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I LIBRI DEGLI ALTRI n.99: Dediche e sogni di una vita migliore. Carlangelo Mauro: “Il giardino e i passi”; “Liberi di dire. Saggi su poeti contemporanei”; “Rifare un mondo. Sui ‘Colloqui’ di Quasimodo”

Creato il 13 ottobre 2014 da Retroguardia

Carlangelo Mauro, Liberi di direIl Giardino e i passi - Carlangelo Mauro Dediche e sogni di una vita migliore. Carlangelo Mauro, Il giardino e i passi, prefazione di Maurizio Cucchi, Milano, Archinto, 2012; Liberi di dire. Saggi su poeti contemporanei, Avellino, Edizioni di “Sinestesie”, 2013; Rifare un mondo. Sui “Colloqui” di Quasimodo, Avellino, Edizioni di “Sinestesie”, 2013

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di Giuseppe Panella

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La cifra più autenticamente rilevante dell’opera poetica di Carlangelo Mauro poeta è sicuramente la sua “passione del presente”, fatta di memorie e increspata di ricordi anche minuti ma tali da conferire senso alle vicende di un oggi che sembra non volerne tenere più. E’ il parere (certo autorevole) anche di Maurizio Cucchi :

«Gli aspetti che subito emergono anche a una prima lettura di questo libro di Carlangelo Mauro sono a mio avviso due : la sottigliezza e l’acutezza della scrittura e l’insistere di una memoria che è anche, o soprattutto, memoria familiare e storica, e che risale, dunque, anche decisamente indietro nel tempo, come se l’autore se ne sentisse in qualche modo, ma certo senza opporsi, risucchiato. […] Il suo è un verso breve, asciutto, eppure denso, che deve la sua ristretta misura a una attenta economia della parola, a un rispetto che non viene mai meno per la parola stessa, insieme a una felice vocazione antiretorica, quella che gli consente di esprimere il sentimento – che pure si avverte pulsare vivamente – senza sottolineature di alcun genere, e dunque con singolare autenticità, con piena verità personale. Una questione di stile e di gusto, s’intende ; ma anche e soprattutto, direi, una questione di moralissimo decoro»1.

La “vocazione antiretorica” sottolineata da Cucchi è evidente in molti dei testi raccolti nelle sezioni Fiati e ombre dedicata al rammemorare persone care o importanti o significative nella sua vita senza mai scadere nel patetismo o nella pur dolce voluttà del dolore di ricordare ciò che un tempo era stato bello e aveva contato molto nello scandito succedersi della vita e, soprattutto, Il giardino dove il ritmo delle dediche si accompagna a una scansione stilistica non mimetica ma quieta e rassodata in una compiuta sicurezza di stile.

Ma c’è una sezione del libro, Ritrovamenti, dove emerge una vena di avvertimento profondo della morte e di dispersione della verità dei fatti e dei sogni che deve abbastanza al primo Cucchi, quello di Il disperso, ma acquista solidità narrativa nel suo essere “notizia degli scavi” non solo del terreno e della Storia cui esso appartiene quanto della dimensione nascosta che appartiene al proprio Io.

Ad esempio, in una di queste brevi lasse, si racconta :

«Alle cinque di un pomeriggio qualsiasi, vicino casa. Tanti sguardi sugli scheletri dell’età del bronzo sigillati sotto le pomici del Vesuvio ad alcuni metri di profondità. Il ritrovamento di sepolture è uno spettacolo inusuale ed emozionante. / Giovani nella notte sono scesi sottoterra per vedere da vicino gli scheletri coperti con della plastica e hanno mosso parti del bacino del maschio. Le automobili sfrecciano a lato della strada. / La pietra sotto la testa è divenuta nel corso del tempo baldacchino per letti, lapide imperiale … un equipaggiamento utilissimo e magnifico ma anche terribilmente infame, come si conviene a una fine ignominiosa : // detriti e campioni di terra / codici di sottili linguaggi / la morte chiusa / in una teca // sono io sotto gli occhi / dell’ameno visitatore»2.

L’apparente andamento prosastico del testo non deve far evitare il confronto con la scrittura poetica che esso contiene : il taglio sembra essere quello di un resoconto tranquillo seppure alquanto emozionante di una scoperta archeologica ma l’andamento del ricordo non è quello derivante dalla registrazione asettica e un po’ indifferente dell’archeologo quanto quella del poeta che scopre se stesso in un altro mondo sconosciuto e distante, sprofondato nella notte di una terra che lo nasconde a se stesso e che solo la volontà di andare fino in fondo all’interno di essa può rivelare agli occhi della narrazione lirica. Quel “sono io sotto gli occhi / dell’ameno visitatore” svela l’arcano e riporta la poesia di Mauro alla sua matrice originaria di scavo in profondità : nella memoria – come si è già detto, nel suo passato personale, nella dimensione stessa della poesia come pratica di scoperta di essa avvenuta all’interno della “stanza enorme” (E. E. Cummings) della sua possibile origine ed evoluzione progressive fatte di allontanamenti e distanziazioni necessarie, di verità da rivelare e di ricordi da dimenticare conseguentemente :

«c’era una volta la poesia / quando la stanza buia / era piena / del gioco della memoria // c’era perché senza barare / la toccavi con mano // adesso hai bisogno di lenti / grosse talmente da vedere / solo quelle»3.

Se la memoria viene meno e si arrende al buio opaco dell’oblio che l’avvolge e la sconfigge ineluttabilmente, la poesia cede di fronte alla necessità di trovare altri sbocchi, “altre voci, altre stanze” in cui dimostrare la sua (im)probabile presenza e renderla lampante, visibile.

Accade per la poesia quel che è necessario ritrovare con il gusto perduto a proposito della botte il cui autentico sapore è incerto e a nulla serve continuare ad assaggiarlo :

«L’enigma della botte. a David Hume

le discussioni parvero interminabili / non si sapeva cosa stampare / di una miriade // si scelsero gli assaggiatori / ognuno propose / il suo vicino più diretto // alla fine la botte fu rotta / e si trovò una chiave / di ferro e una suola»4.

Ma il poeta Mauro è da segnalare anche come un prezioso e colto saggista e del suo lavoro sulla poesia contemporanea non si potrà non tenere (e rendere) conto.

Sia nella ricostruzione dei Colloqui che Quasimodo ha tenuto lungamente sul settimanale “Tempo”5 sia nell’analisi di sei importanti poeti italiani della contemporaneità (Luigi Fontanella, Giampiero Neri, Milo De Angelis, Paolo Volponi, Umberto Piersanti e Maurizio Cucchi6), Carlangelo Mauro dimostra la sua ottima capacità ermeneutica e una notevole duttilità interpretativa. In particolare, ricostruendo i percorsi di poetica di autori particolarmente complessi come De Angelis o Neri (cioè Giampiero Pontiggia) oppure Fontanella, il critico si rivela capace di coglierne fondi e doppifondi e di bilanciare l’attenzione rivolta ai livelli formali della scrittura e la volontà di scavare in direzione del profondo della loro severa ispirazione non esente da una complessità stilistica non indifferente.

Del libro su Quasimodo basterà ricordare la bella ricostruzione che l’autore fa dell’atteggiamento “neoumanistico” e, in fondo, molto tradizionalista del poeta siciliano riguardo la neoavanguardia e la modernizzazione che incombe sulla cultura italiana quando già si avvertono i prodromi del Sessantotto incipiente e incalzante i costumi e le “patrie lettere” ormai nettamente in crisi :

«Certo la sua è una posizione debole in quel determinato momento storico rispetto a posizioni più agguerrite, più aggiornate e smaliziate dal punto di vista intellettuale. Inoltre, concentrato sulla difesa della sua concezione della poesia, non riesce a cogliere, anche per limiti temporali oggettivi, l’importante opera di modernizzazione culturale della neoavanguardia italiana, che instaurò un fitto dialogo con le scienze umane e le nuove teorie della letteratura in un orizzonte internazionale, influenzò molti poeti e narratori italiani in una costellazione definibile come “sperimentalismo della neoavanguardia”. D’altra parte, come più volte ho cercato di sottolineare nella mia lettura degli asterischi dei Colloqui, c’è spesso una ambivalenza nei ragionamenti di Quasimodo ; parimenti anche il suo atteggiamento di fronte alla società dei consumi, è da un lato la protesta attardata del ‘chierico’, dall’altro un residuo di resistenza all’ ‘integrazione’ che anticipa Pasolini»7.

Del libro sulla poesia contemporanea, invece, nell’impossibilità di moltiplicare esempi e citazioni, basti l’ottimo esame della produzione di Luigi Fontanella dove la necessità dell’”eterno ritorno del pendolare” (la bella espressione è di Giulio Ferroni) legata alla natura di “parola transfuga” della sua poesia8 viene letto in termini di privilegiamento mitico del ritorno alla “terra natia” :

«Il viaggio nella “terra del tempo” si rivela in Fontanella come un ritrovarsi e come un ritrovare i propri miti dell’immaginario, il sogno del “paese innocente” di Ungaretti, i personaggi che lo incarnano, come la bambina e la ragazza, che appartengono a Gatto, a Saba, al surrealismo di Breton, al suo credo del sogno e dell’infanzia, prima ancora al Pascoli del Fanciullino, fino a confermare i ben noti legami tra infanzia-vita innocente, meraviglia-creazione estetica, espressi nel “grandioso lacerante stupore” della XXIII tessera lirica di Parole per Emma, un piccolo canzoniere dedicato alla figlia […] Alla recherche della propria infanzia, cui si affianca il recupero di quella della figlia, si possono ascrivere diversi testi fontanelliani ; tra quelli più recenti uno è in Oblivion, libro che reca la dedica ad Emma, ai suoi vent’anni […] e il cui titolo-dedica fa dialogare sapientemente anche gli elementi paratestuali sul consueto tema del ‘tempo ricurvo’»9.

Il ritorno periodico alla propria terra, dunque, sembrerebbe legato in Fontanella a un ricorrere ciclico dei propri temi in una sorta di necessario attingimento alla natura mitopoietica della sua ispirazione lirica, legata com’è a temi di natura familiare ma non necessariamente privi di quegli echi arcaico-profondi che anche Mauro è stato convinto di trovare nei suoi lavori di scavo.

Nell’ottimizzazione tra poesia letta e poesia scritta, allora, la prospettiva critico-letteraria di Carlangelo Mauro riesce a condurre i suoi lettori nel suo “giardino” (hortus conclusus) e a permettere ai suoi “passi” nel cammino della scrittura di spingersi poi anche oltre le sue mura ben guarnite e culturalmente fortificate.


NOTE

1 C. MAURO, Il giardino e i passi, prefazione di Maurizio Cucchi, Milano, Archinto, 2012, p.p. 7-8.

2 C. MAURO, Il giardino e i passi cit. , pp. 72-73.

3 C. MAURO, Il giardino e i passi cit. , p. 15.

4 C. MAURO, Il giardino e i passi cit. , p. 14. L’aneddoto cui Mauro si riferisce è contenuto in quello splendido saggio di estetica che è The Standard of Taste del filosofo scozzese : “E per non attingere la nostra filosofia ad una fonte troppo profonda, ricorreremo a un noto racconto del Don Chisciotte : “ E’ con piena ragione (dice Sancio allo scudiero dal grande naso) che io pretendo di intendermene di vino ; è una qualità ereditaria nella mia famiglia. Due miei parenti furono, una volta, chiamati a dire la loro opinione su di una botte che si supponeva eccellente, perché era vecchia e di ottima uva. Uno di loro la assaggia, ci pensa sopra : e, dopo matura riflessione, decide che il vino sarebbe stato buono, se non fosse per quel leggero sapore di cuoio che egli vi sentiva. L’altro, dopo aver usate le stesse cautele, emette anche lui il suo verdetto in favore del vino, ma con riserva, per un certo sapore di ferro, che riusciva a distinguere nettamente. Non potete immaginarvi quanto essi fossero presi in giro per il loro giudizio. Ma chi rise per ultimo ? Vuotando la botte, sul fondo si trovò una vecchia chiave cui era attaccata una striscia di cuoio“. La grande rassomiglianza fra il gusto spirituale e quello corporeo ci aiuterà facilmente ad applicare questa storia” (D. HUME, La regola del gusto, trad. it. e cura di G. Preti, Roma-Bari, Laterza, 19812, pp. 35-36). Come si vede, la poesia di Mauro deriva da un episodio che si rinviene nel romanzo di Miguel de Cervantes a proposito di una notevole dimostrazione di saggezza effettuata da Sancho Panza mediata, però, dalla lettura del grande saggio di Hume sulle regole (non solo letterarie) del gusto.

5 C. MAURO, Rifare un mondo. Sui “Colloqui” di Quasimodo, Avellino, Edizioni di “Sinestesie”, 2013. Il grande poeta siciliano collaborò alla rivista dell’editore Palazzi dal 1964 fino al 1968, riprendendo il testimone da Curzio Malaparte (che vi aveva pubblicato il suo celebre Battibecco) e lasciandolo poi a Pasolini che scriverà per il settimanale in questione dal 1972 e il 1974 (i testi pasoliniani saranno poi raccolti in Descrizioni di descrizioni). .

6 C. MAURO, Liberi di dire. Saggi su poeti contemporanei, Avellino, Edizioni di “Sinestesie”, 2013.

7 C. MAURO, Rifare un mondo. Sui “Colloqui” di Quasimodo cit. , p. 189.

8 La parola transfuga. Poeti italiani in America è il titolo di una significativa raccolta di saggi di Fontanella (Firenze, Cadmo, 2003).

9 C. MAURO, Liberi di dire. Saggi su poeti contemporanei cit. , pp. 23-24.

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[Leggi tutti gli articoli di Giuseppe Panella pubblicati su Retroguardia 2.0]

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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)

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