da cui proveniva:
«Nel giro di pochi secondi non rimase di lei che una massa informe, isolata al centro di questa partita di anime, con tutti i giocatori intorno a sé»[4].
In questa fantasmagoria di luci e di ombre si consuma il destino di due anime che in vita non hanno saputo incontrarsi e che, invece, si ritroveranno e si riconcilieranno solo nella morte (sarà poi questo, di nuovo, l’argomento del breve racconto, Il sepolcro del nuovo incontro, che chiude il libro, il testo narrativo non a caso emblematicamente firmato G. A.).
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NOTE
[1] Per quanto riguarda la figura letteraria del Doppio dall’Anfitrione di Plauto giù giù fino alla letteratura d’anticipazione contemporanea, mi permetto di rimandare al mio Il sosia, il doppio, il replicante. Teoria e analisi critica di una figura letteraria, Bologna, Elara Edizioni, 2009.
[2] G. AGNOLONI, Partita di anime, Giulianova (Teramo), Galaad Edizioni, 2014, pp. 16-17.
[3] G. AGNOLONI, Partita di anime cit. , p. 66.
[4] G. AGNOLONI, Partita di anime cit. , p. 76.
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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)
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