Attualmente l'Articolo 18 è foriero di diritti e limiti per chi subisce il licenziamento in modo illegittimo e prevede una tempistica definita (modificata dalla riforma Fornero del 2012) per fare richiesta al giudice dell'eventuale reintegro o, in alternativa e a seconda dei casi, del risarcimento. In Italia si intende licenziamento illegittimo quello che avviene per motivi legati in qualche misura a ragioni di tipo discriminatorio, oppure in assenza di giusta causa o giustificato motivo. Tale “protezione” si applica nelle aziende che hanno 15 (o più) dipendenti (cinque in quelle agricole). Ci sono due aspetti da sottolineare rigurdo l'Articolo 18: il contesto economico e sociale in cui fu ideato (lo Statuto dei Lavoratori è del 1970), l'assenza nel frattempo lamentata da diversi giuslavoristi è di maggiori relazioni industriali e l'incertezza dovuta alla rimodulazione dello stesso Articolo 18 rispetto al rimedio economico in luogo della reintegrazione. “Alcuni ordinamenti – nota l'Adapt a proposito dei licenziamenti nei paesi esaminati – prevedono poi delle procedure di informazione e consultazione degli organismi di rappresentanza dei lavoratori. È così ad esempio in Germania, dove il datore di lavoro è tenuto ad informare il comitato aziendale, per iscritto, sui motivi del licenziamento che intende disporre, prima di comunicarlo al lavoratore. È così anche in Cina, dove ad essere informate sono le rappresentanze sindacali. Pur tuttavia in entrambi i casi menzionati, il parere degli organismi di rappresentanza dei lavoratori non ha valore vincolante. Si tratta in altre parole di un meccanismo di controllo della correttezza e buona fede del datore di lavoro, analogo a quello previsto in Italia per i licenziamenti collettivi”.
“Una maggiore convergenza regolativa si riscontra con riferimento alla disciplina delle ragioni per cui il licenziamento è considerato illegittimo a prescindere dalla esistenza o meno di motivazioni di ordine soggettivo o oggettivo, e a prescindere dal rispetto di regole procedurali. Ciò anche in ragione degli standard internazionali del lavoro definiti dalle Convenzioni dell’ILO che garantiscono un livello minimo ed uniforme di tutela in tutto il mondo. In tutti i sistemi considerati, ad esempio, inclusi quelli più liberali come gli Stati Uniti, il licenziamento discriminatorio è considerato unfair. Nei Paesi europei e in Giappone, l’illegittimità del licenziamento è in re ipsa anche nelle ipotesi che riguardano lavoratori assenti per malattia, per congedi legati alla maternità e per l’esercizio del diritto di sciopero”. Per quanto riguarda infine l'obbligo alla reintegra, nell'ipotesi di licenziamento discriminatorio, solo negli Stati Uniti, in Spagna e Regno Unito il datore di lavoro può optare per l'indennizzo. Altrove questa tipologia di licenziamento è nullo, dunque vige l'obbligo di reintegrare il lavoratore.
Sui criteri per la definizione dell’ammontare dell’indennizzo, spiega in conclusione l'Adapt, “possono essere distinti due ulteriori gruppi di Paesi: quelli che prevedono un sistema di indicizzazione dell’indennizzo all’anzianità di servizio, e quelli dove l’ammontare è stabilito dal Giudice. Al primo gruppo appartengono la Germania, la Danimarca, la Spagna, la Cina, e il Regno Unito. Al secondo gruppo appartengono invece Giappone, USA, Francia e Svizzera”.
(anche su T-Mag)
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