I Luoghi di Napoli: I misteri di piazza San Domenico Maggiore

Creato il 15 aprile 2014 da Vesuviolive

Proseguendo lungo la via Spaccanapoli si spalanca immane una delle piazze più famose del centro storico: Piazza San Domenico Maggiore. E forse né Alfonso I d’Aragona, che ne ordinò l’apertura nel 1442, né Ferdinando IV che ne vietò gli esercizi commerciali e ludici, avrebbero mai immaginato che questo spazio sarebbe stato uno dei più frequentati dalla movida partenopea, e non solo.

Come la facciata del Palazzo Reale in Piazza del Plebiscito, anche questo ampio spiazzo, grazie alla sua stratificazione storico-artistica, può raccontare tutto, o quasi, della bella Partenope; sono diversi, infatti, gli stili che si sovrappongono, come mossi dal desiderio di imporsi su tutti gli altri, dominarli, nasconderli, rubarne le parti migliori e spacciarle per proprie.

Primo tra tutti spicca l’obelisco di San Domenico al centro della piazza. Inizialmente commissionato a Cosimo Fanzago, come voto per la peste del 1656, fu poi affidato alle cure di Antonio Picchiatti, il quale se ne occupò fino al 1670, ma i lavori, inconclusi, ripresero nel 1737 per opera di Antonio Vaccaro. Di particolare pregio anche il basolato in nero su cui è ridisegnata una stella bianca. L’obelisco a forma di piramide, culmina proprio con una statua raffigurante il santo che conferisce nome alla piazza, ed è lì posta per esaltare l’ordine Domenicano.

Obelisco san Domenico

La chiesa di san Domenico Maggiore, risalente alla Napoli angioina, è molto nota non tanto per la sua architettura di pregio e le sue sovrapposizioni stilistiche, ma anche, e soprattutto, per essere stata sede degli studi di figure storiche di rilievo come Giordano Bruno e San Tommaso d’Aquino. Il ricordo di quest’ultimo è particolarmente legato all’edificio poiché, secondo una leggenda, Tommaso d’Aquino ha parlato con il Gesù crocifisso raffigurato nella tavola all’interno del Cappellone del Crocifisso (nella navata a destra, partendo dall’ingresso principale da vico San Domenico Maggiore).

Senza doverci forzatamente soffermare su tutte le opere, di straordinaria bellezza, presenti nell’ambiente, possiamo però fare qualche nome per dare quantomeno un’idea del valore che questa chiesa ha costituito, nonostante il susseguirsi di epoche diverse, nella società clericale, ma anche più genericamente partenopea ed europea. Un Caravaggio (La flagellazione di Cristo) e un Tiziano oggi conservati al museo di Capodimonte; Un Raffaello spostato al museo del Prado; Wenzel Cobergher, maestro dell’arte fiamminga; Francesco Solimena, Pietro Cavallini; un Luca Giordano, rubato nel 1975; una scultura per la tomba di Filippo d’Angiò, firmata Tino da Camaino, etc. Di particolare fama è la sacrestia, in cui sono conservati i feretri di dieci sovrani e trentacinque dignitari aragonesi, i cui rivestimenti lignei rispondono ai canoni del barocco di epoca successiva.

Un altro edificio di particolare interesse nella piazza è il Palazzo Corigliano. E’, in parte, grazie ad esso che la piazza è molto frequentata, e quasi esclusivamente da giovani; infatti, esso dal 1927 è stato sede degli studi Orientali in modo saltuario, fino a che l’Università L’Orientale non lo acquistò definitivamente nel 1977.

Palazzo Corigliano

Ma niente rivela più mistero della cappella di Sansevero, e Matilde Serao ne colse lo spirito giusto. Esordisce così: “La cappella è glaciale. Pavimento di marmo, marmo alle pareti, tombe di marmo, statue di marmo”. E ancora “Non ornamenti di oro, non candelabri, non lampade votive, non fiori“, tutto vi è gelido, tranquillo, sepolcrale“. Perché sì, questa cappella non è una chiesa, dove qualcuno ancora bisbiglia, ma un tomba, dove incontrastato domina il silenzio più agghiacciante.

Padre di questo eterno e quasi etereo complesso: Don Raimondo di Sangro. Alchimista esoterico di fama, neanche ha potuto rendersene conto, ma è riusciuto nell’unica cosa in cui credeva di non essere riuscito: l’immortalità. Numerose sono infatti le leggende circa i suoi esperimenti per la scoperta della resurrezione e la vita eterna, e i corpi dei suoi due servi, situati al piano inferiore della cappella, ne sono un esempio: studio dell’anatomia umana attraverso scheletri veri e vasi e capillari reali induriti con l’iniezione di particolari antidoti. Si crede addirittura che per ottenere tale risultato i corpi dei due sventurati dovessero essere ancora vivi (il segno profondo di una corda sul polso di uno dei due scheletri sembrerebbe confermare tale tesi). E secondo un’altra leggenda, la cosiddetta leggenda nera, si spiegherebbe proprio la morte dell’alchimista: egli avrebbe fatto tagliare il proprio corpo in tanti pezzi riposti poi in una scatola allo scopo di resuscitare, ma l’esperimento sarebbe andato a buon fine soltanto aspettando i tempi giusti; la sua famiglia però aprì la scatola prima del tempo previsto e mai l’alchimista vinse la morte!

Quello che cattura però l’occhio in questa cappella è senza alcun dubbio la statua del Sammartino Il Cristo Velato. Il peso del marmo si carica del solo peso di quel corpo privo di vita; si carica della sua sofferenza, di quell’ultimo suo respiro; e il velo, quel finto velo, gli conferisce tutta la leggerezza che effettivamente non ha. A riguardo si narra nuovamente una curiosa leggenda: Raimondo di Sangro accecò il Sammartino per evitare che egli potesse realizzare opere di pari o superiore incanto.

Cristo Velato

Ad ogni modo la fortuna di piazza San Domenico è dovuta alla sua centralità: da qui sono, infatti, facilemente raggiungibili le vie principali come via Dei Tribunali, via San Sebastiano, ovvero la strada degli strumenti musicali (per la presenza di numerosissime botteghe specializzate), piazza del Gesù, San Gregorio Armeno e via Mezzocannone con i relativi istituti universitari, della Federico II e dell’Orientale, e i diversi musei, purtroppo non molto conosciuti, come quello zoologico, mineralogico ed antropologico.

Via Mezzocannone, di sera, non esclusivamente nel fine settimana, si anima di anime alla ricerca di musica e divertimento, o anche semplicemente alla ricerca di una birra in compagnia; quasi come fossero in processione, le anime napoletane si spostano automaticamente da Piazza Bellini, prima tappa di questo tour serale, passando per San Domenico Maggiore, e facendo una breve sosta, proprio in via Mezzocannone, alla Mensa Occupata, qualora fossero stati organizzati eventi; altrimenti proseguono verso piazzetta orientale che, tra Kesté, baretti, venditori di caramelle e birre a prezzi ridotti, offre la possibilità di una serata tanto cheap quanto piacevole.

Non resta che organizzare, insieme alla propria famiglia o agli amici più stretti, una bella giornata fuori casa; una domenica o un sabato magari, alla scoperta di una bella città, magari la propria, tra chiese, piccoli musei, cappelle e negozi di giorno, e concerti, baretti, cibi e bevande economiche di sera!


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